"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

12 gennaio 2011

Baghdad vuole fermare i rimpatri forzati di iracheni dall’Europa

By Asia News

Continua il calvario dei profughi iracheni immigrati in Nord Europa dove le autorità non smettono di operare rimpatri forzati. Gran Bretagna, Francia, Olanda, Norvegia e Svezia, in diversi tempi e in diverse modalità hanno scelto questa strada per “sistemare” i richiedenti asilo iracheni la cui domanda veniva respinta. Ora il governo di Baghdad pare intenzionato a trovare una soluzione.
L’ambasciatore iracheno a Stoccolma, Hussain al-Ameri, ha detto alla radio Sveriges che il suo Paese vuole mettere la parola fine sulla pratica già condannata anche dall’Unione europea. “Il governo iracheno è pronto ad accettare chi torna volontariamente, ma ci sono questioni serie che riguardano i rimpatri forzati” ha dichiarato il diplomatico.
Un accordo tra Svezia e Iraq sul rientro degli immigrati è entrato in vigore nel 2008. Da allora, circa 5mila iracheni sono tornati volontariamente, mentre più di 800 sono stati rimandati indietro contro la loro volontà, stando alle cifre fornite dal quotidiano svedese Svenska Dagbladet (SvD).
Così, il ministro iracheno per l’Immigrazione, Dindar Najman Shaifiq al-Dosky, ha deciso di aprire un dialogo con Stoccolma e altri governi europei per garantire il giusto trattamento ai richiedenti asilo respinti.

Un accordo da interpretare

Secondo l’accordo, agli iracheni non ritenuti bisognosi di protezione e che non vogliono tornare a casa volontariamente “viene ordinato di lasciare la Svezia”, ma si prevede anche che il rimpatrio avvenga “umanamente, su basi ragionevoli e in modo organizzato”.
Spesso però, a quanto raccontano gli stessi profughi, queste clausole non vengono rispettate: i “deportati” arrivano all’aeroporto di Baghdad, vengono esaminati dalle autorità irachene e poi trattenuti dalla polizia per verificare i documenti prima di essere mandati a casa. Succede spesso, però, che il tempo di custodia duri anche una settimana intera: famiglie con donne e bambini fermi per giorni in stazioni di polizia con la prospettiva di uscire in strada ed essere di nuovo alla mercé di terrorismo e criminalità.
A ottobre 2009, un’inchiesta della Radio svedese aveva denunciato la deportazione di iracheni, soprattutto tra quelli appartenenti a minoranza religiose e notoriamente più esposti a persecuzione. Secondo i reportage dell’emittente, i criteri dell’Ufficio immigrazione per determinare se un profugo è o meno in pericolo nel suo Paese d’origine, sono del tutto arbitrari. Amnesty International ha fatto notare che la maggior parte delle nuove domande dei richiedenti asilo iracheni sono state respinte dopo che il Consiglio svedese per l'immigrazione e la Corte d'appello per l’immigrazione hanno deciso nel 2009 che “in Iraq non vi è un conflitto armato interno”.
Baghdad sta cercando di chiarire l’interpretazione svedese dell’accordo sui rimpatri, mentre il ministro per l’Immigrazione di Stoccolma, Tobias Billström non vede motivi validi per interrompere le deportazioni e sottolinea come il governo iracheno non abbia mai avanzato la proposta di rinegoziare l’accordo.
Voli charter con “deportati” dalla Svezia sono stati fermati più volte prima dell’inizio dell’inverno su richiesta della Corte europea per i diritti dell’uomo che sta esaminando l’appello sporto dai richiedenti asilo iracheni. (LYR)