La recentissima morte da martire cristiano
di Salem Matti Kourki, il 43 enne di Bartellah, cittadina della piana
di Ninive, trucidato dai miliziani dello Stato islamico per essersi
rifiutato di abiurare la sua fede e di convertirsi all’islam, accende un
riflettore su due fatti rilevanti ma poco noti dell’agonia dei
cristiani iracheni. Il primo riguarda la perdurante presenza di
centinaia di loro a Mosul e nelle cittadine della piana di Ninive
occupate dai jihadisti dell’Isil il 7 agosto scorso: mentre la quasi
totalità delle comunità ha abbandonato quei luoghi (si stima un esodo di
150 mila persone, alle quali ne vanno aggiunte altrettante di religione
yazida), alcuni sono voluti restare. Si tratta per la maggior parte di
persone anziane o malate, ma anche di adulti che non intendono
abbandonare le loro proprietà immobiliari, col rischio di vederle
perdute per sempre e, nel caso di Mosul, di cristiani che già da tempo
pagavano una sorta di tassa di sottomissione a gruppi islamisti radicali
diversi dallo Stato islamico, e che quindi considerano la loro
condizione del tutto speciale.
Nell’Iraq settentrionale è molto diffusa l’abitudine di tenere in
casa riserve alimentari per fare fronte a imprevisti, e ciò ha permesso a
molti di non mostrarsi in pubblico per settimane. Quando, come nel caso
di Salem Kourki, le riserve di acqua e cibo finiscono, cominciano i
problemi. Secondo la ricostruzione dei fatti resa possibile anche dalla
testimonianza di un fratello dell’uomo che ha trovato riparo nella città
di Erbil (testimonianza raccolta da Sat2000 nel servizio proposto in
fondo a questa pagina), gli uomini armati che lo hanno fermato a un
posto di blocco si sono dichiarati disponibili a fornirgli ciò di cui
aveva bisogno a condizione che si convertisse all’islam. Al suo deciso
rifiuto avrebbero reagito prima prendendolo a botte e poi uccidendolo
con colpi di arma da fuoco.
Salem Kourki era un siriaco ortodosso, una Chiesa orientale presente
soprattutto in Siria e che in Iraq conta circa 50 mila fedeli. A Erbil i
siriaci ortodossi giunti come profughi a causa degli attacchi di luglio
e di agosto sono in gran parte ospitati nelle pertinenze della chiesa
di Oum el Nour, dedicata a Maria Madre della Luce. Come gli altri
cristiani accolti nei 15 centri che le varie Chiese hanno organizzato
nella capitale regionale del Kurdistan, si tengono in contatto coi
parenti rimasti nelle località di origine attraverso i telefoni
cellulari (quando quelli dei parenti non sono stati sequestrati, com’è
regola, dallo Stato islamico) o attraverso vicini di casa, conoscenti o
amici musulmani che si muovono con relativa libertà. L’apprensione per
il loro destino cresce di giorno in giorno, perché man mano che le
scorte di viveri si esauriscono, sono costretti a venire allo scoperto e
a manifestare la propria condizione ai jihadisti.
Abiurare mai
Abiurare mai
Il secondo fatto rilevante che il martirio di Salem Matti Kourki mette
in evidenza è l’indisponibilità di quasi tutti cristiani iracheni ad
abiurare la propria fede anche quando vengono sottoposti alle pressioni
più forti e alle minacce più gravi. I casi di cristiani iracheni
convertiti all’islam nel corso dell’ultimo decennio si contano in poche
decine, e spesso si è trattato di conversioni opportunistiche che poi
sono state rinnegate non appena i ricatti che le avevano determinate
sono venuti meno. Il riferimento all’ultimo decennio dipende dal fatto
che la persecuzione contro i cristiani in Iraq è iniziata esattamente
dieci anni fa, l’1 agosto del 2004, quando cinque autobombe esplosero
contro altrettante chiese a Baghdad e a Mosul. Contemporaneamente
iniziarono i rapimenti mirati di cristiani, che non sono mai cessati.
