By Baghdadhope*
Sul sito FocusMO.it è stata pubblicata ieri una lettera dell'ambasciatore iracheno presso la Santa Sede, Habeeb Mohammed Hadi Al-Sader, concernente la situazione degli iracheni cristiani.
Sul sito FocusMO.it è stata pubblicata ieri una lettera dell'ambasciatore iracheno presso la Santa Sede, Habeeb Mohammed Hadi Al-Sader, concernente la situazione degli iracheni cristiani.
La lettera, che ha molti punti in comune con la nota inviata alla stampa lo scorso 19 agosto, aveva già allora suscitato un certo malcontento per i suoi contenuti ma ad un mese dalla strage nella chiesa di Baghdad merita ancora qualche considerazione.
Per il testo originale della lettera pubblicata da FocuMO clicca sul titolo o leggila in fondo la post.
In essa diversi punti suscitano perplessità o almeno il dubbio che l'appartenenza dell'ambasciatore presso la Santa Sede alla componente sciita del paese abbia giocato un ruolo importante nella sua stesura.
La lettera inizia ricordando giustamente come già ai tempi del regime baathista i cristiani fossero oggetto di discriminazioni e come già all'epoca considerassero l'abbandono dell'Iraq "la sola via di salvezza."
Continua poi con una dichiarazione che nel suo insieme ricorda quella che il patriarca della chiesa caldea, Cardinale Mar Emmanuel III Delly, fece al Sinodo per il Medio Oriente tenutosi a Roma lo scorso ottobre, quando disse che "Molti desiderano ascoltare qualche cosa dell'Iraq che oggi occupa nei media un posto importante, ed un poco lo dico subito, esagerato."
Quella dichiarazione aveva sconcertato non poco per il suo essere stata rilasciata nell'ambito di un sinodo convocato dalla Santa Sede proprio per mettere in luce i problemi dei cristiani in Medio Oriente.
Se però il Cardinale Delly sembrava invitare ad un basso profilo nell'informazione riguardante l'Iraq intero, nella lettera dell'ambasciatore Al-Sader un tale invito è rivolto direttamente ai media che si occupano di quella riguardante gli iracheni cristiani e che sono accusati di - anche se senza volerlo - fare il gioco dei terroristi che "hanno capito che l’uccisione dei musulmani iracheni non è poi così interessante per i mass media occidentali e dal momento che desiderano attirare lo sguardo della comunità internazionale sulle loro azioni, per dire al mondo intero che la democrazia non prenderà mai piede in Iraq, sono giunti a colpire i cristiani in maniera sistematica."
Se ciò fosse vero, non potendo escludere che in parte non lo sia, non si spiegherebbe però perchè a chiedere con insistenza che la loro situazione venga riportata sui mass media occidentali siano proprio gli iracheni cristiani, i primi cioè che dovrebbero percepire l'equazione informazione=pericolo, gli stessi iracheni cristiani che proprio attraverso i media di cui lo stesso ambasciatore parla, pur con i dovuti limiti dovuti alla prudenza, descrivono nei particolari gli accadimenti che li riguardano.
In questo senso quindi, considerando quanto poco i diversi governi a maggioranza sciita che si sono succeduti alla guida del paese sono riusciti a fare in termine di sicurezza per tutti i propri cittadini le parole dell'ambasciatore - sciita - suonano più che come un invito alla prudenza per la salvaguardia dei cristiani, obiettivi dei terroristi, come un tentativo di spostare il problema dall'interno del paese al suo esterno deresponsabilizzando il governo.
Governo che, si legge tra le righe, non riesce ad imporre il "progetto democratico" perchè ostacolato dai "nemici del nuovo Iraq": gli scontati baathisti ed i non meglio specificati "fondamentalisti" che, accusati di voler "far tornare nuovamente l'Iraq a quei tempi" quelli del regime per intenderci, è facile individuare come sunniti. Sunniti che, guarda caso, governano Mosul, la città dove i cristiani sono stati "più colpiti", e che è la capitale di quel governatorato che, insieme a quello di Al-Anbar, anch'esso a maggioranza sunnita, confina con il deserto siriano "divenuto facile passaggio" per i terroristi aiutati nei loro piani guarda caso sempre dai soliti baathisti desiderosi di "eliminare la nascente democrazia" che, è sottinteso, attecchirebbe invece velocemente nell'Iraq sciita.
