By AgenSIR
Daniele Rocchi
Venerdì 5 marzo (fino all’8) Papa Francesco partirà per l’Iraq, il primo viaggio di un pontefice nel Paese mediorientale. Una visita fortemente voluta da Bergoglio nonostante la pandemia e le tensioni che attraversano il Paese mai del tutto pacificato dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003. Nella delegazione pontificia ci sarà anche il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il card. Leonardo Sandri al quale il Sir ha chiesto di rileggere il programma del viaggio presentato ieri in Vaticano
Card. Sandri, finalmente un Papa in Iraq, nella patria di Abramo… Arrivando in Iraq Papa Francesco porta a compimento il grande sogno di Giovanni Paolo II, quello di recarsi pellegrino in Iraq, a Ur dei caldei, patria di Abramo, il padre delle tre fedi monoteistiche (Ebraismo, Cristianesimo e Islam). Il sogno di vedere la convergenza dei credenti delle tre fedi abramitiche per aprire gli orizzonti di un mondo nuovo fondato sulla fraternità, sulla pace e sulla giustizia, sul rispetto dei diritti umani e in particolare della libertà religiosa per poter assicurare la convivenza a tutti gli uomini. Papa Francesco arriva come ambasciatore di pace e di speranza per testimoniare che un mondo nuovo senza violenza e odio è possibile.
Il programma del viaggio, per tema “Siete tutti fratelli”, prevede il 5 marzo – dopo l’accoglienza e i saluti ufficiali con le autorità irachene – l’incontro con il clero e i religiosi e catechisti nella cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza a Baghdad, luogo simbolo della chiesa locale perché qui furono massacrati, il 31 ottobre 2010, 48 martiri iracheni in un attacco terroristico…
La comunità cattolica irachena, nelle sue varie denominazioni, ha patito molto la guerra, il terrorismo, la violenza disumana dell’Isis. Questa cattedrale riassume tutto il martirio dei cristiani iracheni, essa è un simbolo, un prototipo di tante sofferenze e testimonianze che sono arrivate fino all’effusione del sangue per Cristo e per la Chiesa. È significativo, dunque, che il primo atto sia rendere omaggio alle vittime dell’attentato, avvenuto una settimana dopo la fine del Sinodo per il Medio Oriente (10-24 ottobre 2010) convocato da Benedetto XVI. L’attacco fu il primo colpo a quel progetto di mettere in atto una Chiesa nuova fondata sulla comunione e sulla testimonianza. Il Papa renderà omaggio a quei martiri – tra loro uomini, donne, bambini, anziani, famiglie – anche per dire al mondo che essere fedeli a Cristo a volte richiede la chiamata al martirio.
Eminenza, nel dicembre del 2012 fu proprio lei a riconsacrare la cattedrale restaurata dopo l’attacco. Quali sono le sue emozioni ora che sta per farvi ritorno accompagnando Papa Francesco?
Sarà una grande emozione. Io tornai due anni dopo l’attentato per la riconsacrazione e molti lavori erano stati fatti, anche la cripta con il monumento ai martiri. Tornare con Papa Francesco sarà ancora di più un toccare con mano il martirio dei cristiani di oggi che purtroppo continua in tanti Paesi del mondo.
Il viaggio di Papa Francesco si connota anche per due momenti di dialogo molto significativi e attesi per le implicazioni future che potrebbero avere: la visita di cortesia al Grande Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani a Najaf e l’incontro interreligioso presso la Piana di Ur dei caldei, patria di Abramo…
Due incontri dai messaggi che travalicano i confini iracheni. L’incontro a Najaf con Al-Sistani, il grande saggio dell’Islam sciita, non può non rimandarci con il pensiero a quello di Abu Dhabi, con il grande imam sunnita di Al-Azhar, Aḥmad Muḥammad Aḥmad al-Ṭayyib. L’incontro di Najaf metterà in risalto questa fraternità che va al di là di tutte le differenze religiose e che per noi si basa sulla creatura umana fatta a immagine e somiglianza di Dio. I figli di Abramo, i cristiani, gli ebrei e i musulmani, professano la fede in un Dio unico e questo è un vincolo che ci unisce.
A suo parere, dall’incontro con lo sciita Al-Sistani potrebbe nascere un cammino come quello con Al-Azhar e magari produrre un documento analogo a quello di Abu Dhabi?
Questo è nelle mani di Dio. Difficile prevedere gli sviluppi. Dobbiamo chiamare tutta la Chiesa a una preghiera corale intensa perché questo viaggio abbia successo. Quando dico successo intendo quello della carità, della fede e della fraternità con tutti. Il fatto di incontrarsi e di avere la possibilità di stare insieme è di per sé una porta che si apre verso il futuro. Speriamo che porti frutto come quelli sbocciati con la Dichiarazione di Abu Dhabi.