Prassi standard dei gruppi jihadisti è quella di proporre agli
ostaggi la conversione all’islam, come riferiscono tutti coloro che sono
stati rilasciati dopo il pagamento di onerosi riscatti e quanti sono
sopravvissuti a sequestri di gruppo spesso conclusisi tragicamente. La
conversione non è garanzia automatica di rilascio, ma conduce
immediatamente al miglioramento delle condizioni di detenzione: cessano
gli abusi fisici, migliora il vitto e viene restituito un minimo di
libertà di movimento. Tuttavia la quasi totalità dei sequestrati – si
tratti di caldei, assiri orientali, siriaci cattolici o ortodossi – si
nega alla conversione e riafferma di fronte ai rapitori la propria
identità cristiana. Gli aneddoti circa i cristiani iracheni che hanno
rifiutato di abiurare la loro fede in occasione di un sequestro di
persona sono numerosi.
Nel
2007 un gruppo di jihadisti fermò un’automobile all’altezza di Tikrit
per rapinare i passeggeri. Dalla presenza di croci, iconcine e rosari si
resero conto che si trattava di cristiani: il conducente era un taxista
caldeo della cittadina di Batnaya che stava trasportando verso Baghdad
due uomini e una donna provenienti dalla stessa località cristiana della
piana di Ninive. I guerriglieri apostrofarono i tre uomini ordinando
loro di convertirsi all’islam se volevano avere salva la vita. Questi
rifiutarono, ribadendo il loro buon diritto a vivere come cristiani in
Iraq. La donna, moglie di uno dei tre, fu mandata libera – ed è lei la
fonte di questo racconto – mentre i tre uomini furono portati via e
scomparvero nel nulla insieme al taxi.
Nessuna pietà per la sedicenne
Ancora più tragica ed eroica la storia di Surur, ragazza cristiana caldea di 16 anni di Baghdad, che fu martirizzata per il suo rifiuto di indossare il velo islamico. Era figlia di un rivenditore di bevande alcoliche che subiva estorsioni da parte di vari gruppi a cavallo fra criminalità e jihadismo e pagava la “protezione” per non vedere distrutta la sua attività. Fino a quando la famiglia risiedeva nella Zona Verde della capitale, le condizioni di sicurezza erano accettabili. Ma dopo essere stata sfrattata dalla casa in affitto dove viveva per fare posto a una persona legata al primo ministro, aveva dovuto trovarsi un altro domicilio in un quartiere pieno di problemi. A scuola gli insegnanti pretendevano che Surur portasse il velo come le sue compagne musulmane, adducendo i rischi a cui l’intero istituto sarebbe andato incontro se non si fosse sottomesso ai diktat degli estremisti. Dopo molte discussioni Surur aveva cessato di frequentare la scuola, in attesa di trasferirsi in un altro istituto. Non ne ebbe il tempo.
Ancora più tragica ed eroica la storia di Surur, ragazza cristiana caldea di 16 anni di Baghdad, che fu martirizzata per il suo rifiuto di indossare il velo islamico. Era figlia di un rivenditore di bevande alcoliche che subiva estorsioni da parte di vari gruppi a cavallo fra criminalità e jihadismo e pagava la “protezione” per non vedere distrutta la sua attività. Fino a quando la famiglia risiedeva nella Zona Verde della capitale, le condizioni di sicurezza erano accettabili. Ma dopo essere stata sfrattata dalla casa in affitto dove viveva per fare posto a una persona legata al primo ministro, aveva dovuto trovarsi un altro domicilio in un quartiere pieno di problemi. A scuola gli insegnanti pretendevano che Surur portasse il velo come le sue compagne musulmane, adducendo i rischi a cui l’intero istituto sarebbe andato incontro se non si fosse sottomesso ai diktat degli estremisti. Dopo molte discussioni Surur aveva cessato di frequentare la scuola, in attesa di trasferirsi in un altro istituto. Non ne ebbe il tempo.
Uno dei giorni seguenti, in piena notte un’auto con le insegne della
polizia si fermò davanti a casa sua, ne scesero quattro uomini in divisa
che si fecero aprire con violenza la porta. Segregarono in una stanza i
genitori, un fratello e una sorella di Surur e condussero la ragazza
nel locale adiacente, dove la violentarono per un’ora e alla fine la
uccisero tagliandole la gola. La famiglia cercò rifugio a Beirut e gli
assassini non furono mai puniti.