By Città Nuova
Cosa sta accadendo in Iraq? Lo abbiamo chiesto a monsignor Giorgio Lingua, nunzio apostolico in Iraq e Giordania.
Cosa sta succedendo dal suo punto di osservazione. Che notizie avete?
Cosa sta succedendo dal suo punto di osservazione. Che notizie avete?
«In meno di 48 ore, due città in Iraq sono cadute nelle mani delle
milizie antigovernative, in maggior parte si tratta di miliziani
jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis).
L’esercito iracheno ha abbandonato le postazioni all’avanzata dei
ribelli deponendo le armi e lasciando la città in mano ai ribelli. Fonti
non ufficiali parlano di 10 mila militari che si sarebbero rifugiati
nel Kurdistan iracheno. L’organizzazione internazionale per le
migrazioni (OIM) ha comunicato che oltre mezzo milione di civili è
fuggito da Mossul, la seconda città dell'Iraq, con una
popolazione di 1,8 milioni di persone, nella notte tra il 9 e il 10
giugno. Nelle zone ora controllate dai ribelli si trovano vari gruppi di
milizie. Essi, definiti dalla comunità internazionale come Armed opposition groups (AOGs) oltre che ai jihadisti dell’ISIS, sono Jaysh Rijal al-Tariqah al-Naqshabandia (l'Esercito
degli Uomini dell'Ordine di Naqshbandi), nonché ex membri della
formazione baathista che sosteneva il deposto dittatore Saddam Hussein.
Desta grande preoccupazione la prevista risposta dell’esercito nazionale dell’Iraq, con conseguenze al momento imprevedibili. Un portavoce dei ribelli ha comunicato l’intenzione di arrivare fino a Kerbala, la città santa degli sciiti. Il primo ministro iracheno, Nuri al Maliki, ha chiesto al Parlamento di dichiarare lo stato d'emergenza per fronteggiare l'offensiva dei miliziani jihadisti dell'Isis nel nord del Paese, ma non ha ottenuto l’appoggio sperato. L’esercito federale starebbe riorganizzando le sue strutture dopo la diserzione di tanti militari nel nord. Sarebbero in corso anche trattative di collaborazione con i Peshmerga Kurdi per riconquistare i territori persi».
Una sua valutazione degli eventi?
Desta grande preoccupazione la prevista risposta dell’esercito nazionale dell’Iraq, con conseguenze al momento imprevedibili. Un portavoce dei ribelli ha comunicato l’intenzione di arrivare fino a Kerbala, la città santa degli sciiti. Il primo ministro iracheno, Nuri al Maliki, ha chiesto al Parlamento di dichiarare lo stato d'emergenza per fronteggiare l'offensiva dei miliziani jihadisti dell'Isis nel nord del Paese, ma non ha ottenuto l’appoggio sperato. L’esercito federale starebbe riorganizzando le sue strutture dopo la diserzione di tanti militari nel nord. Sarebbero in corso anche trattative di collaborazione con i Peshmerga Kurdi per riconquistare i territori persi».
Una sua valutazione degli eventi?
«Per la comunità cristiana è un ulteriore sfida, con l’accresciuta
tentazione di lasciare definitivamente l’Iraq. Al momento la situazione è
questa: tutti i religiosi e i sacerdoti sono usciti da Mossul con la
maggior parte dei cristiani, trovando rifugio nei villaggi di Kremles,
Telkeff, Karakosh, Erbil e Bashiqa. Quasi tutti hanno raggiunto i
villaggi vicini a piedi. Va detto che i miliziani che controllano la
città stanno mostrando un volto benevolo nei confronti della popolazione
ed hanno restituito un senso di normalità, ristabilendo le forniture di
energia elettrica e acqua, permettendo così ad alcuni sfollati di
rientrare. Fino ad ora non si sono registrati atti di violenza o danni
alle proprietà della Chiesa. Nella notte della caduta di Mosul alcuni
ladri volevano entrare nella chiesa dedicata allo Santo Spirito, ma i
vicini, musulmani, l'hanno difesa. Ciò che è più preoccupante in questo
momento è comunque la situazione drammatica delle persone sfollate. Le
agenzie delle Nazioni Unite presenti nel Paese, il governo regionale del Kurdistan e il governo dell’Iraq stanno chiedendo risorse economiche per aiutare queste persone. Come ha dichiarato il Patriarca caldeo, Louis Raphael I Sako,
le varie componenti della società irachena, con l’appoggio della
comunità internazionale, devono trovare quanto prima un governo di unità
nazionale per evitare che l’attuale conflitto si trasformi in
pericolosa guerra settaria».