By Asia News
di Louis Sako
“C’è un pericolo reale di estinzione della comunità cristiana in Iraq”: è quanto afferma mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, a pochi giorni dall’apertura del Sinodo per le Chiese in Medio Oriente. La speranza del vescovo irakeno è che vengano riconosciuti i diritti di uguaglianza e cittadinanza della comunità cristiana in Iraq, le cui radici nel Paese sono antichissime; potenziando la convivenza pacifica con la maggioranza musulmana. Il Sinodo, in corso a Roma fino al 24 ottobre, ha come obiettivo proprio il potenziamento della comunione e della testimonianza dei cristiani, rafforzando i legami tra le Chiese e garantendo libertà religiosa, pace e giustizia anche in Medio Oriente. La testimonianza che qui presentiamo è quella offerta da mons. Sako al Seminario internazionale sulla persecuzione contro i cristiani, tenutosi il 5 ottobre scorso a Bruxelles.
1. L’inizio
Molti di voi probabilmente non conoscono [la situazione] dei cristiani in Iraq. Il cristianesimo è penetrato in Mesopotamia (Iraq) sin dall’inizio dell’era cristiana. Secondo la versione più conosciuta e largamente diffusa, l’apostolo Tommaso fu il primo a evangelizzare quelle regioni attraverso il suo viaggio in India. Ai tempi della conquista musulmana nel 637, circa metà della popolazione di quello che oggi è l’Iraq e una grande parte dell’Iran era cristiana. I cristiani d’Iraq sono una delle più antiche comunità cristiane del mondo. La loro lingua madre è l’aramaico, la lingua di Cristo, e parlano anche arabo. Ovviamente, negli ultimi anni, pochi cristiani hanno sofferto di più degli iracheni.
2. La situazione attuale
Per noi il nostro futuro è legato ai musulmani che sono la maggioranza, ma al tempo stesso siamo preoccupati per la crescita dell’estremismo religioso e politico dell’islam. Gli estremisti sono un grande pericolo per il mondo intero. La loro strategia è quella di imporre le loro regole e i loro modi perfino nei Paesi in cui sono ospitati. Non c’è chiarezza sul futuro della scena del mondo islamico! La religione dovrebbe essere aggiornata e integrata nella vita dei fedeli di oggi.
All’inizio del ventesimo secolo i cristiani in Medio Oriente erano il 20% della popolazione, ma oggi rappresentano meno del 10%. In Iraq, secondo la Commissione sulla libertà religiosa internazionale degli Stati Uniti, prima della guerra c’erano circa 1 milione di cristiani. Oggi, sono solo circa 500mila.
Negli ultimi anni vi è stato un numero allarmante di omicidi a sfondo religioso, sequestri, pestaggi, stupri, minacce, intimidazioni, conversioni forzate, matrimoni, la fuga da case e negozi, e attacchi a leader religiosi, pellegrini e luoghi sacri. In Iraq, le più piccole minoranze religiose sono tra le più vulnerabili, anche se tutti gli iracheni – provenienti da molte comunità religiose, musulmane e non musulmane – hanno sofferto di questa violenza. Inoltre, i membri delle piccole comunità di minoranze religiose in Iraq non hanno milizia o strutture tribali a difenderli, non ricevono un’adeguata protezione ufficiale e sono giuridicamente, politicamente ed economicamente emarginati.
In Iraq il numero dei cristiani continua a diminuire. Forse continueranno a scomparire sotto una continua persecuzione, le minacce e la violenza messe in atto dagli estremisti, che non danno altra scelta: la conversione immediata all’islam, o consegnare le loro proprietà e lasciare il Paese, o pagare un tributo in denaro al jihad se vogliono evitare la morte. Almeno 51 chiese sono state attaccate – 3 delle quali nella mia diocesi. Un vescovo e tre sacerdoti sono stati rapiti e assassinati, e circa 900 innocenti cristiani sono stati uccisi dall’invasione del 2003 guidata dagli Stati Uniti. Centinaia di migliaia hanno abbandonato le loro case e adesso vivono nei Paesi vicini come rifugiati politici. Sono alla ricerca di un posto sicuro in cui vivere ed educare i loro bambini allo stesso modo in cui a loro stessi è stato permesso prima della guerra. Da 6 mesi i politici iracheni non sono in grado di formare il nuovo governo.
