"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

17 marzo 2021

Vi racconto iI miracolo del papa in Iraq. Parla padre Spadaro

Francesco Gnagni

La storica visita apostolica di papa Francesco in Iraq, che si è svolta dal 5 all’8 marzo e che ha visto Bergoglio incontrare tutta una serie di leader politici e religiosi, e pregare in quelle terre, di fronte a luoghi fortemente simbolici, non è stata di certo solamente un viaggio di cortesia, ma al contrario è servita a molteplici scopi. Tra questi, certamente dimostrare la propria solidarietà a una comunità cristiana assediata, ma anche promuovere il dialogo con il mondo musulmano e sostenere gli sforzi per promuovere la pace e la riconciliazione in Medio Oriente.
Padre Antonio Spadaro lo ha spiegato durante l’evento online organizzato dal Berkley Center for Religion, Peace, and World Affairs della Georgetown University, insieme alla rivista da lui diretta, La Civiltà Cattolica, a cui ha partecipato in qualità di relatore insieme al giornalista Riccardo Cristiano, firma di Formiche.net. L’incontro è stato introdotto e moderato da Shaun Casey, direttore del Berkley Center for Religion, Peace, and World Affairs.
LA VISITA DEL PAPA IN UN PAESE DALLA STABILITÀ POLITICA MOLTO FRAGILE
 “Pensare alla visita del papa in Iraq poteva sembrare un miraggio”, ha spiegato fin da subito il gesuita, ricordando il desiderio di San Giovanni Paolo II di visitare il Paese e il contesto geopolitico dell’epoca, che vedeva gli Stati Uniti preoccupati per il fatto che la visita del papa polacco avrebbe potuto rafforzare la figura di Saddam Hussein, e non a caso Wojtyla alzò la voce contro la Guerra del Golfo, culminata nel 2003 proprio con la seconda spedizione americana e la destituzione del dittatore iracheno. Basta infatti guardare alla molteplicità degli itinerari di papa Bergoglio per capire l’importanza della sua presenza in un Paese la cui stabilità politica è ancora oggi molto fragile, e dove per questo la “ricostruzione della fiducia è essenziale” per la creazione di un ambiente favorevole ai cristiani, ha spiegato Spadaro. “Il Papa nel primo discorso che ha tenuto alle autorità irachene ha indicato un percorso per costruire una società sana in Iraq”, ha quindi commentato il gesuita. Che confessa: “È stato impressionante per me, ad essere onesto, vedere un Papa insieme alle autorità irachene a Baghdad”.
LE DUE STRADE INDICATE DA PAPA FRANCESCO SECONDO IL GESUITA ANTONIO SPADARO
Per Spadaro le strade indicate da Francesco sono due. La prima è quella della cittadinanza, ovvero dello spazio che va necessariamente garantito a tutti i cittadini che intendono costruire un futuro migliore per l’Iraq. “È essenziale in questo senso assicurare la partecipazione di tutti i gruppi politici, sociali o religiosi, e garantire i diritti fondamentali di tutti i cittadini”, perché “nessuno dovrebbe essere considerato un cittadino di seconda classe”, ha chiosato Spadaro durante l’incontro. La seconda sfida invece, ha proseguito il religioso, è esterna al Paese, ed ha a che fare con il bisogno di una cooperazione su scala globale, volta ad affrontare le disparità e le tensioni che influenzano la stabilità di queste terre. In questo senso, per il direttore della storica rivista dei gesuiti l’interpretazione dell’islam di Al-Sistani differisce dall’interpretazione che prevaleva in Iraq, ad esempio, quando nel 2004 l’ayatollah ha sostenuto le libere elezioni nel Paese, dando un importante contributo alla pianificazione del primo governo democratico del paese. Oppure quando nel 2014 ha chiamato gli iracheni ad unirsi e a lottare contro il nascente Stato islamico. Non a caso, al termine dell’incontro, durato 45 minuti, i due leader religiosi hanno parlato all’unisono dell’importanza della cooperazione tra comunità religiose di valori e solidarietà.
LA VISIONE COMUNE TRA BERGOGLIO E L’AYATOLLAH AL-SISTANI
