"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

18 marzo 2008

Iracheni cristiani: "Potranno ancora trovare la forza?"




By Baghdadhope

Sono le 7.15 quando arrivo a Piazza San Pietro. Roma è ancora deserta. Passo attraverso il colonnato che porta all'emiciclo ed al suo centro, proprio sotto l'obelisco, una macchia di colore nero mi fa capire di aver trovato chi cerco. I sacerdoti, i monaci, i diaconi ed i seminaristi caldei stanno provando un'altra volta gli inni che canteranno durante la messa che di lì a poco si terrà a suffragio di Mons. Faraj Paulus Rahho
Alle 7.45 in punto, dopo essere passati al vaglio dell’Ufficiale delle Guardie Svizzere in possesso della lista dei nomi dei circa 50 invitati alla cerimonia varchiamo la Porta di Bronzo che conduce ai Palazzi Apostolici e raggiungiamo la seconda loggia dove si trova la cappella "Redemptoris Mater"
destinata ad ospitare la cerimonia.
La visione è a dir poco stupefacente, 600 metri quadri di mosaici che esprimono, come nelle parole usate da Papa Giovanni Paolo II nel descriverla: “un segno dell'unione di tutte le Chiese da voi rappresentate con la Sede di Pietro…[che]… rivestirà inoltre un particolare valore ecumenico e costituirà una significativa presenza della tradizione orientale in Vaticano".
Ecumenica è infatti la presenza a questa messa. Ci sono i caldei, è ovvio, sacerdoti e suore che vivono a Roma ma anche in altre città, ma anche rappresentanti, religiosi e non, della chiesa Assira dell’Est e della chiesa Siro Cattolica.
Gli sguardi sono meravigliati da tanta ricchezza di decorazioni, le figure dei santi e le rappresentazioni del sacro convergono l'attenzione all'altare, sovrastato dall'immagine della Madre Celeste. Prendiamo posto ed il cerimoniere, con una logica che a tutti sfugge ma che avrà una sua ragione, dà gli ultimi ritocchi: una suora qui davanti, un sacerdote da questa fila all'altra. Alla luce intensa e dorata della cappella si aggiunge quelle dei flashes delle tante macchine fotografiche.
Alle 8.00 in punto la porta a destra dell'entrata della cappella si apre e preceduto dai concelebranti e dal Vangelo entra Papa Benedetto XVI accompagnato dalla melodia che il coro caldeo intona. Sono alcuni versetti tratti dal Breviario Caldeo della liturgia del "Venerdì dei martiri", come mi spiega Padre Fadi Lion, che dirige il coro, e che parlano del sangue dei martiri che diventa seme da cui fiorisce il futuro della chiesa. Alle parole del coro caldeo fanno eco quelle in latino che danno inizio alla celebrazione. La liturgia, tranne le Letture e l'omelia è in latino, e ci; crea un-atmosfera particolare, di chiesa antica ma viva.
Ma sono le parole del Papa che tutti aspettano ed ascoltano con attenzione. Il forte appello che domenica ha lanciato all'Angelus: "Basta stragi, basta violenza, basta odio in Iraq" ha rincuorato molti, ha dato speranza, anche se minima, che qualcuno ascolti la sua voce e che la persecuzione degli iracheni cristiani possa finire perchè, come diceva lo stesso Monsignor Rahho: " i cristiani non sono nemici di nessuno, e nel loro cuore devono sempre ricordare le parole che Cristo disse sulla Croce " ma allo stesso tempo devono vedere i propri diritti riconosciuti perché, sono sempre le parole del vescovo defunto, "questa è , la nostra terra".
Le parole del Papa, che ripercorrono l'agonia di Monsignor Rahho fino a parlare della sua "indegna sepoltura", rivolte a tutti i membri della Chiesa Caldea che "in Iraq soffre, crede e prega" sono di "saluto e di incoraggiamento" perchè essi "sappiano trovare la forza per non perdersi d’animo nella difficile situazione che stanno vivendo."
Esse quindi, anche se specificamente legate al particolare evento luttuoso, si legano simbolicamente al passo del Vangelo di Giovanni (12:1-11) letto dal diacono e prossimo sacerdote caldeo Robert Said, in cui Gesù, rispondendo a Giuda Iscariota che chiedeva ragione dell'uso che Maria aveva fatto dell'olio profumato cospargendo i piedi del Signore invece di venderlo destinando il ricavato ai poveri dice: «Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».
Le parole del Vangelo quindi, e quelle dello stesso Papa, che ha concluso la sua omelia con l'invito ai cristiani d'Iraq perché "sappiano perseverare nell’impegno della costruzione di una società pacifica e solidale sulla via del progresso e della pace." sono la risposta cui coloro che subiscono sulla propria pelle il pericolo di essere cristiani in Iraq devono guardare.
"Saper trovare la forza", "Saper perseverare nell'impegno".
Mai come in questi ultimi anni gli iracheni cristiani hanno dimostrato di saper essere cristiani. La domanda però è: seppure hanno "saputo" trovare la forza e perseverare, "potranno" ancora farlo?

