By Medarabnews, 24 ottobre 2010
by Mohammad Sammak
Versione originale, 15 ottobre 2010: المسألة المسيحية الشرقية
I cristiani d’Oriente vivono una fase sempre più critica, ed il loro numero è in costante diminuzione; tuttavia, se essi scompariranno, il Medio Oriente non sarà più lo stesso; esso perderà la propria identità, il proprio ruolo ed il proprio messaggio – scrive il musulmano libanese Mohammad Sammak
***
I cristiani in Oriente attraversano una situazione preoccupante: il loro numero è in diminuzione ed il loro ruolo è in declino. Il persistere di questo fenomeno rappresenta una catastrofe nazionale sotto tutti i punti di vista: culturale, sociale, economico e politico. Se si verificherà una catastrofe del genere, non risparmierà nessuno dei paesi d’Oriente. Le leadership ufficiali di tali paesi sanno che questa situazione significa una perdita di cervelli e di forze produttive. Ciò si traduce in un’emorragia di competenze, di capacità, e di potenziale scientifico, di cui le società di questi paesi hanno estremo bisogno. Le leadership politiche sanno anche che la perdita della diversità che caratterizzava le società orientali, a causa dell’emigrazione cristiana, significa:
1) La riconfigurazione di queste società sulla base di “un unico colore”, cosa che porta al rafforzamento dell’estremismo inteso come rifiuto ed annullamento dell’altro.
2) Il radicamento di una cultura di chiusura a spese di una cultura di apertura.
Questi due elementi inviano al mondo un duplice messaggio:
a) che in Oriente non c’è posto per alcuni di coloro che vi abitano; che esso strangola la diversità e il pluralismo; e che tra le vittime di questo strangolamento vi è la libertà religiosa. In altre parole, questo messaggio significa che l’Islam non tollera il Cristianesimo in Oriente, dopo circa 1400 anni di convivenza concretizzatasi in una fiorente civiltà. Sebbene questa convivenza abbia registrato alti e bassi, essa non era mai venuta meno;
b) che i musulmani in Occidente potrebbero portare con sé questa cultura di rifiuto dell’altro, il che significherebbe che essi non sono in grado di adattarsi e di integrarsi nelle loro nuove società. Pertanto questo rifiuto costituisce una bomba sociale ad orologeria. Un messaggio di questo genere è destinato a gettare nuova benzina sul fuoco dell’islamofobia che già sta divampando, e che basa la propria forza distruttiva sull’ignoranza e sull’odio da un lato, e sulla reazione sbagliata di alcuni estremisti musulmani dall’altro. La mancata separazione, nella cultura islamica generale, fra Occidente e Cristianesimo fa di ogni problema fra Islam e Occidente un problema fra l’Islam e il Cristianesimo orientale, e fa quindi dei cristiani orientali un obiettivo “a portata di mano” delle reazioni ad alcune posizioni o ad alcuni comportamenti dell’Occidente, come è accaduto ultimamente in Iraq. Di conseguenza, i cristiani d’Oriente diventano vittime dell’azione occidentale non-cristiana, e della reazione orientale non-musulmana. Ciò aggrava le loro sofferenze ed accresce le loro preoccupazioni per il futuro.
Le leadership ufficiali sanno anche che i molteplici e svariati popoli del mondo, con le loro tradizioni, le loro culture, le loro lingue ed i loro colori differenti, hanno compenetrato i loro modi di vivere e intrecciato i loro interessi; sanno che i confini esistenti fra questi popoli, a causa della rivoluzione delle comunicazioni, sono diventati confini immaginari; sanno anche che – per quanto riguarda specificamente i musulmani e i cristiani – due terzi dei cristiani oggi vivono nei paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America del Sud, e ciò significa che il Cristianesimo non è più la religione dell’uomo bianco, né la religione del colonizzatore, né la religione dei popoli ricchi. Esso è la religione dei poveri, delle persone di colore, dei colonizzati e degli oppressi. Esso non è più la religione dell’Europa e degli Stati Uniti, ma la religione delle popolazioni che convivono fianco a fianco con i popoli musulmani, dall’Indonesia alla Nigeria. Queste leadership sanno che più di un quarto dei musulmani – i quali sono circa un miliardo e mezzo di persone – vivono in stati e società non islamici che vanno dall’America del Nord fino all’Australia, passando per l’Europa, la Cina e l’India.
Questi cambiamenti radicali impongono due possibili esiti: il conflitto sulla base del rifiuto e della sfiducia nell’altro, o la convivenza sulla base dell’amore e del rispetto delle differenze.
L’Oriente arabo può offrire un modello di successo per l’agognata formula della convivenza, sulla base del fatto che il messaggio cristiano e quello musulmano si sono diffusi a partire dall’Oriente; e sulla base del fatto che cristiani e musulmani sono figli di questo Oriente, e sono legati da un’unica civiltà, dalla stessa cultura e dalla stessa lingua, e perfino dalla stessa origine etnica e clanica. Essi appartengono alle stesse patrie per la cui fondazione hanno lottato. Per proteggere la sovranità e la libertà di queste patrie essi hanno combattuto insieme. I cambiamenti numerici non dovrebbero influire sulla sostanza di questa realtà.
