By Baghdadhope*
"Condanniamo in ogni caso la pena capitale" con queste parole Mons. Warduni ha commentato a Baghdadhope la pena di morte inflitta dalla corte irachena a Tareq Aziz, vice premier ai tempi del regime baathista.
Aziz, il cui vero nome è Michael Yohanna, è nato a Tel Keif nel 1936 da una famiglia cattolica caldea ed ha militato da subito nelle fila del partito Baath fino ad occuparne le più alte cariche. Subito dopo il rovescimento del regime nel 2003 si arrese alle truppe USA che lo ebbero in consegna fino allo scorso luglio quando fu affidato alla custodia delel autorità irachene.
Mons. Warduni ha affermato di avere appreso la notizia della condanna solo ieri mattina mentre era impegnato con gli altri vescovi caldei arrivati a Roma per il Sinodo per il Medio Oriente in un incontro di preparazione per il prossimo sinodo della chiesa che si terrà non prima del prossimo anno.
"Noi cristiani rispettiamo il diritto alla vita. La nostra fede ci porta a credere che a nessuno debba essere tolta la vita che Dio ha donato" ha spiegato, "ciò che noi chiediamo è la pace, la sicurezza e l'incontro tra le persone, non il loro scontro. Vogliamo il meglio per ogni essere umano."
Del caso Tareq Aziz ha parlato ieri sera anche Mons. Jean B. Sleiman, Arcivescovo latino di Baghdad, nel corso di un incontro sulla cristianità in Iraq svoltosi a Torino.
Premettendo di non essere a conoscenza dei particolari della condanna, Mons. Sleiman ha avanzato l'ipotesi che essa possa essere una sorta di "messaggio", di "stop" alle parti che in Iraq premono per la reintegrazione nella vita politica e sociale del paese degli appartenenti al disciolto partito Baath.
Tareq Aziz non era però l'argomento in discussione al Sermig, il Servizio Missionario Giovanile, dove si è tenuto l'incontro organizzato dall'Università del Dialogo.
Partendo dal recente Sinodo per il Medio Oriente Mons. Sleiman ha illustrato la situazione irachena in generale e quella dei cristiani in particolare.
Del Sinodo il prelato ha detto che "è andato benissimo" anche se, è ovvio, "non si possono risolvere tutti i problemi" ma anche che l'attenzione dei media si è troppo focalizzata sulle implicazioni politiche lette nei discorsi dei padri sinodali, specialmente quelli riguardanti la Terra Santa. Maggiore attenzione avrebbe dovuto essere rivolta invece, secondo Mons. Sleiman, alla Comunione che questo sinodo, con esponenti non solo del cattolicesimo ma anche dell'ortodossia, del protestantesimo, dell'islam e dell'ebraismo, ha rappresentato.
Per quanto riguarda la situazione degli iracheni cristiani la descrizione di Mons. Sleiman è stata di luci (poche) e di ombre (molte).
Pur ricordando come la sorte degli iracheni cristiani non possa essere separata da quella di tutti gli altri connazionali Mons. Sleiman ha sottolineato come per i primi la vita significhi "speranza in questi tempi cattivi, pazienza nell'attesa che il male venga sconfitto e una vita in cui per evitare problemi è meglio non apparire, non farsi notare."
La cristianità irachena "si è indebolita e per molti la soluzione è l'emigrazione." A spiegare questo fenomeno secondo Mons. Sleiman sono vari fattori: l'instabilità politica, i problemi economici, l'impossibilità di emergere nella vita pubblica e quindi costruirsi un futuro, ma soprattutto è "il non sentire più l'Iraq come la propria patria, l'aver paura che possa diventare una repubblica islamica."
Un rischio, questo, da non sottovalutare non solo perchè, come ha ricordato il vescovo, l'articolo 2 della Costituzione prevede che non possa essere approvata nessuna legge che contraddica le regole indiscusse dell’Islam, quanto perchè la condizione di Dhimmi* in cui i cristiani vivono, sebbene non sancita dalla legge, esiste nella psicologia comune e quindi nella pratica e fa di essi dei cittadini di serie B.
Una situazione che non è aiutata nè dalla mancanza di un governo* nè dalla stessa società irachena ancora basata sul sistema tribale che impedisce la creazione di uno stato super partes in grado di considerare tutti i suoi cittadini come uguali.
I cristiani sono perseguitati in Iraq? Secondo Mons. Sleiman "la persecuzione è limitata nel tempo e nello spazio ma la pressione psicologica e morale nei loro confronti è estesa."
A questo proposito, secondo il vescovo, in Iraq si possono elencare quattro situazioni diverse riguardo alla convivenza tra le parti, fermo restando che nella vita quotidiana dei singoli i gesti di fraternità non mancano:
1. Le zone in cui essa è impossibile
2. Le zone in cui non si può parlare di persecuzione nei confronti dei cristiani quanto piuttosto di "forti pressioni psicologiche e morali che li portano ad omologarsi agli usi ed ai costumi della maggioranza all'interno della quale vivono"
3. Isole, momenti di dialogo e reciprocità rappresentate ad esempio dalla presenza alle feste ma anche ai funerali dei cristiani di alcuni musulmani che testimoniano la volontà di condividere così le gioie ed i dolori dei loro connazionali di diversa fede.
4. Zone, come nel nord dell'Iraq, dove si cerca di applicare l'esperienza occidentale e dove maggiore è la libertà di coscienza.
Come aiutare gli iracheni cristiani. A questa domanda rivoltagli da una persona tra il pubblico Mons. Sleiman ha risposto come la base di tutto sia la conoscenza di quel mondo che si può ottenere attraverso la studio e l'informazione, e che per quanto complicato esso appaia non ci deve spaventare perchè bisogna solo "decidere di conoscere".
Ha poi anche parlato dei progetti in corso nella sua Arcidiocesi e che riguardano la necessità di "ricostruire l'Uomo" attraverso due percorsi principali: la salute, con due ospedali che fanno capo all'Arcidiocesi latina ed un terzo in costruzione, ed i giovani, il futuro della comunità, che stanno iniziando a riunirsi in associazioni e che devono avere degli spazi per crescere e maturare vivendo appieno la loro età e per i quali c'è spazio, anche per un campo di calcetto, nella cattedrale latina.
Non di solo Iraq ha però parlato Mons. Sleiman. Sollecitato a dare un consiglio a chi, in Occidente, affronta il problema della convivenza tra le diverse culture e religioni il prelato ha ricordato come "chi accoglie non deve rinunciare alla propria identità ed ai suoi valori" e come tocchi "a chi immigra integrarsi nel paese che lo accoglie".
Un concetto ribadito rispondendo alla domanda su cosa gli italiani/europei non hanno capito dell'Islam: "forse che colui che arriva è contento di trovare davanti a sè una persona che non nasconde la propria identità."
Un consiglio da una voce autorevole.
* Dhimmi: ebrei e cristiani (ma anche altre minoranze non islamiche) che ottengono protezione da parte della maggioranza islamica in cambio del pagamento di una tassa e che non godono di effettiva parità nella società.
* Dopo le elezioni di marzo 2010 ad oggi l'Iraq non ha ancora un governo effettivo
Note di Baghdadhope