Democrazia che imporrebbe il rispetto delle minoranze, e quindi la condanna degli "attentati contro i cristiani " non solo "per scelta nazionale" ma anche perchè parte della "stessa religione islamica che in sé richiede il dialogo con i cristiani."
Un dialogo che però in Iraq i cristiani fanno fatica a vedere concretizzato a loro favore.
Sorprendenti a questo proposito sono le parole dell'ambasciatore:
"Dopo gli attentati che hanno colpito i cristiani, il governo ha prontamente provveduto alla sicurezza di tutti i monasteri e chiese presenti nell’intero paese." A quali attentati si riferisce? Quelli del 2004, 2005, 2006, 2007, 2008, 2009 0 2010? Se sono quelli del 2010 è evidente che il governo si è mosso in ritardo, se sono ad essi antecedenti che si è mosso in modo inefficace.
"dal nord al sud aprendo velocemente le indagini sui presunti organizzatori."
Non è un segreto per nessuno, e sono gli stessi iracheni cristiani a denunciarlo, che in realtà il governo non ha mai condotto indagini approfondite per trovare i colpevoli degli attacchi ai cristiani preferendo di volta in volta attribuirli alla "sempre colpevole di tutto" Al Qaeda, ancora una volta organizzazione sunnita e soprattutto "esterna" all'Iraq che però, pur con l'arresto di molti suoi leaders, riesce ancora ad avere margini di manovra amplissimi.
Se è vero che "Predisporre un agente per la sicurezza di ciascun cristiano sarebbe impensabile anche per i grandi paesi dell’Occidente" è ancor più vero che almeno i luoghi di culto dovrebbero essere messi in sicurezza, cosa che al governo iracheno non riesce neanche per quelli islamici, anch'essi obiettivi delle stragi.
"Dobbiamo anche far notare che si sta registrando un miglioramento nella situazione del Paese e questo grazie all’Esercito iracheno e la sua preparazione e capacità, come è stato anche affermato dagli inviati del contingente americano in Iraq."
Anche il "miglioramento nella situazione nel paese" non è esattamente ciò di cui gli iracheni possono andar fieri, e per quanto riguarda la "preparazione e capacità" dell'esercito come non pensare al tardivo ed improvvisato intervento delle sue truppe nella chiesa di Nostra Signora della Salvezza dove da ore gli ostaggi erano in balìa dei "soliti" terroristi di Al Qaeda?
E sorvoliamo sul fatto che a riconoscere che il miglioramento sia legato a quella preparazione ed a quella capacità siano stati gli "inviati del contingente americano in Iraq." Certo i giudici più capaci, obiettivi e disinteressati...
In ogni caso, e qui un segno di ottimismo e pragmatismo traspare chiaramente: "il governo è convinto che con il ristabilimento della sicurezza seguirà il ripristino della normalità, il tutto coadiuvato dalla presenza degli occidentali pronti ad investire nella ricostruzione del Paese."
Grazioso pensiero da parte dell'Ambasciatore poi quello di chiedere a "Sua Santità, Benedetto XVI, di spronare i cristiani affinché facciano ritorno nel loro Paese, essendo parte culturale, tecnica ed economica di cui l’Iraq non può fare a meno nella sua crescita." Non fosse che la "fuga dei cervelli" cristiani dal paese in questi anni non sia stata dovuta a capriccio o a brillanti prospettive di carriera all'estero ma alla semplice impossibilità di sopravvivervi, vedi uccisioni mirate, rapimenti, minacce, estorsioni.
