By Radiovaticana
Le ultime famiglie cristiane ancora presenti a Mosul stanno lasciando la città dirette verso Erbil, Dohuk e altre località del Kurdistan iracheno considerate più sicure. Lo confermano all'agenzia Fides fonti della locale comunità caldea. Il nuovo esodo ha avuto un'accelerazione negli ultimi due giorni, dopo che gli insorti sunniti e i militanti dell'autoproclamato califfato islamico hanno cominciato a segnare con lettere di riconoscimento le case di cristiani e sciiti per poi prenderne possesso.
Secondo quanto riportato dal sito www.Ankawa.com, l'evacuazione degli ultimi cristiani è dovuta anche all'intensificarsi dei bombardamenti operati dalle forze armate governative su molti quartieri della città, soprattutto nelle ore notturne. In molti villaggi della Piana di Ninive, l'emergenza principale è al momento rappresentata dalla sospensione della fornitura di acqua, resa ancor più insostenibile dalle alte temperature.
“I cristiani che vengono costretti dall’Isis a lasciare le loro abitazioni e ad abbandonare la città, il cui numero varia dalle 50 alle 100 famiglie, - afferma il vicario patriarcale caldeo di Baghdad, mons. Shleimun Warduni le cui parole sono riportate dal sito Baghdahope - nella fuga sono fermati ai check point posti all‘uscita del centro abitato. Qui gli viene sequestrato tutto, soldi, averi e persino le auto dicendo loro: andate, camminate”.
“Non possiamo parlare, per noi è troppo pericoloso”: sono le uniche parole che una fonte cristiana di Mosul, anonima per motivi di sicurezza, riesce a dire all'agenzia Sir prima di mettere giù il telefono. Poche parole che descrivono tutto il terrore che avvolge la minoranza cristiana che ancora vive intorno a Mosul. Un’altra fonte conferma, sempre al Sir, che “a Mosul non ci sarebbero più cristiani”.
Raggiunto dall'agenzia AsiaNews nella sede del Patriarcato caldeo a Baghdad, il patriarca caldeo Sako commenta con tono amaro la chiusura di ogni possibile forma di dialogo con gli islamisti, che ripetono "fra di noi non c'è che la spada". "Ho invitato i vescovi - spiega il patriarca - a invitare la popolazione cristiana a uscire e andarsene". Da ieri mattina quanti erano rimasti hanno iniziato a sgomberare, ora vi sono solo "pochissime persone, solo i più poveri fra i cristiani" che non hanno i mezzi per fuggire. Quanti abbandonano Mosul "trovano accoglienza nei monasteri, nei villaggi". Questa mattina, continua Mar Sako, "macchine munite di altoparlanti andavano a giro per la città, intimando ai cristiani di fuggire".
In questo contesto drammatico di caccia ai cristiani è anche difficile ipotizzare forme di dialogo o trattativa. "Non c'è un'autorità con cui confrontarsi, non c'è nessuno - sottolinea il patriarca caldeo - non sappiamo da dove vengano, cosa vogliono davvero. Il governo centrale non ha alcun contatto e ora ha iniziato i bombardamenti aerei". Riferendosi agli islamisti, Mar Sako parla di "un muro" con il quale è impossibile instaurare "una qualsiasi forma di dialogo".
Le ultime famiglie cristiane ancora presenti a Mosul stanno lasciando la città dirette verso Erbil, Dohuk e altre località del Kurdistan iracheno considerate più sicure. Lo confermano all'agenzia Fides fonti della locale comunità caldea. Il nuovo esodo ha avuto un'accelerazione negli ultimi due giorni, dopo che gli insorti sunniti e i militanti dell'autoproclamato califfato islamico hanno cominciato a segnare con lettere di riconoscimento le case di cristiani e sciiti per poi prenderne possesso.
Secondo quanto riportato dal sito www.Ankawa.com, l'evacuazione degli ultimi cristiani è dovuta anche all'intensificarsi dei bombardamenti operati dalle forze armate governative su molti quartieri della città, soprattutto nelle ore notturne. In molti villaggi della Piana di Ninive, l'emergenza principale è al momento rappresentata dalla sospensione della fornitura di acqua, resa ancor più insostenibile dalle alte temperature.
“I cristiani che vengono costretti dall’Isis a lasciare le loro abitazioni e ad abbandonare la città, il cui numero varia dalle 50 alle 100 famiglie, - afferma il vicario patriarcale caldeo di Baghdad, mons. Shleimun Warduni le cui parole sono riportate dal sito Baghdahope - nella fuga sono fermati ai check point posti all‘uscita del centro abitato. Qui gli viene sequestrato tutto, soldi, averi e persino le auto dicendo loro: andate, camminate”.
“Non possiamo parlare, per noi è troppo pericoloso”: sono le uniche parole che una fonte cristiana di Mosul, anonima per motivi di sicurezza, riesce a dire all'agenzia Sir prima di mettere giù il telefono. Poche parole che descrivono tutto il terrore che avvolge la minoranza cristiana che ancora vive intorno a Mosul. Un’altra fonte conferma, sempre al Sir, che “a Mosul non ci sarebbero più cristiani”.
Raggiunto dall'agenzia AsiaNews nella sede del Patriarcato caldeo a Baghdad, il patriarca caldeo Sako commenta con tono amaro la chiusura di ogni possibile forma di dialogo con gli islamisti, che ripetono "fra di noi non c'è che la spada". "Ho invitato i vescovi - spiega il patriarca - a invitare la popolazione cristiana a uscire e andarsene". Da ieri mattina quanti erano rimasti hanno iniziato a sgomberare, ora vi sono solo "pochissime persone, solo i più poveri fra i cristiani" che non hanno i mezzi per fuggire. Quanti abbandonano Mosul "trovano accoglienza nei monasteri, nei villaggi". Questa mattina, continua Mar Sako, "macchine munite di altoparlanti andavano a giro per la città, intimando ai cristiani di fuggire".
In questo contesto drammatico di caccia ai cristiani è anche difficile ipotizzare forme di dialogo o trattativa. "Non c'è un'autorità con cui confrontarsi, non c'è nessuno - sottolinea il patriarca caldeo - non sappiamo da dove vengano, cosa vogliono davvero. Il governo centrale non ha alcun contatto e ora ha iniziato i bombardamenti aerei". Riferendosi agli islamisti, Mar Sako parla di "un muro" con il quale è impossibile instaurare "una qualsiasi forma di dialogo".