By Asia News
Da ieri gruppi militanti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis, formazione jihadista legata ad al Qaeda) hanno posto sotto assedio la raffineria petrolifera di Baiji, 210 km a nord di Baghdad. È il più importante sito del Paese, essenziale per i rifornimenti di petrolio e carburante nel nord, che proprio in conseguenza dell'attacco cominciano a scarseggiare. Il presidente statunitense Barack Obama sta valutando in queste ore la richiesta di aiuto del premier (sciita) irakeno Nouri al-Maliki, che vorrebbe bombardamenti aerei da parte dell'aviazione Usa; tuttavia, Washington appare sempre più scontenta dell'operato di Baghdad, mentre si fa sempre più concreta la possibilità di una divisione in tre parti (sciita, sunnita e curda), come annunciato dal premier curdo.
Dall'inizio dell'offensiva dell'Isis sono state uccise centinaia di persone, molte delle quali (pare) nel contesto di esecuzioni di massa perpetrate dai miliziani sunniti. Intanto uno stretto collaboratore del grande ayatollah Ali al-Sistani, massima autorità religiosa sciita del Paese, mette in pericolo circa "la minaccia che incombe sull'Iraq e sulla sua unità nazionale... E i leader religiosi avvertono chiaro il senso del pericolo".
Raggiunto da AsiaNews l'arcivescovo di Mosul descrive un clima di incertezza che avvolge il Paese, sull'orlo della guerra civile e a rischio divisione. "Prevale la speranza di unità - racconta - ma non è dato sapere se ci siano o meno piani di alto livello, che mirano alla partizione della nazione. Certo è che noi cristiani desideriamo vivere in Iraq, in un Paese unito, che rispetta tutte le sue anime, le religioni, le etnie e i diritti di tutti". Nel frattempo si fa sempre più critica la situazione nel nord, in particolare nella piana di Ninive "dove mancano acqua, carburante e generi di prima necessità", nonostante l'intervento di alcune organizzazioni internazionali che hanno iniziato a operare sul campo. "La battaglia alla raffineria di Baiji - spiega il prelato - si ripercuote su tutto il nord, perché è la nostra principale fonte di rifornimento".
Per mons. Nona l'aspetto più preoccupante riguarda le famiglie, cristiane ma anche musulmane, in maggioranza, fuggite da Mosul e per le quali "forse c'è autonomia di scorte e viveri ancora per una settimana, poi finirà tutto e non ci sarà più nulla". Il dramma, avverte, è che non si intravedono "segnali di possibile cambiamento nel futuro di queste persone". La guerra "non risolve mai i problemi", afferma l'arcivescovo, ed è necessario "trovare un'altra via per mettersi insieme e dialogare", è in gioco "il destino di donne e bambini, cristiani e non che oggi non hanno un futuro. Dobbiamo dare loro delle risposte"