E per quanto riguarda l'impegno del governo "con quanti rientrano, a ridare loro un impiego, un terreno per ricostruire la propria dimora e un milione e mezzo di dinari iracheni" non sembra che ciò sia bastato ad invertire il flusso migratorio da "dall'Iraq" a "verso l'Iraq". A cosa serve un impiego se, come sempre ci ricordano i vescovi iracheni: "non si è mai sicuri di far ritorno a casa alla sera"? Ed un terreno per costruire una casa che con buone probabilità ti sarà tolta con la forza? Ed un milione e mezzo di dinari? Poco più dell'equivalente di due mesi di stipendo di un medico ospedaliero...
Continua poi con una dichiarazione che nel suo insieme ricorda quella che il patriarca della chiesa caldea, Cardinale Mar Emmanuel III Delly, fece al Sinodo per il Medio Oriente tenutosi a Roma lo scorso ottobre, quando disse che "Molti desiderano ascoltare qualche cosa dell'Iraq che oggi occupa nei media un posto importante, ed un poco lo dico subito, esagerato."
Quella dichiarazione aveva sconcertato non poco per il suo essere stata rilasciata nell'ambito di un sinodo convocato dalla Santa Sede proprio per mettere in luce i problemi dei cristiani in Medio Oriente.
Se però il Cardinale Delly sembrava invitare ad un basso profilo nell'informazione riguardante l'Iraq intero, nella lettera dell'ambasciatore Al-Sader un tale invito è rivolto direttamente ai media che si occupano di quella riguardante gli iracheni cristiani e che sono accusati di - anche se senza volerlo - fare il gioco dei terroristi che "hanno capito che l’uccisione dei musulmani iracheni non è poi così interessante per i mass media occidentali e dal momento che desiderano attirare lo sguardo della comunità internazionale sulle loro azioni, per dire al mondo intero che la democrazia non prenderà mai piede in Iraq, sono giunti a colpire i cristiani in maniera sistematica."
Se ciò fosse vero, non potendo escludere che in parte non lo sia, non si spiegherebbe però perchè a chiedere con insistenza che la loro situazione venga riportata sui mass media occidentali siano proprio gli iracheni cristiani, i primi cioè che dovrebbero percepire l'equazione informazione=pericolo, gli stessi iracheni cristiani che proprio attraverso i media di cui lo stesso ambasciatore parla, pur con i dovuti limiti dovuti alla prudenza, descrivono nei particolari gli accadimenti che li riguardano.
In questo senso quindi, considerando quanto poco i diversi governi a maggioranza sciita che si sono succeduti alla guida del paese sono riusciti a fare in termine di sicurezza per tutti i propri cittadini le parole dell'ambasciatore - sciita - suonano più che come un invito alla prudenza per la salvaguardia dei cristiani, obiettivi dei terroristi, come un tentativo di spostare il problema dall'interno del paese al suo esterno deresponsabilizzando il governo.
Governo che, si legge tra le righe, non riesce ad imporre il "progetto democratico" perchè ostacolato dai "nemici del nuovo Iraq": gli scontati baathisti ed i non meglio specificati "fondamentalisti" che, accusati di voler "far tornare nuovamente l'Iraq a quei tempi" quelli del regime per intenderci, è facile individuare come sunniti. Sunniti che, guarda caso, governano Mosul, la città dove i cristiani sono stati "più colpiti", e che è la capitale di quel governatorato che, insieme a quello di Al-Anbar, anch'esso a maggioranza sunnita, confina con il deserto siriano "divenuto facile passaggio" per i terroristi aiutati nei loro piani guarda caso sempre dai soliti baathisti desiderosi di "eliminare la nascente democrazia" che, è sottinteso, attecchirebbe invece velocemente nell'Iraq sciita.
Democrazia che imporrebbe il rispetto delle minoranze, e quindi la condanna degli "attentati contro i cristiani " non solo "per scelta nazionale" ma anche perchè parte della "stessa religione islamica che in sé richiede il dialogo con i cristiani."
Un dialogo che però in Iraq i cristiani fanno fatica a vedere concretizzato a loro favore.
