By AgenSIR
“La visita del Papa è un evento molto significativo per il Paese che lo accoglie, per i cristiani locali e per la Chiesa universale. La speranza è che la presenza del Pontefice porti conforto ai cristiani iracheni che tanto hanno sofferto e il cui numero è drammaticamente calato del 60% negli ultimi tre decenni. Una emorragia provocata dai conflitti settari, dal radicalismo islamico e dal caos conseguente all’instabilità politica”.
Alla vigilia della partenza di Papa Francesco per l’Iraq (5-8 marzo), la prima storica visita di un Pontefice nella Terra di Abramo, a parlare al Sir è Ignace Youssif III Younan, patriarca siro-cattolico di Antiochia.
Sarà proprio il patriarca siro-cattolico ad accogliere Papa Francesco, prima nella Cattedrale di Nostra Signora della Liberazione a Baghdad, subito dopo il suo arrivo in Iraq (5 marzo), e due giorni dopo, nella città siro-cattolica di Qaraqosh, i cui abitanti furono costretti alla fuga dall’invasione delle milizie dello Stato Islamico nel 2014.
Secondo l’ultimo dossier di Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) la popolazione cristiana in Iraq contava nel 2003 (prima dell’invasione Usa e della caduta di Saddam Hussein) 1.400.000 fedeli (6% della popolazione). Nel 2015 erano circa 300.000, nel 2020 meno di 300.000. La confessione cristiana più numerosa è quella cattolica caldea (67%), i siro-cattolici sono il 6,5%.
La Chiesa siro-cattolica, in Iraq, riunisce circa 45.000 fedeli quasi tutti nella pianura di Ninive, suddivisi in 4 diocesi: Baghdad, Bassora e Golfo, Mosul e Hadiab-Erbil.
La Chiesa siriaca in Iraq sostiene anche 4 comunità religiose, per lo più situate a Qaraqosh (Piana di Ninive) e dintorni. Sono presenti anche i riti armeno, melchita e latino.
Sulla visita di Papa Francesco in Iraq il Sir ha intervistato Al patriarca Youssif III Younan.
Sua Beatitudine, siamo alla vigilia di una visita fortemente voluta dal Papa. All’udienza generale di mercoledì il Pontefice lo ha ribadito: “Da tempo desidero incontrare quel popolo che ha tanto sofferto, quella Chiesa martire. Non si può deludere un popolo per la seconda volta”. Chiaro il riferimento al viaggio programmato nel 1999 di Giovanni Paolo II purtroppo mai realizzato…
I cristiani avrebbero voluto accogliere il Papa in un’atmosfera più tranquilla in termini di sicurezza e con meno rischi per la pandemia, in modo da poterlo incontrare e pregare con lui. Il Medio Oriente ha bisogno di questa visita per ascoltare le parole del Capo della Chiesa universale che difende la verità nella carità e che ricorda i diritti dei cristiani e delle altre minoranze, all’interno di una maggioranza musulmana che non riconosce la separazione tra religione e politica.
Il tema della visita, “Siete tutti fratelli”, parla di pace ad un Iraq duramente colpito da guerre, conflitti settari e attacchi mortali. Cosa chiede questo paese martoriato al Papa?
La grande maggioranza del popolo iracheno aspira alla riconciliazione, alla stabilità e alla ricostruzione del Paese sia sotto il profilo umano e sociale che infrastrutturale. Aspira a un sistema di governo basato su istituzioni democratiche. Il Papa, allora, potrebbe essere un messaggero di pace, di speranza e di riconciliazione in un Paese segnato dal settarismo. Sarà ricevuto ‘cerimonialmente’ con tutto il rispetto. Ci auguriamo che il messaggio di ‘fraternità’ venga veramente compreso da chi lo accoglie.
Sarà una visita alla Chiesa irachena, viva ma sofferente per le persecuzioni subite da Daesh, per le violenze e gli attentati patiti durante gli scontri settari dal 2003, con i suoi fedeli che attendono di essere considerati cittadini a pieno titolo dell’Iraq. Quali sono le attese dei cristiani iracheni per questa visita?
