By Asia News
L'appello di Papa Francesco
per l'Iraq "avrà un grande effetto per tutti noi", in particolare "per i
cristiani che vivono un momento di grave difficoltà" e, in generale,
per tutto il popolo che soffre e prega per la pace. È quanto racconta ad
AsiaNews mons. Emil Shimoun Nona, arcivescovo caldeo di Mosul, nel nord dell'Iraq, dove circa 500mila persone, cristiani e musulmani, sono fuggite,
originando una crisi umanitaria, oltre che economica e politica. Ieri,
durante l'Angelus, il Pontefice argentino ha affermato di seguire con
"viva preoccupazione" la situazione e ha chiesto di pregare "per la cara
nazione irachena, soprattutto per le vittime e per chi soffre
maggiormente le conseguenze dell'accrescersi della violenza, in
particolare per le molte persone, tra cui tanti cristiani, che hanno
dovuto lasciare la propria casa".
Tuttavia, alle parole di conciliazione che provengono dal Pontefice
si sovrappongono le notizie di cronaca provenienti dal Paese arabo, che
parlano di centinaia di esecuzioni sommarie perpetrate dagli islamisti e
di un'escalation progressiva delle violenze. Gli Stati Uniti valutano
"colloqui diretti" con Teheran, avversario storico, per discutere della
questione sicurezza in Iraq. Entrambi sono infatti interessati a frenare
la minaccia rappresentata dai militanti dello Stato islamico dell'Iraq e
del Levante (Isis, formazione jihadista legata ad al Qaeda) che sta
conquistato porzioni sempre più ampie del Paese e punta in direzione di
Baghdad.
L'arcivescovo di Mosul si augura che i responsabili di governo e la
comunità internazionale possano "trovare una soluzione urgente" alla
crisi, perché "l'Iraq non diventi come la Siria", dove il consumarsi di
una guerra civile "è ormai considerato un fatto normale e accettato". La
guerra e le violenze, ricorda il prelato ad AsiaNews, non sono
e non possono mai essere considerate "normali". "Purtroppo - avverte -
nessuno propone soluzioni reali e concrete per riportare la pace, non vi
è un vero interesse comune al bene del Paese e dei suoi cittadini".
Mons. Nona nei giorni scorsi aveva auspicato
un intervento forte di Papa Francesco, da sempre attento alle
situazioni di crisi e ai conflitti che insanguinano la terra. Ieri il
Pontefice non ha mancato di far sentire la propria voce per la "cara
nazione irakena", descrivendo un futuro in cui i cittadini, di qualsiasi
religione, possano fare della loro patria "un modello di convivenza".
Queste sue parole, commenta l'arcivescovo di Mosul, "speriamo possano
sortire un grande effetto nei cuori di tutti quelli che prendono la
violenza, come metodo per affrontare e risolvere i problemi". Essa non
risolve nulla, aggiunge, "anzi crea sempre nuovi ostacoli e divisioni...
speriamo che tutti possano parlare e dialogare usando la lingua della
pace".
Anche se internet è bloccato in molte zone del Paese e le televisioni
sono spesso oscurate, circolano con sempre maggiore frequenza le
immagini di omicidi di massa ed esecuzioni sommarie perpetrare dagli
islamisti. "Purtroppo non tutti ascoltano le parole di pace - commenta
mons. Nona - e la situazione diventa ogni giorni più difficile. Gli
islamisti attaccano, il governo cerca di rispondere e a prevalere è ogni
volta di più la logica della violenza". Preoccupa anche la situazione
degli sfollati, conferma l'arcivescovo di Mosul, il cui numero continua a
cresce nel timore di bombardamenti da parte dell'aviazione irakena.
"Nessuno sa quello che succederà, oltre all'insicurezza viviamo nella
più totale incertezza, il futuro è buio. Non si vedono proposte
politiche per risolvere la crisi, le ultime elezioni -
a fine aprile, ndr - sono cadute nel dimenticatoio e ora l'unico
pensiero è rivolto alla guerra". Da ultimo, egli lancia un appello alla
preghiera e un sostegno per gli sfollati: "ieri abbiamo accolto altre
famiglie, in larga maggioranza musulmane. Alcune Ong hanno iniziato a
portare aiuti, noi come Chiesa fin dal primo giorno cerchiamo di
coordinare e contribuire agli aiuti, ma la situazione è sempre più
critica".