3. Cosa bisogna fare? Non lasciarli soli
C’è un vero pericolo di estinzione della comunità cristiana in Iraq e in altri Paesi. Per queste famiglie, la guerra è stata un disastro. Gli americani sono responsabili non solo di quella tragedia, ma anche di un futuro stabile e pacifico. Non dovrebbero ritirare le truppe dall’Iraq senza preoccuparsi, dimenticando [quelle famiglie].
Anche la comunità internazionale è responsabile per mantenere le minoranze etniche e religiose nella loro terra, per mantenere la loro presenza e difendere la loro eredità e testimonianza. La mancanza di un piano per fermare l’esodo mortale che affligge la nostra comunità è preoccupante.
Il futuro dei cristiani in Iraq, ma anche in Medio Oriente, ha due possibilità: o l’emigrazione, o accettare di vivere come cittadini di seconda classe tra mille difficoltà e paure.
La domanda che esige una risposta urgente e decisiva è: “Come possono essere aiutati i cristiani iracheni?”. Abbiamo bisogno di un sostegno forte da parte di tutti, con una visione “politica” chiara e piani precisi non soltanto per proteggere e incoraggiare i cristiani a rimanere a casa e sperare, ma anche per favorire la riconciliazione tra gli iracheni, per promuovere i diritti umani in quell’area e chiedere ai governi di rispettare le leggi. I cristiani sono stati, e possono continuare a esserlo oggi, uno strumento di dialogo, di coesistenza pacifica, e di collaborazione con i nostri fratelli musulmani che apprezzano le loro qualità. Perciò la migrazione dei cristiani dal Medio Oriente è una grande perdita per entrambi.
La comunità internazionale deve prendersi le sue responsabilità e trovare con le autorità locali un accordo comune per rispettare la dignità dell’essere umano e i suoi diritti basati sull’uguaglianza e la piena cittadinanza, con impegni di collaborazione e protezione. Perciò è necessario apportare modifiche reali alla Costituzione per garantire i diritti di tutti i cittadini allo stesso modo.
La forza di uno Stato dovrebbe essere basata sulla credibilità nell’applicare le leggi in maniera uguale verso tutti i cittadini, senza discriminazioni tra musulmani e non musulmani, maggioranza e minoranza. Questa è una vergogna. Nel mondo occidentale i musulmani godono di piena uguaglianza e non sono considerati una minoranza o cittadini di seconda classe. In Medio Oriente noi siamo indigeni e non rifugiati!
La comunità internazionale dovrebbe cercare i migranti, nel facilitare e garantire il ritorno a casa, ma anche [aiutare] il reinsediamento nei casi particolari di iracheni che non hanno alcuna prospettiva di tornare a casa, o le cui situazioni sono talmente pericolose che la vita in Iraq non è semplicemente possibile, pur senza incoraggiare o favorire la migrazione. Se le ambasciate danno i visti ai cristiani, nessuno rimarrà. La comunità internazionale può impegnarsi a finanziare alcuni progetti nei villaggi dove i cristiani vivono, per esempio scuole, farmacie, strade, progetti agricoli. Dobbiamo superare il livello di sopravvivenza per una vita stabile di testimonianza e presenza future. Dobbiamo risolvere il problema del fondamentalismo. Si dovrebbero varare nuovi programmi didattici basati su un’istruzione religiosa; combattere [il fondamentalismo] con le armi, può solo alimentarlo. Una formazione aperta in materia di diritti umani e valori religiosi positivi potrebbe essere più efficiente.
Noi speriamo che il prossimo Sinodo per il Medio Oriente, che si terrà dal 10 al 24 ottobre, richiami l’attenzione sui nostri problemi. È un’opportunità per rivedere l’intera situazione dei cristiani in Medio Oriente; poiché ci sono così tanti temi cruciali da affrontare speriamo che questo Sinodo sia altamente produttivo. Prima di concludere vorrei ringraziare il Parlamento europeo, ovvero l’Ecr e il Ppe, e gli organizzatori di questo incontro, i deputati Mario Mauro e Konrad Szymanski. Si tratta di rendere un grande aiuto nel sostenere le minoranze, in particolare i cristiani.