Alcuni partecipanti alla cerimonia:
Per la Chiesa Caldea:
Mgr. Philip Najim, Procuratore della Chiesa Caldea presso la Santa Sede e Visitatore Apostolico in Europa
Mgr. Yousif I. Sarraf,
Vescovo Caldeo del Cairo
Diacono Robert Said Jarjis (Lettura delVangelo di Giovanni)
Padre Ghazuan Baho (Lettura dal Libro di Isaia)

Mgr. Cardinal Leonardo Sandri,
Prefetto della
Congregazione per le Chiese Orientali
Mgr. Cardinal Tarcisio Bertone, Segretario di Stato Vaticano
Mgr. Fernando Filoni, Sostituto del Segretariato di Stato ed ex Nunzio Apostolico in Iraq
Mgr. Jean Luis Tauran, Presidente del
Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso
Mgr. Dominique Mamberti, Segretario per le Relazioni con gli stati
Mgr. Antonio Maria Vegliò, Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali


Per il testo dell'omelia del Santo Padre clicca su "leggi tutto"


OMELIA DEL SANTO PADRE NELLA SANTA MESSA DI SUFFRAGIO PER L’ARCIVESCOVO DI MOSSUL DEI CALDEI, S.E. MONS. PAULOS FARAJ RAHHO , 17.03.2008