Sorprendenti a questo proposito sono le parole dell'ambasciatore:
"Dopo gli attentati che hanno colpito i cristiani, il governo ha prontamente provveduto alla sicurezza di tutti i monasteri e chiese presenti nell’intero paese." A quali attentati si riferisce? Quelli del 2004, 2005, 2006, 2007, 2008, 2009 0 2010? Se sono quelli del 2010 è evidente che il governo si è mosso in ritardo, se sono ad essi antecedenti che si è mosso in modo inefficace.
"dal nord al sud aprendo velocemente le indagini sui presunti organizzatori."
Non è un segreto per nessuno, e sono gli stessi iracheni cristiani a denunciarlo, che in realtà il governo non ha mai condotto indagini approfondite per trovare i colpevoli degli attacchi ai cristiani preferendo di volta in volta attribuirli alla "sempre colpevole di tutto" Al Qaeda, ancora una volta organizzazione sunnita e soprattutto "esterna" all'Iraq che però, pur con l'arresto di molti suoi leaders, riesce ancora ad avere margini di manovra amplissimi.
Se è vero che "Predisporre un agente per la sicurezza di ciascun cristiano sarebbe impensabile anche per i grandi paesi dell’Occidente" è ancor più vero che almeno i luoghi di culto dovrebbero essere messi in sicurezza, cosa che al governo iracheno non riesce neanche per quelli islamici, anch'essi obiettivi delle stragi.
"Dobbiamo anche far notare che si sta registrando un miglioramento nella situazione del Paese e questo grazie all’Esercito iracheno e la sua preparazione e capacità, come è stato anche affermato dagli inviati del contingente americano in Iraq."
Anche il "miglioramento nella situazione nel paese" non è esattamente ciò di cui gli iracheni possono andar fieri, e per quanto riguarda la "preparazione e capacità" dell'esercito come non pensare al tardivo ed improvvisato intervento delle sue truppe nella chiesa di Nostra Signora della Salvezza dove da ore gli ostaggi erano in balìa dei "soliti" terroristi di Al Qaeda?
E sorvoliamo sul fatto che a riconoscere che il miglioramento sia legato a quella preparazione ed a quella capacità siano stati gli "inviati del contingente americano in Iraq." Certo i giudici più capaci, obiettivi e disinteressati...
In ogni caso, e qui un segno di ottimismo e pragmatismo traspare chiaramente: "il governo è convinto che con il ristabilimento della sicurezza seguirà il ripristino della normalità, il tutto coadiuvato dalla presenza degli occidentali pronti ad investire nella ricostruzione del Paese."
Grazioso pensiero da parte dell'Ambasciatore poi quello di chiedere a "Sua Santità, Benedetto XVI, di spronare i cristiani affinché facciano ritorno nel loro Paese, essendo parte culturale, tecnica ed economica di cui l’Iraq non può fare a meno nella sua crescita." Non fosse che la "fuga dei cervelli" cristiani dal paese in questi anni non sia stata dovuta a capriccio o a brillanti prospettive di carriera all'estero ma alla semplice impossibilità di sopravvivervi, vedi uccisioni mirate, rapimenti, minacce, estorsioni.
E per quanto riguarda l'impegno del governo "con quanti rientrano, a ridare loro un impiego, un terreno per ricostruire la propria dimora e un milione e mezzo di dinari iracheni" non sembra che ciò sia bastato ad invertire il flusso migratorio da "dall'Iraq" a "verso l'Iraq". A cosa serve un impiego se, come sempre ci ricordano i vescovi iracheni: "non si è mai sicuri di far ritorno a casa alla sera"? Ed un terreno per costruire una casa che con buone probabilità ti sarà tolta con la forza? Ed un milione e mezzo di dinari? Poco più dell'equivalente di due mesi di stipendo di un medico ospedaliero...
"L’attuale costituzione irachena ha sancito la totale uguaglianza nei diritti per i cristiani, e ha inoltre concesso loro la possibilità, lì dove lo volessero, di creare una regione a statuto speciale come quella del Kurdistan, dove poter adottare la lingua Siriaca o Aramaica come ufficiale."