Ma questa supposizione non sembra essere sempre vera. Ed è qui la fonte del pericolo di cui è indispensabile che le leadership ufficiali siano consapevoli, ed a cui è necessario che prestino attenzione.
In alcuni paesi d’Oriente si assiste a un’ascesa di movimenti fanatici ed estremisti. Alcune leadership politiche cercano di convivere con questi movimenti. Ma i fatti dimostrano che la negligenza non fa altro che incoraggiare l’estremismo. I fatti dimostrano anche che, con il passare del tempo, il “prezzo da pagare” è sempre più alto, così come la sofferenza dei cristiani è sempre più grande, fino a portarli alla rabbia ed alla disperazione, che si esprime in uno o in entrambi dei seguenti esiti negativi: l’emigrazione, e l’isolamento.
Altre leadership politiche si oppongono ai movimenti estremisti in maniera radicale, e li combattono al punto da isolarli ed emarginarli. Allo stesso tempo esse si aprono alle forze nazionali cristiane e collaborano con queste ultime. Ma anche in questo caso i fatti hanno dimostrato che tale preferenza accordata ai cristiani ha portato ad aggravare il solco esistente fra i movimenti estremisti ed i cittadini cristiani. Tale preferenza ha infatti dipinto i cittadini cristiani come alleati del potere ostile a questi movimenti. Questa ostilità ha dunque acquisito una dimensione religiosa, e non solo politica.
Quando, poi, le leadership politiche appianano le loro divergenze con i movimenti estremisti (come accadde in Egitto nell’era di Sadat, ad esempio), i leader cristiani nazionali si trovano al di fuori dell’ombrello del potere, e più esposti alla reazione dell’estremismo.
Inoltre, siccome le leadership politiche spesso sono alleate o collaborano con l’Occidente (gli Stati Uniti ed i paesi europei), la convinzione erronea che l’Occidente coincida con il Cristianesimo fa apparire la collaborazione dei cristiani d’Oriente con le leadership politiche nazionali come una sottomissione agli orientamenti dell’Occidente e un’adesione alle sue politiche, cosa che a sua volta rafforza la convinzione che i cristiani d’Oriente e l’Occidente siano una cosa sola.
Alla luce di questa descrizione della realtà, è importante affermare la necessità urgente di quanto segue:
1) Spezzare il legame tra il naturale ruolo nazionale dei cristiani d’Oriente ed il conflitto per il potere che infuria tra le leadership ufficiali ed i movimenti religiosi estremisti.
2) Radicare e divulgare alcuni principi fondamentali nella cultura generale, chiarendo che né l’Occidente rappresenta il Cristianesimo, né i cristiani d’Oriente rappresentano un’estensione dell’Occidente.
3) Ribadire che né l’emigrazione cristiana dall’Oriente né l’auto-isolamento dei cristiani risolvono i problemi di cui essi soffrono in Oriente, ma anzi li aggravano.
4) Sensibilizzare l’opinione pubblica nelle società musulmane – compresi i movimenti estremisti – sul fatto che l’emigrazione cristiana dall’Oriente non rappresenta soltanto una perdita per i cristiani, o per le società orientali, ma offre in sostanza una testimonianza distorta e negativa dell’Islam e del modello di convivenza islamo-cristiano. A pagare il prezzo di ciò sono i musulmani sparsi in tutto il mondo.
5) Diffondere una cultura unitaria della cittadinanza, fondata sull’uguaglianza dei cittadini nei propri diritti e nei propri doveri, in modo tale che questi diritti non siano legati a una data religione o a una data appartenenza confessionale. La responsabilità generale e la base delle leadership ufficiali devono fondarsi sul principio seguente: che la sofferenza dei cristiani d’Oriente è la sofferenza dei musulmani d’Oriente, e la responsabilità di far fronte a questa sofferenza è una responsabilità islamica così come cristiana.
Poiché se l’Oriente perde la sua molteplicità religiosa, confessionale e razziale, perde le specificità che sono la fonte della sua bellezza e del suo fascino, e la sua immagine si trasforma da quella di un tappeto dai colori luminosi, dall’ordito squisito, e dall’armonia delle forme, in un semplice pezzo di moquette indistinta.
I cristiani d’Oriente possono vivere all’interno di società non orientali. I musulmani d’Oriente possono vivere separati dai cristiani. Tuttavia l’Oriente non sarà più l’Oriente. In questo modo esso perderà la propria identità, il proprio ruolo ed il proprio messaggio.
Per 1500 anni l’Oriente ha conservato la propria identità, è andato fiero del proprio ruolo, e si è vantato del proprio messaggio, malgrado tutte le avversità e i flagelli che si sono abbattuti su di esso. Oggi l’Oriente è chiamato ancora una volta a ribadire se stesso e la propria originalità. Tutte le esperienze che esso ha vissuto hanno affermato che l’Oriente è tale grazie ai suoi musulmani ed ai suoi cristiani. Altrimenti è un’altra cosa. Una qualunque altra cosa.
Mohammad Sammak è segretario generale del Comitato islamo-cristiano per il Dialogo in Libano; presiede il segretariato permanente del Vertice spirituale islamico in Libano, ed è direttore della rivista “al-Ijtihad”