Venerati e cari Fratelli,
siamo entrati nella Settimana Santa portando nel cuore il grande dolore per la tragica morte del caro Monsignor Paulos Faraj Rahho, Arcivescovo di Mossul dei Caldei. Ho voluto offrire questa santa Messa in suo suffragio, e vi ringrazio di avere accolto il mio invito a pregare insieme per lui. Sento vicini a noi, in questo momento, il Patriarca di Babilonia dei Caldei, Cardinale Emmanuel III Delly, e i Vescovi di quella amata Chiesa che in Iraq soffre, crede e prega. A questi venerati Fratelli nell’Episcopato, ai loro Sacerdoti, ai Religiosi ed ai fedeli tutti invio una particolare parola di saluto e di incoraggiamento, confidando che nella fede essi sappiano trovare la forza per non perdersi d’animo nella difficile situazione che stanno vivendo.
Il contesto liturgico in cui ci troviamo è il più eloquente possibile: sono i giorni in cui riviviamo gli ultimi momenti della vita terrena di Gesù: ore drammatiche, cariche di amore e di timore, specialmente nell’animo dei discepoli. Ore in cui si fece netto il contrasto tra la verità e la menzogna, tra la mitezza e la rettitudine di Cristo e la violenza e l’inganno dei suoi nemici. Gesù ha sperimentato l’approssimarsi della morte violenta, ha sentito stringersi attorno a sé la trama dei persecutori. Ha sperimentato l’angoscia e la paura, fino all’ora cruciale del Getsemani. Ma tutto questo Egli ha vissuto immerso nella comunione con il Padre e confortato dall’"unzione" dello Spirito Santo.
Il Vangelo odierno ricorda la cena di Betania, che allo sguardo pieno di fede del discepolo Giovanni rivela significati profondi. Il gesto di Maria, di ungere i piedi di Gesù con l’unguento prezioso, diventa un estremo atto di amore riconoscente in vista della sepoltura del Maestro; e il profumo, che si diffonde in tutta la casa, è il simbolo della sua carità immensa, della bellezza e bontà del suo sacrificio, che riempie la Chiesa. Penso al sacro Crisma, che unse la fronte di Mons. Rahho nel momento del suo Battesimo e della sua Cresima; che gli unse le mani nel giorno dell’Ordinazione sacerdotale, e poi ancora il capo e le mani quando fu consacrato Vescovo. Ma penso anche alle tante "unzioni" di affetto filiale, di amicizia spirituale, di devozione che i suoi fedeli riservavano alla sua persona, e che l’hanno accompagnato nelle ore terribili del rapimento e della dolorosa prigionia – dove giunse forse già ferito –, fino all’agonia e alla morte. Fino a quella indegna sepoltura, dove poi sono state ritrovate le sue spoglie mortali. Ma quelle unzioni, sacramentali e spirituali, erano pegno di risurrezione, pegno della vita vera e piena che il Signore Gesù è venuto a donarci!
La Lettura del profeta Isaia ci ha posto dinanzi la figura del Servo del Signore, nel primo dei quattro "Carmi", in cui risaltano la mitezza e la forza di questo misterioso inviato di Dio, che si è pienamente realizzato in Gesù Cristo. Il Servo è presentato come colui che "porterà il diritto", "proclamerà il diritto", "stabilirà il diritto", con un’insistenza su questo termine che non può passare inosservata. Il Signore lo ha chiamato "per la giustizia" ed egli realizzerà questa missione universale con la forza non violenta della verità. Nella Passione di Cristo vediamo l’adempimento di questa missione, quando Egli, di fronte a un’ingiusta condanna, rende testimonianza alla verità, rimanendo fedele alla legge dell’amore. Su questa stessa via, Mons. Rahho ha preso la sua croce e ha seguito il Signore Gesù, e così ha contribuito a portare il diritto nel suo martoriato Paese e nel mondo intero, rendendo testimonianza alla verità. Egli è stato un uomo di pace e di dialogo. So che egli aveva una predilezione particolare per i poveri e i portatori di handicap, per la cui assistenza fisica e psichica aveva dato vita ad una speciale associazione, denominata Gioia e Carità ("Farah wa Mahabba"), alla quale aveva affidato il compito di valorizzare tali persone e di sostenerne le famiglie, molte delle quali avevano imparato da lui a non nascondere tali congiunti e a vedere Cristo in essi. Possa il suo esempio sostenere tutti gli iracheni di buona volontà, cristiani e musulmani, a costruire una convivenza pacifica, fondata sulla fratellanza umana e sul rispetto reciproco.
In questi giorni, in profonda unione con la Comunità caldea in Iraq e all’estero, abbiamo pianto la sua morte, e il modo disumano in cui ha dovuto concludere la sua vita terrena. Ma oggi, in questa Eucaristia che offriamo per la sua anima consacrata, vogliamo rendere grazie a Dio per tutto il bene che ha compiuto in lui e per mezzo di lui. E vogliamo al tempo stesso sperare che, dal Cielo, egli interceda presso il Signore per ottenere ai fedeli di quella Terra tanto provata il coraggio di continuare a lavorare per un futuro migliore. Come l’amato Arcivescovo Paulos si spese senza riserve a servizio del suo popolo, così i suoi cristiani sappiano perseverare nell’impegno della costruzione di una società pacifica e solidale sulla via del progresso e della pace. Affidiamo questi voti all’intercessione della Vergine Santissima, Madre del Verbo incarnato per la salvezza degli uomini, e perciò, per tutti, Madre della speranza.
[00434-01.01] [Testo originale: Italiano]
[B0189-XX.01]