"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

11 ottobre 2010

Medio Oriente: Sinodo al via «Chiese antiche, sete di futuro»

By Avvenire, 10 ottobre 2010

Oggi si apre l’Assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi che durerà fino al 24 ottobre. Avvenire ha intervistato il patriarca di Alessandria dei Copti Antonios Naguib, nominato relatore generale del Sinodo che si tiene sul tema La Chiesa cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza.

Beatitudine, perché un Sinodo speciale per il Medio Oriente? I vescovi del Medio Oriente hanno espresso, in diverse occasioni, alla Santa Sede il desiderio di riunirsi insieme per elaborare una visione comune. E mi rallegro che Benedetto XVI abbia accolto questo desiderio. Tutte le Chiese orientali stanno affrontando sfide fondamentali e sentono l’esigenza di riflettere su quale sia oggi la loro missione e la loro testimonianza e su come rinnovare la loro comunione nel contesto che stanno vivendo.
Intende il difficile contesto politico? Non solo. Nell’Instrumentum Laboris si parla certamente dei conflitti e guerre che accrescono le ansie dei cristiani, ma ci sono anche congiunture nuove, come la crescita del fondamentalismo, oltre alle questioni relative alle relazioni tra diverse Chiese.
In Occidente si fa fatica a cogliere la molteplicità delle Chiese orientali. Molti vi vedono il segno delle antiche divisioni tra cristiani...
Le divisioni che esistono ancora sono effettivamente un frutto amaro del passato e ciò ci pone delle sfide per cercare di far cadere gli ostacoli all’unità visibile dei cristiani. Tuttavia le Chiese d’Oriente e d’Occidente beneficiano reciprocamente delle loro rispettive tradizioni. La varietà di tradizioni e spiritualità è una grande ricchezza da conservare per tutta la Chiesa.

Uno dei punti cruciali è il rapporto con l’islam. Ha seguito le reazioni musulmane alla convocazione del Sinodo?

Dopo la pubblicazione dell’Instrumentum Laboris ho letto sulla stampa alcuni commenti negativi, frasi estrapolate dal loro contesto, ma erano tutti firmati da giornalisti noti per la loro opposizione a tutto.

Quale punto contestavano di preciso?

Dicevano che il Vaticano lavora alla creazione di un fronte cristiano contro l’islam. Un giornalista ha lamentato davanti a me «l’insistenza» del Documento sul pericolo islamico. Gli ho risposto che noi ci siamo limitati a descrivere un fatto, l’islam politico, che ha finito per proporre lo slogan «l’islam è la soluzione». Si evoca un periodo in cui la voce di questo islam risultava più alta delle altre. Questo periodo, in verità, non si è concluso, ma questa tendenza non è più l’unica né la più forte. Bisogna fare in modo che nelle nostre società predominino i diritti dell’uomo, la democrazia e l’uguaglianza per scongiurare questo pericolo e il carattere teocratico di molti governi.

Un’altra questione è quella dell’emigrazione. C’è veramente il rischio di un’estinzione del cristianesimo nel Medio Oriente?

C’è una preoccupazione del ritmo inaudito del fenomeno in alcuni Paesi, come l’Iraq. Perciò i Padri sinodali esamineranno il modo di sostenere le comunità, anche attraverso una sensibilizzazione sul «dovere storico» dei cristiani di rimanere nella regione. Solo che non possiamo costringere nessuno a farlo; si tratta di una scelta personale. Fino a pochi decenni fa, le famiglie tentate dall’emigrazione venivano a chiedermi consiglio al patriarcato, mentre ora vengono solo per comunicarmi la loro decisione e chiedere la mia benedizione. Sanno che la Chiesa non incoraggia affatto tale scelta.

E così le Chiese orientali «inseguono» i loro fedeli in diaspora istituendo anche nuove diocesi...

Le Chiese hanno il dovere di assistere spiritualmente, secondo il proprio rito, le famiglie emigrate. Nei Paesi in cui il numero dei fedeli è esiguo lo possono certamente fare attraverso una coordinazione con le diocesi locali o con l’ordinario del luogo. Il punto è che, negli ultimi vent’anni, l’emigrazione si è talmente accelerata da rendere necessario, per alcune Chiese, la creazione di proprie diocesi. Tutto dipende da come viene vista questa molteplicità. Se, come dicevo prima, è una ricchezza per l’intera Chiesa, non vedo perché l’Occidente debba privarsene.

Camille Eid