By Korazym
Andrea Gagliarducci
Un richiamo alle Nazioni Unite, perché portino aiuto alle
popolazioni. Un richiamo ai leaders religiosi, perché si prendano la
responsabilità di denunciare quello che sta accadendo in Iraq. E la
richiesta fortissima a tutta la comunità internazionale di far
rispettare la dignità dell’essere umano. Qualcosa che non è stato fatto,
e che è alle origini dell’ascesa della “auto-proclamatasi entità
distruttiva, il cosiddetto gruppo dello Stato islamico”. In un breve
discorso in otto punti, Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente
della Santa Sede presso le Nazioni Unite, mette in chiaro la posizione
del Vaticano.
È una sessione speciale, ci è voluto un
po’ per raccogliere le firme necessarie per convocarla, un terzo dei 47
membri del Consiglio dei Diritti Umani. La Santa Sede ha lavorato
alacremente, con diversi incontri bilaterali, e si sperava anche ci
fosse il cardinal Fernando Filoni a relazionare come ospite della
situazione dei cristiani in Iraq. Lui, che in Iraq ci è andato da
inviato papale, avrebbe potuto più di tutti raccontare la terribile
situazione che si trovano a vivere non solo i cristiani, ma tutte le
minoranze religiose in Iraq, sotto la spinta feroce del cosiddetto Stato
Islamico.
“Le persone vengono decapitate a causa della loro fede; le donne sono
violate senza pietà e vendute come schiave sul mercato; i bambini sono
forzati a combattere; i prigionieri massacrati contro ogni disposizione
giuridica”, accusa Tomasi.
Il quale sottolinea che “la responsabilità della protezione
internazionale, specialmente quando un governo non è capace di
assicurare la sicurezza delle vittime, si applica sicuramente in questo
caso”. È l’ingerenza umanitaria, di cui parlava già Giovanni Paolo II, e
che Papa Francesco ha ripreso nel suo discorso in aereo. Serve
l’intervento delle Nazioni Unite, sotto la cui egida si dovrebbero
mettere gli Stati per intervenire nella drammatica situazione che si sta
verificando in Iraq.
“Tutti gli attori regionali e internazionali devono condannare
esplicitamente il comportamento brutale, barbaro e incivile dei gruppi
criminali che combattono nella Siria dell’Est e nel Nord dell’Iraq”,
dice il nunzio.
Il quale poi sottolinea che “la responsabilità di proteggere deve
essere assunta in buona fede, nella cornice della legge internazionale e
della legge umanitaria”. Tomasi afferma che la società civile in
generale, e in particolare le comunità etniche e religiose, non
“dovrebbero diventare uno strumento di giochi geopolitici regionali e
interregionali”, né devono essere visti come “oggetto di indifferenza” a
causa della “loro identità religiosa”, o semplicemente perché sono una “quantità trascurabile”.
“La protezione, se non è efficace, non è protezione”, afferma Tomasi.
E allora “le agenzie degli Stati Uniti, in collaborazione con le
autorità locali, devono portare aiuto umanitario adeguato, cibo, acqua,
medicine, un tetto, a quelli che stanno scappando dalla violenza”.
Ma – ammonisce il nunzio – questo aiuto “deve essere una assistenza
temporanea. I cristiani, gli yazidi e gli altri gruppi che sono stati
costretti con la forza ad andare via hanno il diritto di tornare nelle
loro case, ricevere assistenza per la ricostruzione delle loro case e
luoghi di culto e vivere in sicurezza”.
Tomasi chiede anche di “fermare il flusso di armi e il mercato nero
del petrolio, così come ogni supporto politico indiretto al cosiddetto
gruppo dello Stato Islamico, perché questo “può porre una fine alla
violenza”.
Secondo gli esperti, circa 3 milioni di dollari arrivano dalle
compagnie occidentali al mercato nero del petrolio, soldi che vanno
direttamente a finanziare le multinazionali del terrore.
Tomasi chiede poi che “i perpetratori di questi crimini contro
l’umanità devono essere perseguiti con determinazione. Non gli deve
essere permesso di agire con impunità”, perché questo porterebbe al
rischio che le “atrocità commesse dal cosiddetto gruppo dello Stato
Islamico si possano ripetere”.
“Quello che sta succedendo oggi in Iraq è successo nel passato e
potrebbe succedere ancora domani in altri posti. L’esperienza ci insegna
che una risposta insufficiente, o anche peggio l’inazione totale, porta
spesso ad una ulteriore escalation di violenza”, afferma Tomasi.
Per questo “fallire nel proteggere tutti i cittadini iracheni,
permettendo loro di essere vittime innocenti di questi criminali in
un’atmosfera di parole vuole, avrà tragiche conseguenze sull’Iraq, per
le sue nazioni vicine e per il resto del mondo”.