By Radiovaticana
Islam non vuol dire terrorismo. Un concetto, questo, ribadito più volte durante i lavori del Sinodo per il Medio Oriente. I Padri hanno espresso la necessità di incrementare gli sforzi per il dialogo con i musulmani.
Su questo si sofferma, al microfono di Paolo Ondarza, padre Raymond Moussalli, protosincello di Babilonia dei Caldei per la Giordania
R. – Vogliamo aprire le porte soprattutto ai musulmani moderati. Non vogliamo un islam contro i cristiani. Noi sappiamo che anche loro, come noi, credono in un unico Dio. D. – Il rapporto con l’islam è, secondo lei, uno degli aspetti più importanti tra quelli emersi dal Sinodo?
R. – Sì, è molto importante in questi tempi, dopo l’offensiva condotta in alcuni Paesi dagli estremisti contro i cristiani: tanti cristiani iracheni sono scappati dal Paese, sono stati costretti perché sono cristiani. E vogliamo dire ai fratelli musulmani che anche noi siamo originari di questa terra e vogliamo continuare a vivere come abbiamo fatto per 1400 anni, insieme. Vogliamo continuare a offrire una testimonianza cristiana alla regione mediorientale.
D. – Che cosa vuol dire essere cristiani in un Paese in cui vige la legge islamica?
R. – Ci sono Paesi che non riconoscono i cristiani come cittadini di primo grado: pensano che siamo di secondo grado…
Come abbiamo sentito, la presenza della Chiesa in nazioni a maggioranza musulmana non è sempre semplice: ciò che mette i cristiani nella situazione delicata di non cittadini – ricorda l’Instrumentum Laboris del Sinodo – è il fatto che nell’islam non è netta la distinzione tra religione e politica.
Sulle sofferenze della Chiesa nel Medio Oriente, Paolo Ondarza ha intervistato mons. Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico di Alep in Siria
R. – I cristiani, essendo una minoranza numerica, spesso si sentono come stretti attorno di un cerchio: vivono sotto l’influenza di un regime o di regimi a carattere islamico, dove il libro sacro, il Corano, ha il suo dire nella politica.
D. – Qual è l’attività della Chiesa cattolica in Siria? In che cosa consiste?
R. – La mia comunità di cattolici di rito latino-romano è una piccola comunità, che lavora anche in aiuto alle Chiese orientali, sia cattoliche che ortodosse, soprattutto attraverso l’attività di religiosi e religiose. Noi siamo in più di 60 punti missionari, dove non vi sono comunità cattoliche di rito romano, ma solo orientali. Operiamo attraverso il dispensario medico, il centro di catechesi, l’assistenza alle famiglie bisognose: tutto ciò rappresenta un aiuto generoso verso i bisognosi.
Dunque, la presenza dei cattolici in Medio Oriente vuol dire spesso testimonianza silenziosa attraverso la vita e l’attività caritatevole al fianco degli ultimi. “E’, quindi, nell’interesse delle società musulmane che le comunità cristiane siano vive e attive nel mondo mediorientale”.
Lo ha ribadito nei giorni scorsi, intervenendo in aula, Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, tra gli uditori al Sinodo dei vescovi. Paolo Ondarza lo ha intervistato
R. – I cristiani in Medio Oriente sono una minoranza, a causa di vari problemi della storia di questi ultimi secoli, ma non per questo hanno perso il senso della loro missione. A mio avviso, i cristiani in Medio Oriente dovrebbero vivere quell’idea di Benedetto XVI di essere minoranza creativa. La creatività sta nel ripensare, nell’oggi, il senso e il valore della loro presenza, che io vedo soprattutto nel fatto di essere un’avanguardia in questo mondo in cui siamo chiamati a vivere insieme. I cristiani hanno una grande particolarità: vivono assieme agli ebrei, vivono con i musulmani, e in fondo rappresentano il mondo di oggi in cui tutti, bene o male, dobbiamo vivere con gli altri. Questa loro missione di vivere con gli altri, secondo me, ha un senso profondo anche per noi in Occidente.
D. – Tra l’altro, l’importanza della presenza cristiana è stata sottolineata anche dagli interventi di esponenti di altre religioni qui al Sinodo...
