Fonte: Asia News
In silenzio, tutti i giorni da quasi una settimana, nei villaggi cristiani della piana di Niniveh si svolge una marcia pacifica per chiedere verità sul caso del sequestro e dell’uccisione dell’arcivescovo caldeo di Mosul. Mons. Paulos Faraj Rahho è stato trovato morto il 13 marzo dopo 14 giorni di prigionia. Nell’agguato in cui lo hanno rapito, dopo la celebrazione della Via Crucis il 29 febbraio, sono rimasti uccisi i tre uomini che erano con lui.
Ora i cristiani iracheni chiedono giustizia. Rispondendo ad un appello lanciato a Pasqua dal Consiglio dei vescovi di Niniveh (che riunisce i leder religiosi di tutte le comunità cristiane presenti nella zona) si sono fatti coraggio e ogni giorno sfilano per le strade di Bartella, Karamles, Qaraqosh, al Qosh, con in mano i ritratti dei loro “martiri” (vedi foto): dal vescovo Rahho, a p. Ragheed e p. Paul Iskandar, tutti uccisi negli ultimi tre anni dal terrorismo islamico. Senza contare i numerosi laici, morti per scampare a un sequestro, perché rifiutavano di convertirsi o solo perché gestivano negozi di alcolici (vietati dall’islam). L’appello del Consiglio dei vescovi, diffuso in tutte le chiese il 23 marzo scorso, cita le parole di una delle ultime omelie di mons. Rahho: “Siamo iracheni, vogliamo costruire la pace, costruire l’Iraq, l’Iraq è anche nostro, siamo per l’Iraq. Restiamo qui, non abbiamo nemici, non odiamo nessuno”. Il messaggio chiedeva chiaramente: di cancellare ogni segno di festività (a breve sarà Pasqua per gli ortodossi) tranne quelli liturgici; di digiunare il 24 e il 26 marzo; e di organizzare manifestazioni pacifiche, perché sia fatta giustizia sulla morte di Rahho.
La vicenda dell’arcivescovo di Mosul è ancora poco chiara. L’autopsia sul suo corpo non rivela segni di violenza, facendo presumere che il prelato sia morto almeno cinque giorni prima del ritrovamento del cadavere e probabilmente in seguito a complicazioni del suo stato di salute, già precario. Le autorità irachene dichiarano di aver arrestato un gruppo di persone, tra cui quattro fratelli, coinvolti nel rapimento; si tratterebbe di ex membri del regime di Saddam, che avrebbero venduto il religioso ad al Qaeda. Inizialmente si era parlato di confessioni, in cui i responsabili raccontavano di torture sul religioso, poi la versione è cambiata con il soffocamento, metodo utilizzato per non lasciare tracce sul corpo. Ultimo particolare: esisterebbe un filmato dell’uccisione, ma finora la polizia dice di non averlo trovato. Il quadro solleva dubbi sulla corretta e trasparente gestione del caso da parte del governo iracheno. Che forse sta solo cercando il modo meno screditante per uscire da una vergognosa vicenda che lo ha esposto per l’ennesima volta sotto i riflettori di media e opinione pubblica mondiale.