Papa Francesco celebrerà messa – prima volta di un Pontefice – in un rito orientale, quello caldeo. Che valore ha questo gesto?
È un gesto di ultra benevolenza del Pontefice verso la Chiesa caldea che ha sofferto tanto e che ora riceve il pastore universale della Chiesa cattolica. È Pietro che viene a confermare nella fede la chiesa irachena caldea.
Domenica 7 marzo altra giornata intensa: il Papa sarà in Kurdistan, a Mosul, città martire irachena scelta dall’Isis come sua capitale e a Qaraqosh, nella Piana di Ninive, teatro dell’esodo cristiano del 2014 causato dalle milizie dello Stato Islamico. Chiusura a Erbil con la messa nello stadio. Una giornata dedicata all’incontro e con la chiesa irachena…
Sarà un po’ la giornata dei discepoli di Emmaus: il Papa, come Gesù con i discepoli, cammina con la Chiesa locale nei luoghi dove un tempo c’erano tantissimi fedeli, Mosul, Qaraqosh, la Piana di Ninive. Sarà la giornata dell’intimità con i cristiani iracheni, un incontro vissuto tra le macerie della guerra che ancora provoca sofferenza e ferite aperte.
Quali sono i suoi auspici per questa visita che – ricordiamolo – arriva a pochissimi giorni dal decimo anniversario (15 marzo 2011) della guerra nella confinante Siria?
Sarà una visita di consolazione e un sigillo impresso sulla chiesa cattolica irachena nonostante le sofferenze patite. Al tempo stesso sarà una forte esortazione al clero, ai religiosi e ai laici a rafforzare i vincoli di unità, di comunione e di testimonianza. E la testimonianza è più forte e credibile quando si trasforma in servizio e amore verso tutti. Il Papa ha sempre un pensiero per il Medio Oriente sofferente. In Siria si combatte oramai da 10 anni. Il balsamo delle parole del Papa in Iraq sarà un balsamo anche per la Siria, per il Libano e per tutto il Medio Oriente. Non è possibile immaginare il Medio Oriente senza cristiani, il Papa lo ripete spesso. Preghiamo allora affinché Papa Francesco possa portare ai nostri fratelli cristiani in Iraq e in Medio Oriente un balsamo di pace, di serenità e un nuovo entusiasmo per essere testimoni di Cristo.
Venerdì 5 marzo (fino all’8) Papa Francesco partirà per l’Iraq, il primo viaggio di un pontefice nel Paese mediorientale. Una visita fortemente voluta da Bergoglio nonostante la pandemia e le tensioni che attraversano il Paese mai del tutto pacificato dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003. Nella delegazione pontificia ci sarà anche il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il card. Leonardo Sandri al quale il Sir ha chiesto di rileggere il programma del viaggio presentato ieri in Vaticano
Card. Sandri, finalmente un Papa in Iraq, nella patria di Abramo… Arrivando in Iraq Papa Francesco porta a compimento il grande sogno di Giovanni Paolo II, quello di recarsi pellegrino in Iraq, a Ur dei caldei, patria di Abramo, il padre delle tre fedi monoteistiche (Ebraismo, Cristianesimo e Islam). Il sogno di vedere la convergenza dei credenti delle tre fedi abramitiche per aprire gli orizzonti di un mondo nuovo fondato sulla fraternità, sulla pace e sulla giustizia, sul rispetto dei diritti umani e in particolare della libertà religiosa per poter assicurare la convivenza a tutti gli uomini. Papa Francesco arriva come ambasciatore di pace e di speranza per testimoniare che un mondo nuovo senza violenza e odio è possibile.
Il programma del viaggio, per tema “Siete tutti fratelli”, prevede il 5 marzo – dopo l’accoglienza e i saluti ufficiali con le autorità irachene – l’incontro con il clero e i religiosi e catechisti nella cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza a Baghdad, luogo simbolo della chiesa locale perché qui furono massacrati, il 31 ottobre 2010, 48 martiri iracheni in un attacco terroristico…
La comunità cattolica irachena, nelle sue varie denominazioni, ha patito molto la guerra, il terrorismo, la violenza disumana dell’Isis. Questa cattedrale riassume tutto il martirio dei cristiani iracheni, essa è un simbolo, un prototipo di tante sofferenze e testimonianze che sono arrivate fino all’effusione del sangue per Cristo e per la Chiesa. È significativo, dunque, che il primo atto sia rendere omaggio alle vittime dell’attentato, avvenuto una settimana dopo la fine del Sinodo per il Medio Oriente (10-24 ottobre 2010) convocato da Benedetto XVI. L’attacco fu il primo colpo a quel progetto di mettere in atto una Chiesa nuova fondata sulla comunione e sulla testimonianza. Il Papa renderà omaggio a quei martiri – tra loro uomini, donne, bambini, anziani, famiglie – anche per dire al mondo che essere fedeli a Cristo a volte richiede la chiamata al martirio.
