By SIR
Daniele Rocchi
Daniele Rocchi
“Papa Francesco segue gli eventi che si stanno susseguendo in Iraq e
nella zona di Mosul. Viene informato costantemente. Da tutto il mondo
ci giungono telefonate di sostegno, di preghiera e di solidarietà per la
popolazione che soffre”. Dalla Nunziatura apostolica in Iraq, situata a
Baghdad, ci tengono a far sapere della vicinanza del Pontefice alla
sofferenza delle popolazioni di Mosul, seconda città del Paese,
conquistata dai miliziani dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante
(Isil), la fazione jihadista attiva anche nel conflitto siriano. Si
calcola che siano oltre 500mila gli sfollati, Mosul si sta svuotando di
ora in ora. La gente, secondo quanto riferiscono agenzie umanitarie
presenti sul territorio come “Un ponte per”, sta fuggendo in qualsiasi
modo, in macchina, a piedi, in autobus, sui carri, portandosi dietro
spesso soltanto lo stretto necessario. E d’istinto si riversa verso il
Kurdistan iracheno, considerato area più sicura, ma dove risiedono già
circa 220mila siriani in fuga dalla guerra nel loro Paese.
Popolazione in fuga.
L’11 giugno sono state 1.000 le persone che ogni ora hanno attraversato
i checkpoint verso Erbil. Il giorno prima, il 10 giugno, almeno in
100mila sono riusciti a entrare nell’area del capoluogo curdo. Più a
Nord, nelle stesse ore, gli iracheni che hanno raggiunto la provincia
del Kurdistan iracheno di Dohuk sono stati almeno il doppio: 200mila.
“Stiamo raccogliendo testimonianze da persone rimaste in città e anche
sfollate - riferiscono ancora dalla Nunziatura apostolica - queste
ultime sono uscite a piedi da Mosul sotto il caldo per raggiungere a
fatica i villaggi circostanti. Le agenzie umanitarie come quelle per i
rifugiati delle Nazioni Unite stanno monitorando con attenzione
l’evolversi della vicenda e si stanno adoperando per dare supporto e
aiuto alle famiglie stremate e impaurite. I cristiani, circa 1.200
famiglie, si trovano soprattutto a Kramles, Karakosh, Bashiqa e Tilkif.
Con loro ci sono anche tantissimi musulmani”. Per chi è rimasto in città
le notizie parlano di “situazione, almeno in apparenza calma. I ribelli
sembrano voler mostrare un volto benevolo nei confronti degli abitanti.
Non si registrano scontri a fuoco e gli occupanti mantengono una certa
pace”. Ci sarebbero anche nuclei che rientrano a Mosul, circa 4mila
famiglie, secondo “Un ponte per”, anche nella parte occidentale (200
famiglie) sotto il totale controllo dell’Isil. Solo le minoranze
cristiane e yazide non rientrano per paura di essere perseguitate. Come
affermato dall’arcivescovo di Mosul, monsignor Emil Shimoun Nona,
“in città le Chiese sono tutte chiuse. Qualcuna presa di mira da
sciacalli è stata difesa da famiglie musulmane residenti nei dintorni
che hanno chiesto pure l’intervento delle milizie islamiste”.
Baghdad, gente terrorizzata. “Uno
scontro armato tra miliziani dell’Isil ed esercito regolare iracheno,
tuttavia, è prevedibile - dicono dalla Nunziatura - stando alle
dichiarazioni del premier al Maliki che ha ribadito di voler
riconquistare la città. Uno scontro violento - che sarebbe molto esteso -
non farà che peggiorare le condizioni di vita della popolazione. Ora si
dice che i ribelli stiano avanzando verso Baghdad ma la reazione
dell’esercito li ha ricacciati indietro da Kirkuk e da Tikrit. Nella
capitale si percepisce la preoccupazione nei volti delle persone.
Nessuno vuole più violenza qui, i problemi da risolvere sono tanti e la
guerra non farebbe che aggravarli”. Percezione confermata anche
dall’arcivescovo latino di Baghdad, monsignor Jean Benjamin Sleiman,
che parla di “gente terrorizzata nella Capitale. La paura è alimentata
anche da tante notizie false che circolano, l’ultima è stata quella -
rivelatasi poi infondata - del coprifuoco decretato dal ministro
dell’Interno. In questo modo si genera solo confusione che è l’ultima
cosa di cui abbiamo bisogno. Tuttavia non credo che la capitale corra
molti rischi anche perché i miliziani hanno preso città dove i sunniti
sono largamente presenti. Qui abbiamo urgenza di ricostruire il Paese,
nelle sue infrastrutture, nei suoi servizi basilari come sanità e
istruzione e soprattutto nelle diverse anime”. Ma il pensiero
dell’arcivescovo latino va oltre il momento presente: “Quello che sta
avvenendo oggi è una minaccia per l’Iraq, ma potrebbe presto diventarla
per tutta la regione e quindi per il mondo. Non siamo davanti a un
semplice conflitto ma al rischio di una destabilizzazione la cui colpa
non è solo degli iracheni ma dei Paesi internazionali. Gli interessi
dell’Occidente sono sempre bagnati dal sangue di altri. Le popolazioni
sono più importanti del gas, del petrolio, delle risorse energetiche o
della vendita di armi. Papa Francesco lo ripete spesso. Ciò che sta
accadendo non può spiegarsi senza fare riferimenti alla guerra nella
vicina Siria”. Chiaro il rimando al progetto di califfato che i
miliziani dell’Isil perseguono. Un’idea che, per mons. Sleiman, “si sta
concretizzando in un territorio che prende pezzi della Siria, dell’Iraq e
magari vedremo anche della Giordania e di altri Paesi. Ciò è pericoloso
per tutti”.