L'ambasciatore fa riferimento alla costituzione che a vederla così sembrerebbe tra le più avanzate al mondo non fosse che alla libertà di culto per tutte le minoranze (Art. 2 punto secondo) si affianca l'impossibilità di approvare leggi che contraddicano i principi dell'Islam (art 2 punto primo) che è religione di stato e principale fonte legislativa.
Un particolare però che non dovrebbe preoccupare i cristiani cui l'avanzatissima carta costituzionale "concede" la possibilità, qualora lo desiderino, di crearsi una regione a statuto speciale simile a quella del Kurdistan, una sorta di "Christianistan" che godrebbe dell'enorme privilegio di poter adottare "la lingua siriaca o aramaica come ufficiale".
E che importa se i suoi abitanti sarebbero indifesi perchè minoritari anche se armati, impossibilitati a crearsi un futuro perchè in un territorio senza confini esterni e quindi soggetto ad essere bloccato a piacimento nei suoi contatti commerciali, e soprattutto se potrebbero diventare, come ben ha spiegato l'Arcivescovo caldeo di Kirkuk, Mons. Louis Sako, un "cuscinetto comodo e indifeso fra arabi e curdi" e quindi sempre soggetti al potere ora dell'uno ora dell'altro padrone?
In fondo non devono lamentarsi. Fuggono a migliaia e davvero non se ne comprende il motivo: hanno 5 seggi in parlamento, ricoprono cariche pubbliche a livello regionale o provinciale, hanno, come già visto, libertà di culto e diritti civili e politici con importanti cariche in parlamento e nei ministeri dell'industria ed, ironia, dei diritti umani, certo il ministero di maggior peso in Iraq.. sono stati addirittura nominati tre ambasciatori cristiani (ma non quello presso la Santa Sede) hanno libertà di stampa ed addirittura delle TV...
"Il governo iracheno, dopo la caduta della dittatura, ha dato vita ad una sovrintendenza cristiana indipendente. Tale istituzione è tesa alla conservazione del patrimonio cristiano e a tal fine, ogni anno sono stanziate considerevoli somme di danaro"
Informazione lacunosa ed ingannevole che fa pensare ad una generosa concessione fatta alla comunità cristiana perchè con le "considerevoli somme di denaro" stanziate possa "conservare il patrimonio cristiano." In realtà il Ministero per gli affari religiosi fu diviso in tre dipartimenti(sunnita, sciita e non-musulmani) nell'agosto 2003 dalla CPA (Coalition Provisional Authority) americana ai tempi del Vicerè iracheno Paul Bremer III, noto per le sue scelte avvedute.
"Ogni anno anche decine di nostri figli sono mandati a Roma per studiare le diverse scienze teologiche per poi tornare come sacerdoti nelle diverse chiese irachene di appartenenza."
E dov'è la novità? Non è forse vero che la maggioranza dei vescovi iracheni parla italiano? Anche i più anziani? Saranno stati gli studi all'ombra del Cupolone o corsi di lingua per corrispondenza?
Non importa.
Intanto gli iracheni cristiani possono sperare di assistere alla "visita di Papa Benedetto XVI", magari ad Ur, la città natale di Abramo. Sempre che abbiano pazienza e tempo. Con i ritmi di normalizzazione che l'Iraq sta seguendo il timore è che a visitare il paese potrà essere sì un papa un giorno, ma non Benedetto XVI, per quanta lunga vita gli si voglia augurare.
Insomma, il governo iracheno secondo l'ambasciatore presso la Santa Sede, sta operando bene ed i cristiani non hanno nulla da temere.
Tocca "ai governi a tutti i livelli" combattere "il fondamentalismo" e le "forze negative" oltreché misteriose ed in quanto tali impossibili da identificare e neutralizzare che lo alimentano. Segue un nutrito numero di ragioni dell'esistenza del fondamentalismo da combattere, tutte giuste, (chi lo fomenta sul piano economico e culturale, il divario tra nazioni ricche e povere che rende queste ultime terreno fertile per il suo sviluppo, la politica bifronte delle grandi potenze nei confronti delle questioni arabe ed islamiche, ma non quella degli stessi paesi arabi ed islamici) che però stranamente non comprende la lotta per il potere che da anni vede opporsi in Iraq la componente sunnita e quella sciita.