R. – Sì, innanzitutto i cristiani aiutano a costruire una società più pluralista. I rappresentanti musulmani hanno detto con grande chiarezza che senza i cristiani la società islamica diventerebbe più fondamentalista, perché completamente omogenea. Il Medio Oriente non è mai stato il luogo dell’omogeneità, ma del pluralismo, quindi è il luogo dove si è convissuto insieme per secoli e questo messaggio è ancora vivo oggi.
D. – Il fatto di essere una minoranza non deve essere un ostacolo...
R. – Assolutamente no. Mi sembra che da questi giorni di Sinodo ci sia una parola che stia emergendo: la parola “speranza”. Dopo tanti anni problematici, dovuti anche all’ultima guerra in Iraq, i cristiani qui al Sinodo stanno prendendo coraggio e vedono il loro futuro con speranza, nonostante siano un piccolo gregge.
D. – Si è parlato dell’importanza della presenza dei Movimenti ecclesiali in Medio Oriente. Qual è il contributo che possono dare alla pace in Medio Oriente?
R. – I Movimenti hanno in se stessi il seme della creatività: sono un frutto dello Spirito Santo, sono una grande novità per tutta la Chiesa e quindi anche per la Chiesa in Medio Oriente. I Movimenti ecclesiali possono lavorare alla base nella società, perché sono fatti da laici, nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro, nei diversi ambienti dove essi operano, per costruire appunto una società del vivere insieme.
D. – Crede che quanto sta emergendo da questo Sinodo, e quindi il lavoro per una maggiore comunione nella Chiesa cattolica in Medio Oriente, possa contribuire a quella civiltà del dialogo, nata ad Assisi nell’’86 e, quindi, a un maggior incontro tra le diverse religioni, oltre che tra cristiani?
R. – Sì. In questi giorni vedo una grande apertura, cioè la necessità di essere insieme, i cattolici con le altre Chiese cristiane, ma anche con le altre religioni, con l’islam e con l’ebraismo. La società in Medio Oriente, come in Occidente, è in crisi. E non è soltanto una crisi economico-finanziaria, ma è anche una crisi di valori. Le religioni, dunque, collaborando insieme per la pace, per la giustizia e per il benessere dell’uomo, riportano queste società ai loro fondamentali valori.
Islam non vuol dire terrorismo. Un concetto, questo, ribadito più volte durante i lavori del Sinodo per il Medio Oriente. I Padri hanno espresso la necessità di incrementare gli sforzi per il dialogo con i musulmani.
Su questo si sofferma, al microfono di Paolo Ondarza, padre Raymond Moussalli, protosincello di Babilonia dei Caldei per la Giordania
R. – Vogliamo aprire le porte soprattutto ai musulmani moderati. Non vogliamo un islam contro i cristiani. Noi sappiamo che anche loro, come noi, credono in un unico Dio. D. – Il rapporto con l’islam è, secondo lei, uno degli aspetti più importanti tra quelli emersi dal Sinodo?
R. – Sì, è molto importante in questi tempi, dopo l’offensiva condotta in alcuni Paesi dagli estremisti contro i cristiani: tanti cristiani iracheni sono scappati dal Paese, sono stati costretti perché sono cristiani. E vogliamo dire ai fratelli musulmani che anche noi siamo originari di questa terra e vogliamo continuare a vivere come abbiamo fatto per 1400 anni, insieme. Vogliamo continuare a offrire una testimonianza cristiana alla regione mediorientale.
D. – Che cosa vuol dire essere cristiani in un Paese in cui vige la legge islamica?
R. – Ci sono Paesi che non riconoscono i cristiani come cittadini di primo grado: pensano che siamo di secondo grado…
Come abbiamo sentito, la presenza della Chiesa in nazioni a maggioranza musulmana non è sempre semplice: ciò che mette i cristiani nella situazione delicata di non cittadini – ricorda l’Instrumentum Laboris del Sinodo – è il fatto che nell’islam non è netta la distinzione tra religione e politica.
Sulle sofferenze della Chiesa nel Medio Oriente, Paolo Ondarza ha intervistato mons. Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico di Alep in Siria
R. – I cristiani, essendo una minoranza numerica, spesso si sentono come stretti attorno di un cerchio: vivono sotto l’influenza di un regime o di regimi a carattere islamico, dove il libro sacro, il Corano, ha il suo dire nella politica.
