By Tempi
È abbastanza sconcertante notare come nel rapporto di Amnesty International
dedicato a quanto sta accadendo in Iraq, si parli di molte e varie
crudeltà, glissando su quelle subite dai cristiani. Non sarà elegante
farlo notare – qualcuno potrebbe pensare che si stia facendo una gara di
“vittimismo” – ma resta comunque il fatto che l’associazione, che pure
ha fatto un buon lavoro, abbia quasi timore a parlare delle torture e
degli omicidi di cristiani. La domanda, quindi, è una sola: perché?
LE PIETRE, NON LE PERSONE. Eppure il rapporto non si sottrae alla denuncia delle terribili vicende degli yazidi, altra minoranza che ha subito gli attacchi degli jihadisti del Califfato islamico. Si parla di «sistematica pulizia etnica», di «uccisioni sommarie», di rapimenti e stupri. Costruito intorno alle testimonianze, il report è assai accurato nel descrivere le atrocità. Però, quando si parla di cristiani, sembra che essi abbiano subito attacchi solo per quanto riguarda i monumenti, non alle persone. Insomma, di parla di pietre, non di carne. Anche quando si sofferma sulle conversioni forzate, il rapporto dedica due terzi del suo spazio agli yazidi, solo poi accennando ai cristiani.
LE PIETRE, NON LE PERSONE. Eppure il rapporto non si sottrae alla denuncia delle terribili vicende degli yazidi, altra minoranza che ha subito gli attacchi degli jihadisti del Califfato islamico. Si parla di «sistematica pulizia etnica», di «uccisioni sommarie», di rapimenti e stupri. Costruito intorno alle testimonianze, il report è assai accurato nel descrivere le atrocità. Però, quando si parla di cristiani, sembra che essi abbiano subito attacchi solo per quanto riguarda i monumenti, non alle persone. Insomma, di parla di pietre, non di carne. Anche quando si sofferma sulle conversioni forzate, il rapporto dedica due terzi del suo spazio agli yazidi, solo poi accennando ai cristiani.
LE TESTIMONIANZE NON MANCANO. Ripetiamo: non è una “gara” a chi ha sofferto di più, però non può non balzare all’occhio questa “dimenticanza”. Eppure gli appelli, le descrizioni, le testimonianze in questo senso non mancano. Tempi ve le ha raccontato tramite il reportage di Rodolfo Casadei, ma basterebbero le parole di monsignor Luis Raphael Sako, di monsignor Shlemon Warduni, di monsignor Emil Shimoun Nona per sapere che cosa è successo e succede oggi in Iraq. Giorgio Lingua, il nunzio apostolico, ha parlato di esodo e genocidio. Ma basterebbe rileggere l’ultimo caso di cronaca, quello di Salem Matti Kourki, torturato e ucciso perché non ha voluto abiurare. E Salem era cristiano.
LA CHIESA E GLI IRACHENI. Quando monsignor Fernando Filoni, il delegato di papa Francesco, è stato in Iraq ha parlato degli yazidi, dei cristiani, dei turcomanni. Ci sono stati esempi anche di musulmani che hanno difeso i cristiani. La giornalista Dalia AlAqidi, dipendente dell’emittente irachena Sumaria, si è messa una croce al collo e si è scagliata dalla tv contro il «fascismo politico islamista». Insomma, la Chiesa e alcuni iracheni hanno testimoniato la verità di quel che accade nel paese. I terroristi del Califfato islamico non fanno distinzioni quando si tratta di tagliare le gole. Perché Amnesty ha scelto di farle?