di Louis Sako
“C’è un pericolo reale di estinzione della comunità cristiana in Iraq”: è quanto afferma mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, a pochi giorni dall’apertura del Sinodo per le Chiese in Medio Oriente. La speranza del vescovo irakeno è che vengano riconosciuti i diritti di uguaglianza e cittadinanza della comunità cristiana in Iraq, le cui radici nel Paese sono antichissime; potenziando la convivenza pacifica con la maggioranza musulmana. Il Sinodo, in corso a Roma fino al 24 ottobre, ha come obiettivo proprio il potenziamento della comunione e della testimonianza dei cristiani, rafforzando i legami tra le Chiese e garantendo libertà religiosa, pace e giustizia anche in Medio Oriente. La testimonianza che qui presentiamo è quella offerta da mons. Sako al Seminario internazionale sulla persecuzione contro i cristiani, tenutosi il 5 ottobre scorso a Bruxelles.
1. L’inizio
Molti di voi probabilmente non conoscono [la situazione] dei cristiani in Iraq. Il cristianesimo è penetrato in Mesopotamia (Iraq) sin dall’inizio dell’era cristiana. Secondo la versione più conosciuta e largamente diffusa, l’apostolo Tommaso fu il primo a evangelizzare quelle regioni attraverso il suo viaggio in India. Ai tempi della conquista musulmana nel 637, circa metà della popolazione di quello che oggi è l’Iraq e una grande parte dell’Iran era cristiana. I cristiani d’Iraq sono una delle più antiche comunità cristiane del mondo. La loro lingua madre è l’aramaico, la lingua di Cristo, e parlano anche arabo. Ovviamente, negli ultimi anni, pochi cristiani hanno sofferto di più degli iracheni.
2. La situazione attuale
Per noi il nostro futuro è legato ai musulmani che sono la maggioranza, ma al tempo stesso siamo preoccupati per la crescita dell’estremismo religioso e politico dell’islam. Gli estremisti sono un grande pericolo per il mondo intero. La loro strategia è quella di imporre le loro regole e i loro modi perfino nei Paesi in cui sono ospitati. Non c’è chiarezza sul futuro della scena del mondo islamico! La religione dovrebbe essere aggiornata e integrata nella vita dei fedeli di oggi.
All’inizio del ventesimo secolo i cristiani in Medio Oriente erano il 20% della popolazione, ma oggi rappresentano meno del 10%. In Iraq, secondo la Commissione sulla libertà religiosa internazionale degli Stati Uniti, prima della guerra c’erano circa 1 milione di cristiani. Oggi, sono solo circa 500mila.
Negli ultimi anni vi è stato un numero allarmante di omicidi a sfondo religioso, sequestri, pestaggi, stupri, minacce, intimidazioni, conversioni forzate, matrimoni, la fuga da case e negozi, e attacchi a leader religiosi, pellegrini e luoghi sacri. In Iraq, le più piccole minoranze religiose sono tra le più vulnerabili, anche se tutti gli iracheni – provenienti da molte comunità religiose, musulmane e non musulmane – hanno sofferto di questa violenza. Inoltre, i membri delle piccole comunità di minoranze religiose in Iraq non hanno milizia o strutture tribali a difenderli, non ricevono un’adeguata protezione ufficiale e sono giuridicamente, politicamente ed economicamente emarginati.
In Iraq il numero dei cristiani continua a diminuire. Forse continueranno a scomparire sotto una continua persecuzione, le minacce e la violenza messe in atto dagli estremisti, che non danno altra scelta: la conversione immediata all’islam, o consegnare le loro proprietà e lasciare il Paese, o pagare un tributo in denaro al jihad se vogliono evitare la morte. Almeno 51 chiese sono state attaccate – 3 delle quali nella mia diocesi. Un vescovo e tre sacerdoti sono stati rapiti e assassinati, e circa 900 innocenti cristiani sono stati uccisi dall’invasione del 2003 guidata dagli Stati Uniti. Centinaia di migliaia hanno abbandonato le loro case e adesso vivono nei Paesi vicini come rifugiati politici. Sono alla ricerca di un posto sicuro in cui vivere ed educare i loro bambini allo stesso modo in cui a loro stessi è stato permesso prima della guerra. Da 6 mesi i politici iracheni non sono in grado di formare il nuovo governo.