D. – Qual è l’attività della Chiesa cattolica in Siria? In che cosa consiste?
R. – La mia comunità di cattolici di rito latino-romano è una piccola comunità, che lavora anche in aiuto alle Chiese orientali, sia cattoliche che ortodosse, soprattutto attraverso l’attività di religiosi e religiose. Noi siamo in più di 60 punti missionari, dove non vi sono comunità cattoliche di rito romano, ma solo orientali. Operiamo attraverso il dispensario medico, il centro di catechesi, l’assistenza alle famiglie bisognose: tutto ciò rappresenta un aiuto generoso verso i bisognosi.
Dunque, la presenza dei cattolici in Medio Oriente vuol dire spesso testimonianza silenziosa attraverso la vita e l’attività caritatevole al fianco degli ultimi. “E’, quindi, nell’interesse delle società musulmane che le comunità cristiane siano vive e attive nel mondo mediorientale”.
Lo ha ribadito nei giorni scorsi, intervenendo in aula, Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, tra gli uditori al Sinodo dei vescovi. Paolo Ondarza lo ha intervistato
R. – I cristiani in Medio Oriente sono una minoranza, a causa di vari problemi della storia di questi ultimi secoli, ma non per questo hanno perso il senso della loro missione. A mio avviso, i cristiani in Medio Oriente dovrebbero vivere quell’idea di Benedetto XVI di essere minoranza creativa. La creatività sta nel ripensare, nell’oggi, il senso e il valore della loro presenza, che io vedo soprattutto nel fatto di essere un’avanguardia in questo mondo in cui siamo chiamati a vivere insieme. I cristiani hanno una grande particolarità: vivono assieme agli ebrei, vivono con i musulmani, e in fondo rappresentano il mondo di oggi in cui tutti, bene o male, dobbiamo vivere con gli altri. Questa loro missione di vivere con gli altri, secondo me, ha un senso profondo anche per noi in Occidente.
D. – Tra l’altro, l’importanza della presenza cristiana è stata sottolineata anche dagli interventi di esponenti di altre religioni qui al Sinodo...
R. – Sì, innanzitutto i cristiani aiutano a costruire una società più pluralista. I rappresentanti musulmani hanno detto con grande chiarezza che senza i cristiani la società islamica diventerebbe più fondamentalista, perché completamente omogenea. Il Medio Oriente non è mai stato il luogo dell’omogeneità, ma del pluralismo, quindi è il luogo dove si è convissuto insieme per secoli e questo messaggio è ancora vivo oggi.
D. – Il fatto di essere una minoranza non deve essere un ostacolo...
R. – Assolutamente no. Mi sembra che da questi giorni di Sinodo ci sia una parola che stia emergendo: la parola “speranza”. Dopo tanti anni problematici, dovuti anche all’ultima guerra in Iraq, i cristiani qui al Sinodo stanno prendendo coraggio e vedono il loro futuro con speranza, nonostante siano un piccolo gregge.
D. – Si è parlato dell’importanza della presenza dei Movimenti ecclesiali in Medio Oriente. Qual è il contributo che possono dare alla pace in Medio Oriente?
R. – I Movimenti hanno in se stessi il seme della creatività: sono un frutto dello Spirito Santo, sono una grande novità per tutta la Chiesa e quindi anche per la Chiesa in Medio Oriente. I Movimenti ecclesiali possono lavorare alla base nella società, perché sono fatti da laici, nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro, nei diversi ambienti dove essi operano, per costruire appunto una società del vivere insieme.
D. – Crede che quanto sta emergendo da questo Sinodo, e quindi il lavoro per una maggiore comunione nella Chiesa cattolica in Medio Oriente, possa contribuire a quella civiltà del dialogo, nata ad Assisi nell’’86 e, quindi, a un maggior incontro tra le diverse religioni, oltre che tra cristiani?
R. – Sì. In questi giorni vedo una grande apertura, cioè la necessità di essere insieme, i cattolici con le altre Chiese cristiane, ma anche con le altre religioni, con l’islam e con l’ebraismo. La società in Medio Oriente, come in Occidente, è in crisi. E non è soltanto una crisi economico-finanziaria, ma è anche una crisi di valori. Le religioni, dunque, collaborando insieme per la pace, per la giustizia e per il benessere dell’uomo, riportano queste società ai loro fondamentali valori.