"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

6 dicembre 2010

Altri due cristiani assassinati a Baghdad nella notte


Una coppia di anziani cristiani è stata uccisa nella loro casa ieri notte: l’ultimo di una lunga serie di episodi sanguinosi che hanno come vittime i cristiani. Secondo le poche notizie finora fornite da un portavoce del ministero dell’Interno uomini armati hanno fatto irruzione nell’abitazione della coppia, nel quartiere di Baladiyat, una zona a prevalenza sciita. Hikmat Sammak e sua moglie Samira avevano venduto la casa a Baghdad ed erano andati abitare a Ainkawa- Erbil nel nord. Due giorni fa erano tornati a Baghdad per completare le pratiche e vendere i mobili. Durante la notte sono stati sorpresi dai criminali, sono stati legati e uccisi a coltellate. Oggi i loro corpi sono trasferiti al monastero di san Matteo presso Ba Ashika per la sepoltura.
Questo nuovo fatto di sangue avviene nello stesso in cui Benedetto XVI ha chiesto ai fedeli all’Angelus di pregare affinché si fermi la violenza contro cristiani e musulmani in Iraq. Poche ore prima dell’atto omicida il gen. Qassim Atta aveva detto in una conferenza stampa che i responsabili per gli attacchi sanguinosi ai cristiani, e degli altri attentati nel Paese, sono quindici arabi “non iracheni”, un eufemismo per indicare terroristi che vengono dall’estero.
E in questa situazione di insicurezza crescente continua l’esodo delle famiglie cristiane irachene verso il nord del Paese. Dopo la raffica di attentati a chiese e proprietà private della comunità a Baghdad e Mosul sono ormai circa 500 le famiglie in movimento verso la regione semi autonoma del Kurdistan, stando a stime riportate dal giornale Azzaman. Solo a Sulaimaniya, sono arrivate almeno 85 famiglie nel giro di due settimane. I profughi lasciano case, mobili e lavoro, come pure parrocchie e monasteri, tra i più antichi della cristianità.
Il dolore della partenza non è alleviato dalle garanzie del governo “in fieri”. Il premier Nouri al-Maliki sta formando il nuovo esecutivo su mandato del presidente Jalal Talabani. Il primo ministro ha garantito che consegnerà il nuovo governo entro il 30 dicembre. Ma proprio lo stallo politico che si protrae da nove mesi in Iraq non fa sperare la comunità cristiana di ottenere giustizia o protezione. Dopo aver arrestato una cellula di al Qaeda ritenuta responsabile anche dell’attentato del 31 ottobre alla chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso nella capitale, le autorità hanno promesso di dare circa 400 dollari a ogni famiglia che deciderà di lasciare la propria casa. “Sono briciole”, hanno commentato alcuni cristiani: la somma non permette di pagare neppure un mese di affitto per un appartamento al Nord.
Anche il governo curdo di Erbil ha promesso di aiutare i profughi in arrivo, ma gli esperti ritengono che sarà difficile gestire un così ampio afflusso di migranti. Non tutti, però, decidono di scappare. Soprattutto a Mosul, i cristiani vivono nel terrore ma sono molti che preferiscono la paura al dolore di lasciare le proprie case. Un tempo comunità di circa un milione di fedeli, dal 2003 i cristiani in Iraq hanno visto praticamente dimezzata la loro presenza.