By Aiuto alla Chiesa che Soffre
«Temiamo un conflitto civile. Se le diverse parti interne ora contrapposte non riusciranno a trovare un accordo, dobbiamo aspettarci il peggio. Un’altra guerra significherebbe la fine, specie per noi cristiani». Così dichiara al telefono con Aiuto alla Chiesa che Soffre dalla capitale irachena monsignor Saad Syroub, vescovo ausiliare caldeo di Bagdad.
Per il presule l’attuale momento vissuto dall’Iraq è una diretta conseguenza del conflitto iniziato nel 2003 e dell’inefficienza del nuovo sistema democratico, «che non può funzionare se non vi è una vera riconciliazione». Per questo, piuttosto che un intervento militare esterno, monsignor Syroub si augura una maggiore pressione esercitata dalla comunità internazionale, Stati Uniti in primis, affinché le diverse fazioni interne al paese trovino un accordo. «È passata più di una settimana dall’invasione dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante a Mosul e ancora non vi è un progetto politico comune. Soltanto un Iraq compatto e riconciliato al suo interno potrà reagire ai pericoli esterni. Sciiti e sunniti devono comprendere che con la violenza non si risolve nulla».
Il presule è rientrato questa mattina a Bagdad da un viaggio all’estero, interrotto «per stare vicino alla mia comunità in un momento così difficile». La situazione nella capitale è anormalmente tranquilla. Non vi sono molte macchine né persone per le strade, sebbene sia un giorno feriale. «Tutti hanno paura e preferiscono non uscire di casa – racconta – altri invece hanno lasciato la città».
«Temiamo un conflitto civile. Se le diverse parti interne ora contrapposte non riusciranno a trovare un accordo, dobbiamo aspettarci il peggio. Un’altra guerra significherebbe la fine, specie per noi cristiani». Così dichiara al telefono con Aiuto alla Chiesa che Soffre dalla capitale irachena monsignor Saad Syroub, vescovo ausiliare caldeo di Bagdad.
Per il presule l’attuale momento vissuto dall’Iraq è una diretta conseguenza del conflitto iniziato nel 2003 e dell’inefficienza del nuovo sistema democratico, «che non può funzionare se non vi è una vera riconciliazione». Per questo, piuttosto che un intervento militare esterno, monsignor Syroub si augura una maggiore pressione esercitata dalla comunità internazionale, Stati Uniti in primis, affinché le diverse fazioni interne al paese trovino un accordo. «È passata più di una settimana dall’invasione dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante a Mosul e ancora non vi è un progetto politico comune. Soltanto un Iraq compatto e riconciliato al suo interno potrà reagire ai pericoli esterni. Sciiti e sunniti devono comprendere che con la violenza non si risolve nulla».
Il presule è rientrato questa mattina a Bagdad da un viaggio all’estero, interrotto «per stare vicino alla mia comunità in un momento così difficile». La situazione nella capitale è anormalmente tranquilla. Non vi sono molte macchine né persone per le strade, sebbene sia un giorno feriale. «Tutti hanno paura e preferiscono non uscire di casa – racconta – altri invece hanno lasciato la città».
Secondo voci non confermate – riferite ad
ACS dal vescovo – alcuni quartieri della parte nord di Bagdad sarebbero
già in mano ai miliziani dell’Isis, che impedirebbero agli abitanti di
raggiungere altre zone della città e che avrebbero imposto il
coprifuoco.
Intanto da cinque giorni il governo ha
bloccato l’accesso a diversi siti internet, inclusi i principali
provider di posta elettronica, e a tutti i social network, «impedendoci
di comunicare con l’estero».
I cristiani sono «terrorizzati ed addolorati» e in molti richiedono il proprio certificato di battesimo per poter lasciare la capitale. «Dopo oltre 2000 anni in cui abbiamo resistito ad ostacoli e persecuzioni – afferma monsignor Syroub – oggi l’Iraq è quasi svuotato della presenza cristiana. I nostri giovani abbandonano il paese e noi non possiamo fare nulla. Del resto quale ragione potremmo mai dare loro per restare? Come possiamo proteggerli e assicurare loro che il futuro sarà migliore?».
I cristiani sono «terrorizzati ed addolorati» e in molti richiedono il proprio certificato di battesimo per poter lasciare la capitale. «Dopo oltre 2000 anni in cui abbiamo resistito ad ostacoli e persecuzioni – afferma monsignor Syroub – oggi l’Iraq è quasi svuotato della presenza cristiana. I nostri giovani abbandonano il paese e noi non possiamo fare nulla. Del resto quale ragione potremmo mai dare loro per restare? Come possiamo proteggerli e assicurare loro che il futuro sarà migliore?».