I cristiani in Iraq sono stati vittime innocenti di una terribile ecatombe mai vista in tanti secoli. Oppressioni di ogni genere, rapimenti, omicidi, sradicamenti. Tutto ciò lo fa sembrare un genocidio. La mia chiesa siro-cattolica ha subito relativamente i danni maggiori. A Qaraqosh, nella Piana di Ninive, dove si trova la più grande concentrazione cristiana in Iraq, la nostra comunità si sta preparando ad accogliere il Santo Padre con entusiasmo ed affetto. A Baghdad, invece, la partecipazione dei fedeli cristiani è minima, poiché il programma della visita papale è limitato agli incontri istituzionali e a raduni ristretti. A Erbil, in Kurdistan, sono attesi migliaia di fedeli per la Messa nello stadio, Covid-19 permettendo.
Il programma del viaggio vedrà il Papa a Baghdad, Ur, Najaf, Mosul, Qaraqosh, Erbil. In particolare Lei avrà il privilegio di accogliere il Papa, il 5 marzo, nella Cattedrale di Nostra Signora della Liberazione a Baghdad, dove morirono martiri 48 fedeli e poi, il 7 marzo, a Qaraqosh, i cui abitanti furono sradicati da Daesh nel 2014. Cosa dirà al Pontefice?
Il primo incontro di Papa Francesco sarà con il clero cattolico nella nostra cattedrale di Nostra Signora della Salvezza a Baghdad dove avrò il privilegio di accoglierlo con un breve saluto. Vorrei ricordare le parole di sant’Ignazio di Antiochia, patrono della nostra sede patriarcale, che nella sua lettera ai Romani scrive: “La Chiesa di Roma presiede alla Carità”. Un altro passaggio dice: “Sono un grano macinato dai denti delle bestie”. Per i cristiani dell’Iraq, il martirio di 48 bambini e adulti con due giovani sacerdoti e un centinaio di feriti, avvenuto il 31 ottobre 2010 in questa cattedrale, rappresenta un’icona che identifica la nostra Chiesa come testimone del Vangelo e come martire per amore di Cristo Redentore. Uno dei momenti più attesi del viaggio sarà l’incontro interreligioso a Ur dei caldei, patria di Abramo, padre delle fedi monoteiste. Il sogno di Giovanni Paolo II di farsi pellegrino a Ur sarà realizzato adesso da Papa Francesco: in che modo questo incontro si pone in continuità con Abu Dhabi (Documento sulla fratellanza umana) e con l’enciclica “Fratelli tutti”?
Mi dispiace dire che la stragrande maggioranza dei cristiani iracheni, così come quelli del Medio Oriente, ha scarso interesse per le riunioni e cerimonie di alto livello. Essi non credono al dialogo teorico delle religioni, che purtroppo rimane un monologo di buone intenzioni da parte dei cristiani. Gli uomini possono dialogare, le religioni si studiano per comprendersi. Dobbiamo puntare con chiarezza e fermezza, evitando il linguaggio del ‘diplomaticamente corretto’, su una convivenza basata sul rispetto dei diritti civili, poiché tutti i cittadini devono essere uguali, anche nei paesi a maggioranza musulmana, come sancito dalla Carta dei diritti delle Nazioni Unite.
Restando in tema di dialogo: quanto è importante la visita di Papa Francesco al Grand Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani a Najaf? Lei crede che da questa visita possa nascere un cammino analogo a quello che ha portato alla firma del documento di Abu Dhabi (papa Francesco e Al Tayyeb)?
Non va dimenticato che l’Islam non separa religione e politica. Le dichiarazioni possono essere viste come un modo per riaffermare che l’Islam è una religione aperta a tutti. Ma c’è ancora tanta strada da fare. Per evolvere verso la vera tolleranza degli altri cosiddetti ‘non credenti’, bisogna vivere la fraternità, non basta una dichiarazione!
Quali frutti Lei spera potrà portare all’Iraq e al Medio Oriente questa visita?
Speriamo “contra spem” che la visita del Santo Padre avvenga in tutta sicurezza e che un gran numero di cristiani possa incontrarlo, anche a distanza, nonostante l’epidemia. Le attività pastorali sono già iniziate nelle nostre parrocchie, in particolare da parte dei giovani che sono molto entusiasti dell’idea di accogliere il Sommo Pontefice come Padre e Pastore. Sono fiduciosi che Papa Francesco saprà ispirarli col dono della fortezza, per rimanere saldi nella fede e radicati nella terra dei loro antenati. Per noi pastori delle Chiese, oggi la sfida più grande è convincere i nostri giovani a restare, rinnovando la loro fiducia nel futuro dell’Iraq, come terra di pace e di vera fraternità. Il loro contributo è molto importante per la sopravvivenza delle Chiese apostoliche orientali.