Eminenza, nel dicembre del 2012 fu proprio lei a riconsacrare la cattedrale restaurata dopo l’attacco. Quali sono le sue emozioni ora che sta per farvi ritorno accompagnando Papa Francesco?
Sarà una grande emozione. Io tornai due anni dopo l’attentato per la riconsacrazione e molti lavori erano stati fatti, anche la cripta con il monumento ai martiri. Tornare con Papa Francesco sarà ancora di più un toccare con mano il martirio dei cristiani di oggi che purtroppo continua in tanti Paesi del mondo.
Il viaggio di Papa Francesco si connota anche per due momenti di dialogo molto significativi e attesi per le implicazioni future che potrebbero avere: la visita di cortesia al Grande Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani a Najaf e l’incontro interreligioso presso la Piana di Ur dei caldei, patria di Abramo…
Due incontri dai messaggi che travalicano i confini iracheni. L’incontro a Najaf con Al-Sistani, il grande saggio dell’Islam sciita, non può non rimandarci con il pensiero a quello di Abu Dhabi, con il grande imam sunnita di Al-Azhar, Aḥmad Muḥammad Aḥmad al-Ṭayyib. L’incontro di Najaf metterà in risalto questa fraternità che va al di là di tutte le differenze religiose e che per noi si basa sulla creatura umana fatta a immagine e somiglianza di Dio. I figli di Abramo, i cristiani, gli ebrei e i musulmani, professano la fede in un Dio unico e questo è un vincolo che ci unisce.
A suo parere, dall’incontro con lo sciita Al-Sistani potrebbe nascere un cammino come quello con Al-Azhar e magari produrre un documento analogo a quello di Abu Dhabi?
Questo è nelle mani di Dio. Difficile prevedere gli sviluppi. Dobbiamo chiamare tutta la Chiesa a una preghiera corale intensa perché questo viaggio abbia successo. Quando dico successo intendo quello della carità, della fede e della fraternità con tutti. Il fatto di incontrarsi e di avere la possibilità di stare insieme è di per sé una porta che si apre verso il futuro. Speriamo che porti frutto come quelli sbocciati con la Dichiarazione di Abu Dhabi.
Papa Francesco celebrerà messa – prima volta di un Pontefice – in un rito orientale, quello caldeo. Che valore ha questo gesto?
È un gesto di ultra benevolenza del Pontefice verso la Chiesa caldea che ha sofferto tanto e che ora riceve il pastore universale della Chiesa cattolica. È Pietro che viene a confermare nella fede la chiesa irachena caldea.
Domenica 7 marzo altra giornata intensa: il Papa sarà in Kurdistan, a Mosul, città martire irachena scelta dall’Isis come sua capitale e a Qaraqosh, nella Piana di Ninive, teatro dell’esodo cristiano del 2014 causato dalle milizie dello Stato Islamico. Chiusura a Erbil con la messa nello stadio. Una giornata dedicata all’incontro e con la chiesa irachena…
Sarà un po’ la giornata dei discepoli di Emmaus: il Papa, come Gesù con i discepoli, cammina con la Chiesa locale nei luoghi dove un tempo c’erano tantissimi fedeli, Mosul, Qaraqosh, la Piana di Ninive. Sarà la giornata dell’intimità con i cristiani iracheni, un incontro vissuto tra le macerie della guerra che ancora provoca sofferenza e ferite aperte.
Quali sono i suoi auspici per questa visita che – ricordiamolo – arriva a pochissimi giorni dal decimo anniversario (15 marzo 2011) della guerra nella confinante Siria?
Sarà una visita di consolazione e un sigillo impresso sulla chiesa cattolica irachena nonostante le sofferenze patite. Al tempo stesso sarà una forte esortazione al clero, ai religiosi e ai laici a rafforzare i vincoli di unità, di comunione e di testimonianza. E la testimonianza è più forte e credibile quando si trasforma in servizio e amore verso tutti. Il Papa ha sempre un pensiero per il Medio Oriente sofferente. In Siria si combatte oramai da 10 anni. Il balsamo delle parole del Papa in Iraq sarà un balsamo anche per la Siria, per il Libano e per tutto il Medio Oriente. Non è possibile immaginare il Medio Oriente senza cristiani, il Papa lo ripete spesso. Preghiamo allora affinché Papa Francesco possa portare ai nostri fratelli cristiani in Iraq e in Medio Oriente un balsamo di pace, di serenità e un nuovo entusiasmo per essere testimoni di Cristo.