"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

16 settembre 2014

Rogazionisti in Iraq. Padre Zuhir Nasser, profugo tra i profughi di Erbil

By Baghdadhope*

Padre Zuhir Nasser R.C.J. è un sacerdote Rogazionista nato a Qaraqosh (Iraq) che dopo molti anni trascorsi in Italia era tornato nel 2103 nel suo paese con alcuni suoi confratelli per avviare una presenza dell’Ordine e mettere in pratica una delle sue missioni: “essere buoni operai nella Chiesa, impegnati nelle opere di carità, nell’educazione e santificazione dei fanciulli e dei giovani, specialmente poveri e abbandonati, nell'evangelizzazione e promozione umana e nel soccorso dei poveri.”
Fino al 6 agosto Padre Zuhir lavorava  tra Qaraqosh e Bartella, uno dei villaggi caduti quella notte nelle mani dei miliziani dello Stato Islamico.
Ecco come Padre Zuhir racconta a Baghdadhope quell’evento: 
“Siamo fuggiti di notte lasciando tutto per paura delle truppe dello Stato islamico. C’erano cristiani, ma anche yazidi e sciiti che fuggivano da Qaraqosh, Karamles e Bartella. Era la notte tra il 6 ed il 7 di agosto e ci siamo diretti verso Erbil. All’inizio i cristiani si sono accampati nelle chiese, nelle piazze e nelle strade e dopo 3 giorni sono state aperte alcune scuole per alloggiarli.”
Come e dove presta la sua opera oggi?

“Lavoro presso la scuola elementare Hammurabi che rispetto ad altri campi è piccola ed ospita circa 40 famiglie per un totale di circa 180 persone, tutte cristiane. Ad aiutarmi ad assisterle c’è un altro sacerdote ed una suora ma purtroppo non riusciamo ad ospitare altre persone. Per ora i profughi non saranno sgombrati dall’edificio perché si tratta di una scuola elementare, mentre le prime che dovranno tornare allo scopo primario sono quelle medie e superiori; a ben pensare però è giusto che i ragazzi possano tornare a studiare e che magari anche quelli arrivati qui come profughi possano farlo. Mi rendo conto che non sarà per nulla facile, ed è per questo che è necessario pensare a soluzioni alternative per le migliaia di persone arrivate ad Erbil che tra poco dovranno affrontare l’inverno fuori dalle loro case.”
Chi vi aiuta?
“All’inizio c’erano delle agenzie umanitarie a darci il necessario per sopravvivere e non so se sono state quelle agenzie a rifornire un magazzino ad Ankawa dove prendevamo ciò che ci serviva. Le scuole ed i campi sono gestiti dalla chiesa che, ad esempio, attraverso i vescovi ha fatto richiesta al Ministero dell’Istruzione del Kurdistan perché le scuole fossero concesse ai profughi. La situazione è tragica, i bisogni, anche di semplice sussistenza, sono tanti e finora non abbiamo non abbiamo ricevuto fondi, qualche famiglia ha avuto dei soldi dall’ufficio statale che si occupa dei rifugiati ma la maggior parte di esse non ha e non ha avuto nulla. Molti non sono neanche riusciti a trovare posto nelle scuole o nei campi e dormono per strada.” Si è parlato di aiuti offerti ai profughi da privati cittadini di Erbil…
“Alcune persone di buon cuore hanno aperto le porte delle loro case ai rifugiati, e noi le ringraziamo per questo, ma ci sono anche quelle che stanno approfittando della situazione per arricchirsi sulla loro pelle. L’affitto di una casa completamente vuota può arrivare anche a 1000 Euro al mese a cui si aggiungono 6 mesi di anticipo ed altri soldi per la caparra.”
Come è organizzato il suo lavoro?
“La gestione della scuola, dalla distribuzione del cibo alla pulizia è affidata a noi ed alle persone che la abitano e che contribuiscono come possono. Non abbiamo un centro medico ma del personale medico ed infermieristico dell’Ospedale di Qaraqosh che, ad esempio, ha vaccinato i bambini ed i ragazzi.”
Cosa vogliono le persone che assistete?
“La maggior parte di loro vuole fuggire dall’Iraq ed andare all’estero perché non ci sono garanzie che possano tornare alle proprie case e vivere in pace senza che succeda più ciò che è accaduto negli ultimi mesi. Sono pochi coloro che vogliono rimanere anche se si chiedono: Come faremo a ricostruire ciò che ci hanno portato via? Per chi dovremmo farlo? Cosa troveremo una volta tornati a casa? Domande a cui nessuno può dare risposta.”
Come può definire la situazione?
“Mi rendo conto che in molte parti del mondo è difficile capire la tragedia di 200.000  profughi ma la paragonerei agli effetti di un terremoto devastante o di uno tsunami, ed il nostro è solo uno dei casi dato che a ben considerare i profughi creati dall’avanzare dello Stato islamico nel mondo sono ormai 2 milioni.”