L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) è fortemente preoccupato riguardo alla notizia che il 15 dicembre la Svezia ha nuovamente effettuato il rimpatrio forzato di un gruppo di circa 20 iracheni a Baghdad. Questo gruppo, rimpatriato alla vigilia della Ashura, comprendeva anche cinque cristiani originari di Baghdad.
Lo staff dell’UNHCR a Baghdad ha intervistato tre dei cristiani e tre dei musulmani iracheni che facevano parte del gruppo e tutti hanno confermato di essere originari di Baghdad. Uno dei cristiani ha affermato di essere fuggito dall’Iraq nel 2007, dopo che i miliziani lo avevano esplicitamente minacciato di morte. Temendo per la propria vita, l’uomo ha raccontato di aver viaggiato attraverso diversi paesi in Medio Oriente e in Europa prima di arrivare in Svezia, dove aveva inoltrato la sua richiesta di asilo. La sua richiesta è stata rifiutata per tre volte nel 2008 perché l’uomo non è stato riconosciuto come bersaglio di minacce. Gli altri con cui l’UNHCR è entrato in contatto hanno affermato che le loro richieste d’asilo sono state rigettate in seguito al miglioramento delle condizioni di sicurezza in Iraq.
L’UNHCR ribadisce con forza la sua richiesta a tutti i paesi di astenersi dall’allontanare gli iracheni originari delle aree più pericolose del paese.
Questi rimpatri forzati avvengono proprio in un periodo in cui i cinque uffici dell’UNHCR in Iraq stanno notando un importante incremento nel numero di cristiani in fuga da Baghdad e Mosul che si dirigono verso il Governo Regionale del Kurdistan (GRK) e gli altipiani di Ninewa. Dall’assalto alla chiesa di Baghdad del 31 ottobre e dai successivi attacchi mirati, le comunità cristiane di Baghdad e Mosul hanno iniziato un lento ma costante esodo. Dall’inizio di novembre sono arrivate circa 1.000 famiglie. L’UNHCR ha sentito molti racconti di persone in fuga dalle proprie abitazioni dopo essere state minacciate. Alcune di loro sono state in grado di prendere con sé solo pochi oggetti personali. Gli uffici dell’UNHCR hanno fornito i primi aiuti d’emergenza e sono in contatto con le autorità locali per assicurarsi che i cristiani recentemente sfollati ricevano supporto e assistenza.
Inoltre gli uffici dell’UNHCR in Siria, Giordania e Libano riferiscono di un incremento nel numero di cristiani iracheni in arrivo che richiedono all’UNHCR di essere registrati e aiutati. Le chiese e le ONG hanno già previsto un ulteriore aumento di persone in fuga nelle prossime settimane. Molti dei nuovi arrivati hanno spiegato di essere fuggiti per i timori suscitati dall’attacco alla chiesa del 31 ottobre scorso.
Da novembre in Siria circa 133 famiglie (300 persone) sono state registrate dall’UNHCR. La maggior parte di loro è fuggita dall’Iraq dopo l’attacco alla chiesa di Baghdad di ottobre. In Giordania il numero di registrazioni di cristiani nei mesi di ottobre e novembre è raddoppiato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. A settembre sono stati registrati 57 cristiani, mentre nei mesi di ottobre e novembre il loro numero è aumentato rispettivamente fino a 98 e 109.
La maggior parte dei nuovi arrivati intervistati dallo staff dell’UNHCR in Giordania ha affermato di aver lasciato il proprio paese come conseguenza dell’attacco alla chiesa dello scorso 31 ottobre. Un uomo ora registrato in Giordania con l’UNHCR ha riferito di essere scampato all’attacco solo perché aveva lasciato la chiesa pochi minuti prima dell’assalto. Questo rifugiato era stato rimpatriato forzatamente dall’Europa pochi giorni prima.
L’UNHCR riconosce gli sforzi che il governo iracheno sta compiendo nel tentativo di proteggere tutti i cittadini, inclusi i gruppi di minoranza come i cristiani. Il governo iracheno ha ribadito il suo impegno nel potenziare la protezione nei luoghi di culto. Benché quest’anno le vittime tra i civili siano in diminuzione rispetto allo scorso anno, sembra che le minoranze siano sempre più soggette a minacce e attacchi.
L’UNHCR ribadisce la sua posizione riguardo i richiedenti asilo originari dei governatorati iracheni di Baghdad, Diyala, Ninewa e Salah-al-Din, come anche della provincia di Kirkuk, che non dovrebbero subire rimpatri forzati e dovrebbero invece beneficiare della protezione internazionale, con il riconoscimento per loro dello status di rifugiati secondo la Convenzione per i Rifugiati del 1951 o con una forma di protezione complementare. Inoltre, ovviamente, tutte le richieste inoltrate anche da altri iracheni dovrebbero essere esaminate con grande attenzione, soprattutto per le persone appartenenti a minoranze religiose. La posizione dell’UNHCR è dettata dalla precaria situazione dello stato di sicurezza, dall’elevato livello di violenza, dagli incidenti legati alla mancanza di sicurezza e dalle violazioni dei diritti umani che ancora si registrano in alcune zone dell’Iraq. Secondo l’UNHCR le gravi ed indiscriminate minacce alla vita, i rischi per l’integrità fisica e per la libertà legati alla violenza o ad eventi gravemente turbatori dell’ordine pubblico sono ragioni valide per l’assegnazione di protezione internazionale.