Alla vigilia della partenza di Papa Francesco per l’Iraq (5-8 marzo), la prima storica visita di un Pontefice nella Terra di Abramo, a parlare al Sir è Ignace Youssif III Younan, patriarca siro-cattolico di Antiochia.
Sarà proprio il patriarca siro-cattolico ad accogliere Papa Francesco, prima nella Cattedrale di Nostra Signora della Liberazione a Baghdad, subito dopo il suo arrivo in Iraq (5 marzo), e due giorni dopo, nella città siro-cattolica di Qaraqosh, i cui abitanti furono costretti alla fuga dall’invasione delle milizie dello Stato Islamico nel 2014.
Secondo l’ultimo dossier di Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) la popolazione cristiana in Iraq contava nel 2003 (prima dell’invasione Usa e della caduta di Saddam Hussein) 1.400.000 fedeli (6% della popolazione). Nel 2015 erano circa 300.000, nel 2020 meno di 300.000. La confessione cristiana più numerosa è quella cattolica caldea (67%), i siro-cattolici sono il 6,5%.
La Chiesa siro-cattolica, in Iraq, riunisce circa 45.000 fedeli quasi tutti nella pianura di Ninive, suddivisi in 4 diocesi: Baghdad, Bassora e Golfo, Mosul e Hadiab-Erbil.
La Chiesa siriaca in Iraq sostiene anche 4 comunità religiose, per lo più situate a Qaraqosh (Piana di Ninive) e dintorni. Sono presenti anche i riti armeno, melchita e latino.
Sulla visita di Papa Francesco in Iraq il Sir ha intervistato Al patriarca Youssif III Younan.
Sua Beatitudine, siamo alla vigilia di una visita fortemente voluta dal Papa. All’udienza generale di mercoledì il Pontefice lo ha ribadito: “Da tempo desidero incontrare quel popolo che ha tanto sofferto, quella Chiesa martire. Non si può deludere un popolo per la seconda volta”. Chiaro il riferimento al viaggio programmato nel 1999 di Giovanni Paolo II purtroppo mai realizzato…
I cristiani avrebbero voluto accogliere il Papa in un’atmosfera più tranquilla in termini di sicurezza e con meno rischi per la pandemia, in modo da poterlo incontrare e pregare con lui. Il Medio Oriente ha bisogno di questa visita per ascoltare le parole del Capo della Chiesa universale che difende la verità nella carità e che ricorda i diritti dei cristiani e delle altre minoranze, all’interno di una maggioranza musulmana che non riconosce la separazione tra religione e politica.
Il tema della visita, “Siete tutti fratelli”, parla di pace ad un Iraq duramente colpito da guerre, conflitti settari e attacchi mortali. Cosa chiede questo paese martoriato al Papa?
La grande maggioranza del popolo iracheno aspira alla riconciliazione, alla stabilità e alla ricostruzione del Paese sia sotto il profilo umano e sociale che infrastrutturale. Aspira a un sistema di governo basato su istituzioni democratiche. Il Papa, allora, potrebbe essere un messaggero di pace, di speranza e di riconciliazione in un Paese segnato dal settarismo. Sarà ricevuto ‘cerimonialmente’ con tutto il rispetto. Ci auguriamo che il messaggio di ‘fraternità’ venga veramente compreso da chi lo accoglie.
Sarà una visita alla Chiesa irachena, viva ma sofferente per le persecuzioni subite da Daesh, per le violenze e gli attentati patiti durante gli scontri settari dal 2003, con i suoi fedeli che attendono di essere considerati cittadini a pieno titolo dell’Iraq. Quali sono le attese dei cristiani iracheni per questa visita?
I cristiani in Iraq sono stati vittime innocenti di una terribile ecatombe mai vista in tanti secoli. Oppressioni di ogni genere, rapimenti, omicidi, sradicamenti. Tutto ciò lo fa sembrare un genocidio. La mia chiesa siro-cattolica ha subito relativamente i danni maggiori. A Qaraqosh, nella Piana di Ninive, dove si trova la più grande concentrazione cristiana in Iraq, la nostra comunità si sta preparando ad accogliere il Santo Padre con entusiasmo ed affetto. A Baghdad, invece, la partecipazione dei fedeli cristiani è minima, poiché il programma della visita papale è limitato agli incontri istituzionali e a raduni ristretti. A Erbil, in Kurdistan, sono attesi migliaia di fedeli per la Messa nello stadio, Covid-19 permettendo.