Ed è di nuovo il dialogo, secondo l'ambasciatore, l'unica via che porterà "ad una matura e consapevole visione d’insieme atta ad affrontare le sfide del secolo": "il terrorismo, la non credenza, le divisioni familiari, le problematiche ambientali e l’emergente crisi dell’acqua."
"Basta promesse, vogliamo i fatti" hanno più volte gridato gli iracheni cristiani attraverso quei mass media cui l'ambasciatore consiglia la sordina.
E' ora che il governo iracheno la smetta di cercare il colpevole sempre e solo al di fuori dei suoi confini ed inizi davvero a proteggere i suoi cittadini, "tutti" i suoi cittadini, o almeno la smetta di parlare di "nascente democrazia."
I cristiani d’Iraq tra sentimenti attuali e aspirazioni del futuro
da FocusMO Mercoledì 01 Dicembre 2010 14:55
Dell'Ambasciatore d’Iraq presso la Santa Sede S.E. Habeeb Mohammed Hadi Al-Sader. Negli ultimi anni siamo stati testimoni di eventi drammatici come guerre, distruzioni, attentati. Questa è la conseguenza dell’era di Saddam da cui abbiamo ereditato uccisioni inutili, carcerazioni immotivate, di cui anche i cristiani d’Iraq sono stati vittime.
Il sistema, sotto Saddam, aveva tolto ai cristiani la possibilità di avere voce, come anche di praticare la propria fede o vivere la propria identità anche solo parlando la propria lingua. Tutto ciò, unito alla negazione d’ogni diritto civile o politico, li ha costretti, dagli anni 90 in poi, ad uscire dall’Iraq, come la sola via di salvezza.Alla caduta del regime, i nemici del nuovo Iraq, i bathisti e i fondamentalisti, sono tornati a seminare paura nel paese, pensando così, di far tornare nuovamente l’Iraq a quei tempi e di cambiare il progetto democratico del nuovo paese. I terroristi hanno capito che l’uccisione dei musulmani iracheni non è poi così interessante per i mass media occidentali e dal momento che desiderano attirare lo sguardo della comunità internazionale sulle loro azioni, per dire al mondo intero che la democrazia non prenderà mai piede in Iraq, sono giunti a colpire i cristiani in maniera sistematica. In questo modo, senza volerlo, i mass media e le organizzazioni occidentali hanno contribuito ad alimentare il gioco dei terroristi, interessandosi ai cristiani, al loro futuro e al mancato sviluppo della società, quindi accendendo i riflettori sulle azioni terroristiche. La conseguenza è stata l’abbandono delle proprie abitazioni da parte dei cristiani e la fuga verso regioni più sicure, come il Kurdistan. La loro presenza è accertata, dal momento che il loro numero è esiguo, ed è stato facile contarli, rispetto ai non cristiani, rifugiati anch’essi nel Kurdistan che erano in numero molto maggiore. I cristiani più colpiti sono stati quelli di Mousul, pianura di Ninive, al nord dell’Iraq. Qui i terroristi agivano facilmente a causa della vicinanza geografia con il deserto siriano, divenuto facile passaggio. Inoltre ad aiutarli nell’opera di disordine,hanno trovato i bathisti, desiderosi di eliminare la nascente democrazia. I primi a condannare gli attentati contro i cristiani sono sempre stati gli iracheni di tutte le comunità che compongono il Paese, e tale posizione non sgorga solo da una scelta nazionale ma anche dalla stessa religione islamica che in sé richiede il dialogo con i cristiani. Dopo gli attentati che hanno colpito i cristiani, il governo ha prontamente provveduto alla sicurezza di tutti i monasteri e chiese presenti nell’intero paese, dal nord al sud aprendo velocemente le indagini sui presunti organizzatori. Predisporre un agente per la sicurezza di ciascun cristiano sarebbe impensabile anche per i grandi paesi dell’Occidente. Dobbiamo anche far notare che si sta registrando un miglioramento nella situazione del Paese e questo