3. Cosa bisogna fare? Non lasciarli soli
C’è un vero pericolo di estinzione della comunità cristiana in Iraq e in altri Paesi. Per queste famiglie, la guerra è stata un disastro. Gli americani sono responsabili non solo di quella tragedia, ma anche di un futuro stabile e pacifico. Non dovrebbero ritirare le truppe dall’Iraq senza preoccuparsi, dimenticando [quelle famiglie].
Anche la comunità internazionale è responsabile per mantenere le minoranze etniche e religiose nella loro terra, per mantenere la loro presenza e difendere la loro eredità e testimonianza. La mancanza di un piano per fermare l’esodo mortale che affligge la nostra comunità è preoccupante.
Il futuro dei cristiani in Iraq, ma anche in Medio Oriente, ha due possibilità: o l’emigrazione, o accettare di vivere come cittadini di seconda classe tra mille difficoltà e paure.
La domanda che esige una risposta urgente e decisiva è: “Come possono essere aiutati i cristiani iracheni?”. Abbiamo bisogno di un sostegno forte da parte di tutti, con una visione “politica” chiara e piani precisi non soltanto per proteggere e incoraggiare i cristiani a rimanere a casa e sperare, ma anche per favorire la riconciliazione tra gli iracheni, per promuovere i diritti umani in quell’area e chiedere ai governi di rispettare le leggi. I cristiani sono stati, e possono continuare a esserlo oggi, uno strumento di dialogo, di coesistenza pacifica, e di collaborazione con i nostri fratelli musulmani che apprezzano le loro qualità. Perciò la migrazione dei cristiani dal Medio Oriente è una grande perdita per entrambi.
La comunità internazionale deve prendersi le sue responsabilità e trovare con le autorità locali un accordo comune per rispettare la dignità dell’essere umano e i suoi diritti basati sull’uguaglianza e la piena cittadinanza, con impegni di collaborazione e protezione. Perciò è necessario apportare modifiche reali alla Costituzione per garantire i diritti di tutti i cittadini allo stesso modo.
La forza di uno Stato dovrebbe essere basata sulla credibilità nell’applicare le leggi in maniera uguale verso tutti i cittadini, senza discriminazioni tra musulmani e non musulmani, maggioranza e minoranza. Questa è una vergogna. Nel mondo occidentale i musulmani godono di piena uguaglianza e non sono considerati una minoranza o cittadini di seconda classe. In Medio Oriente noi siamo indigeni e non rifugiati!
La comunità internazionale dovrebbe cercare i migranti, nel facilitare e garantire il ritorno a casa, ma anche [aiutare] il reinsediamento nei casi particolari di iracheni che non hanno alcuna prospettiva di tornare a casa, o le cui situazioni sono talmente pericolose che la vita in Iraq non è semplicemente possibile, pur senza incoraggiare o favorire la migrazione. Se le ambasciate danno i visti ai cristiani, nessuno rimarrà. La comunità internazionale può impegnarsi a finanziare alcuni progetti nei villaggi dove i cristiani vivono, per esempio scuole, farmacie, strade, progetti agricoli. Dobbiamo superare il livello di sopravvivenza per una vita stabile di testimonianza e presenza future. Dobbiamo risolvere il problema del fondamentalismo. Si dovrebbero varare nuovi programmi didattici basati su un’istruzione religiosa; combattere [il fondamentalismo] con le armi, può solo alimentarlo. Una formazione aperta in materia di diritti umani e valori religiosi positivi potrebbe essere più efficiente.
Noi speriamo che il prossimo Sinodo per il Medio Oriente, che si terrà dal 10 al 24 ottobre, richiami l’attenzione sui nostri problemi. È un’opportunità per rivedere l’intera situazione dei cristiani in Medio Oriente; poiché ci sono così tanti temi cruciali da affrontare speriamo che questo Sinodo sia altamente produttivo. Prima di concludere vorrei ringraziare il Parlamento europeo, ovvero l’Ecr e il Ppe, e gli organizzatori di questo incontro, i deputati Mario Mauro e Konrad Szymanski. Si tratta di rendere un grande aiuto nel sostenere le minoranze, in particolare i cristiani.