Il programma del viaggio vedrà il Papa a Baghdad, Ur, Najaf, Mosul, Qaraqosh, Erbil. In particolare Lei avrà il privilegio di accogliere il Papa, il 5 marzo, nella Cattedrale di Nostra Signora della Liberazione a Baghdad, dove morirono martiri 48 fedeli e poi, il 7 marzo, a Qaraqosh, i cui abitanti furono sradicati da Daesh nel 2014. Cosa dirà al Pontefice?
Il primo incontro di Papa Francesco sarà con il clero cattolico nella nostra cattedrale di Nostra Signora della Salvezza a Baghdad dove avrò il privilegio di accoglierlo con un breve saluto. Vorrei ricordare le parole di sant’Ignazio di Antiochia, patrono della nostra sede patriarcale, che nella sua lettera ai Romani scrive: “La Chiesa di Roma presiede alla Carità”. Un altro passaggio dice: “Sono un grano macinato dai denti delle bestie”. Per i cristiani dell’Iraq, il martirio di 48 bambini e adulti con due giovani sacerdoti e un centinaio di feriti, avvenuto il 31 ottobre 2010 in questa cattedrale, rappresenta un’icona che identifica la nostra Chiesa come testimone del Vangelo e come martire per amore di Cristo Redentore. Uno dei momenti più attesi del viaggio sarà l’incontro interreligioso a Ur dei caldei, patria di Abramo, padre delle fedi monoteiste. Il sogno di Giovanni Paolo II di farsi pellegrino a Ur sarà realizzato adesso da Papa Francesco: in che modo questo incontro si pone in continuità con Abu Dhabi (Documento sulla fratellanza umana) e con l’enciclica “Fratelli tutti”?
Mi dispiace dire che la stragrande maggioranza dei cristiani iracheni, così come quelli del Medio Oriente, ha scarso interesse per le riunioni e cerimonie di alto livello. Essi non credono al dialogo teorico delle religioni, che purtroppo rimane un monologo di buone intenzioni da parte dei cristiani. Gli uomini possono dialogare, le religioni si studiano per comprendersi. Dobbiamo puntare con chiarezza e fermezza, evitando il linguaggio del ‘diplomaticamente corretto’, su una convivenza basata sul rispetto dei diritti civili, poiché tutti i cittadini devono essere uguali, anche nei paesi a maggioranza musulmana, come sancito dalla Carta dei diritti delle Nazioni Unite.
Restando in tema di dialogo: quanto è importante la visita di Papa Francesco al Grand Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani a Najaf? Lei crede che da questa visita possa nascere un cammino analogo a quello che ha portato alla firma del documento di Abu Dhabi (papa Francesco e Al Tayyeb)?
Non va dimenticato che l’Islam non separa religione e politica. Le dichiarazioni possono essere viste come un modo per riaffermare che l’Islam è una religione aperta a tutti. Ma c’è ancora tanta strada da fare. Per evolvere verso la vera tolleranza degli altri cosiddetti ‘non credenti’, bisogna vivere la fraternità, non basta una dichiarazione!
Quali frutti Lei spera potrà portare all’Iraq e al Medio Oriente questa visita?
Speriamo “contra spem” che la visita del Santo Padre avvenga in tutta sicurezza e che un gran numero di cristiani possa incontrarlo, anche a distanza, nonostante l’epidemia. Le attività pastorali sono già iniziate nelle nostre parrocchie, in particolare da parte dei giovani che sono molto entusiasti dell’idea di accogliere il Sommo Pontefice come Padre e Pastore. Sono fiduciosi che Papa Francesco saprà ispirarli col dono della fortezza, per rimanere saldi nella fede e radicati nella terra dei loro antenati. Per noi pastori delle Chiese, oggi la sfida più grande è convincere i nostri giovani a restare, rinnovando la loro fiducia nel futuro dell’Iraq, come terra di pace e di vera fraternità. Il loro contributo è molto importante per la sopravvivenza delle Chiese apostoliche orientali.