grazie all’Esercito iracheno e la sua preparazione e capacità, come è stato anche affermato dagli inviati del contingente americano in Iraq. Tra le vittorie non possiamo non menzionare l’arresto di molti leader di Al-Qayda. Il Governo è convinto che con il ristabilimento della sicurezza seguirà il ripristino della normalità, il tutto coadiuvato dalla presenza degli occidentali pronti ad investire nella ricostruzione del Paese. Ho chiesto a Sua Santità, Benedetto XVI, di spronare i cristiani affinché facciano ritorno nel loro Paese, essendo parte culturale, tecnica ed economica di cui l’Iraq non può fare a meno nella sua crescita. Da parte sua, il Governo si è impegnato con quanti rientrano, a ridare loro un impiego, un terreno per ricostruire la propria dimora e un milione e mezzo di dinari iracheni. Gli iracheni stanno cambiando e pian piano acquisiscono diverse strategie per reagire e contrastare gli attacchi terroristici, ciò accade grazie ad una maggiore sicurezza di cui si inizia a godere. L’attuale costituzione irachena ha sancito la totale uguaglianza nei diritti per i cristiani, e ha inoltre concesso loro la possibilità, lì dove lo volessero, di creare una regione a statuto speciale come quella del Kurdistan, dove poter adottare la lingua Siriaca o Aramaica come ufficiale. Quanto alla legge sulle elezioni, sono stati predisposti cinque seggi parlamentari per i cristiani, oltre le eventuali cariche a livello regionale o provinciale. I cristiani iracheni oggi godono pienamente della libertà di culto come anche di diritti civili e politici: molti di loro sono pienamente inseriti nel mondo politico ricoprendo cariche importanti sia in parlamento che nei ministeri (dell’industria, diritti umani). Di recente sono stati nominati tre ambasciatori. I cristiani hanno ed esercitano libertà di stampa e informazione nelle loro lingue, prova ne è la presenza dei canali televisivi cristiani, come ashur e ishtar e altri. Il governo iracheno, dopo la caduta della dittatura, ha dato vita ad una sovrintendenza cristiana indipendente. Tale istituzione è tesa alla conservazione del patrimonio cristiano e a tal fine, ogni anno sono stanziate considerevoli somme di danaro. Ogni anno anche decine di nostri figli sono mandati a Roma per studiare le diverse scienze teologiche per poi tornare come sacerdoti nelle diverse chiese irachene di appartenenza. Incentivare il turismo, anche religioso, è tra i progetti della Sovrintendenza, uno di questi è l’organizzazione di un pellegrinaggio a Ur, la città natale di Abramo. Altro grande progetto e desiderio di collaborazione tra il Governo e la Santa Sede è la visita di Papa Benedetto XVI. La messa in opera di tali progetti garantirà la tutela e mantenimento dell’intero patrimonio artistico culturale dei cristiani d’Iraq. Ora, la serietà del lavoro che spetta ai governi a tutti i livelli è nel cercare delle soluzioni risolutive contro il fondamentalismo e le forze negative che lo alimentano come: seccare le sue fonti economiche e di pensiero; abbattere il muro di separazione tra le nazioni ricche e quelle povere aiutando queste ad uscire dall’ignoranza, dalla sofferenza, dalla malattia e disoccupazione terreno fertile per i terroristi; arrestare la messa in atto di politiche a doppia faccia da parte delle grandi potenze lì dove si parla di questioni arabe e islamiche. Infine è necessario promuovere un vero e fruttuoso dialogo tra le diverse culture e religioni ponendo l’accento sia sulle comunanze e le diversità, per giungere ad una matura e consapevole visione d’insieme atta ad affrontare le sfide del secolo, tra cui campeggia il terrorismo, la non credenza, le divisioni familiari, le problematiche ambientali e l’emergente crisi dell’acqua.