“È così che possiamo contribuire al bene del Paese e di tutta l’umanità”, è il commento del gesuita. Che ne è certo: “Le visioni dei due uomini, Al-Sistani, novant’anni, e papa Francesco, ottantaquattro anni, sono simili”. Tanto che anche il premier iracheno ha commentato l’evento parlando di uno storico incontro interreligioso, al punto da dichiarare il 6 marzo Giornata nazionale di tolleranza e convivenza in Iraq. Ed è quindi così che il messaggio di Papa Francesco diventa azione che “distrugge le narrazioni di tutti i principali attori mondiali coinvolti nell’area. Come Stati Uniti e Russia, ma anche Francia e Regno Unito, Turchia, i militanti iraniani o pro-Iran, gli sciiti e ora anche la Cina, almeno dal punto di vista commerciale”. Tra queste, c’è ad esempio la narrazione che vuole i cristiani come una sorta di avamposto dell’Occidente, o quella religiosa di conflitto permanente. Oppure, ancora, la “complessa visione politica che ha come fulcro Baghdad”, di chi vuole controllare politicamente l’islam usandolo come strumento di potere per ambizioni “neo-ottomane”. Contro tutte queste visioni conflittuali, ha spiegato Spadaro, “il discorso del Papa è stato inclusivo”, con l’affermazione che “oggi ebrei, cristiani, musulmani sono fratelli e sorelle, di religioni diverse, ma tutti unificati sotto un padre comune che è Abramo, che diventa un modello di società e di un modo di fare politica”.
LA GIOIA PALPABILE DEGLI IRACHENI NEL VEDERE UN PONTEFICE IN UNA TERRA CHE ERA DISTRUTTA DALL’ISIS
Il messaggio del papa, insomma, è un vero e proprio “invito a lasciare quegli attaccamenti che chiudono nei propri gruppi impedendo di vedere gli altri, nostri fratelli e sorelle”. Perché è da qui che inizia il sentiero per la pace. Francesco non ha fatto altro che mostrare la strada, spiegando che “chi ha il coraggio di guardare le stelle, chi crede in Dio, non ha nemici da combattere. Ma ha un solo nemico da affrontare, che però si trova sempre all’agguato, alla porta del cuore, e bussa per entrare”. Un’insieme di richiami che mostrano come la visione religiosa della vita non assomiglia di certo a “una simbologia del passato”, ma a “un cantiere del futuro”. Quando poi Francesco si è infine recato a Mosul, città che è stata occupata per tre anni dalle truppe dell’autoproclamato Stato islamico, finendo per tutto quel tempo oggetto di forti devastazioni, ed ha pregato per le vittime della guerra, proclamando che la vera identità della città è nella convivenza tra persone di origini e culture diverse, “la gioia era palpabile”. “È stata una gioia vedere il Papa lì, è stato un miracolo”, ha concluso padre Spadaro. “Ricordo ancora le persone, suore, preti, laici, che ballavano e cantavano in una città che era stata completamente distrutta dall’Isis. È stato un viaggio davvero intenso, dove il ritmo del papa è stato incredibile. Mi chiedo dove abbia trovato l’energia per essere così vitale ed energico”.
GLI INTERVENTI DI RICCARDO CRISTIANO E DI SHAUN CASEY
Il “discorso delle stelle nel cielo”, pronunciato da Bergoglio a Mosul, per il giornalista Riccardo Cristiano è il punto più alto del viaggio, in cui si esprime “lo sguardo cosmico di Francesco”, che invita a guardare alla “fratellanza”, a “non attribuire la colpa a nessuna comunità”. “Questo spiega meglio della teologia e della filosofia quanto accade dentro di noi”, dice Cristiano. “Le stelle sono diverse ma il firmamento è uno. Quelle parole ci insegnano che tutte le creature vivono insieme”.
Shaun Casey ha invece posto l’attenzione sul fatto che gran parte degli aspetti simbolici del viaggio di Francesco siano sfuggiti nella copertura mediatica dell’evento che ne è stata fatta in Occidente, e in particolare negli Stati Uniti. Negli Usa, infatti, alla ricchezza dei contenuti, che si è incrociata ad una sorta di alfabetizzazione rispetto a quanto stesse accadendo, si è tuttavia aggiunta anche la stanchezza degli statunitensi riguardo al tema dell’Iraq. “Troppi americani vogliono voltare le spalle alla storia che sta accadendo oggi, a causa del costo che in passato gli Usa hanno pagato con l’Iraq, oltre che alla vergogna e al senso di colpa. Penso che i media americani abbiano colto quella stanchezza”.
Diverso è invece il punto per quanto riguarda la figura di Al-Sistani. “Credo che l’impegno di Al-Sistani meriti una riflessione più approfondita”, ha concluso Casey. “Guardando indietro dalla prospettiva del 2021, uno dei maggiori fallimenti del governo degli Stati Uniti è stato quello di non capire completamente chi fosse Sistani, e di conseguenza di non essere riusciti a impegnarsi con lui. Ancora oggi mi chiedo come sarebbero andate le cose se ci fosse stato qualche impegno, da parte delle truppe e del governo americani, in quella direzione”.