Fonte: SIR
“C'è uno scontro in atto fra i vari gruppi politici per il potere e il controllo del petrolio, scontro alimentato anche dall’esterno. Nei mesi prossimi, poi, ci saranno le elezioni dei membri del Consiglio delle province. Quanto sta avvenendo a Bassora si fonda proprio su questi fatti: chi governerà e controllerà la città petrolifera?”. E’ il parere del vescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako, sugli scontri a Bassora e a Baghdad tra le milizie sciite dell'imam radicale Moqtada a-Sadr e l’esercito iracheno col sostegno di elicotteri e aerei americani. “La sicurezza – dichiara al Sir – non è stabile anche perché i membri della polizia e dell'esercito appartengono a partiti e milizie. Ci sono voci che secondo cui gli scontri in atto Bassora, città sciita, sono il preludio a quelli di Mossul, roccaforte sunnita”.
In questa situazione, denuncia il vescovo caldeo “a Mossul, dopo la morte di mons. Rahho, prosegue la fuga dei cristiani verso il nord, Kirkuk e la Siria. I mujahidin hanno inviato una lettera alle famiglie cristiane chiedendo una tassa di protezione (jizia) di 10,000 dollari pena la distruzione dell’abitazione o la morte di un familiare”. “Fortunatamente – aggiunge – ci sono anche tanti musulmani che hanno espresso indignazione per la tragica morte di mons. Rahho e apprezzamento per l’opera di riconciliazione e di dialogo portata avanti dalle comunità cristiane. I cristiani sono per l’Iraq un grande fattore di equilibrio e la morte di mons. Rahho è oggi uno stimolo per i fedeli a restare nel Paese, dove abitano ben prima dell’arrivo dei musulmani. Tuttavia le chiese e la comunità internazionale hanno il dovere di aiutare l'Iraq nella riconciliazione e i cristiani a sopravvivere”. Non manca anche un monito alle truppe della coalizione presenti in Iraq: “se andranno via il Paese cadrà in una guerra civile senza fine. Esse possono far tornare tutto alla calma, aiutare la ricostruzione, la riconciliazione, creare lavoro e migliorare i servizi allontanando così l’idea, diffusa tra gli iracheni, che non vogliono adoperarsi per questi scopi”.
“C'è uno scontro in atto fra i vari gruppi politici per il potere e il controllo del petrolio, scontro alimentato anche dall’esterno. Nei mesi prossimi, poi, ci saranno le elezioni dei membri del Consiglio delle province. Quanto sta avvenendo a Bassora si fonda proprio su questi fatti: chi governerà e controllerà la città petrolifera?”. E’ il parere del vescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako, sugli scontri a Bassora e a Baghdad tra le milizie sciite dell'imam radicale Moqtada a-Sadr e l’esercito iracheno col sostegno di elicotteri e aerei americani. “La sicurezza – dichiara al Sir – non è stabile anche perché i membri della polizia e dell'esercito appartengono a partiti e milizie. Ci sono voci che secondo cui gli scontri in atto Bassora, città sciita, sono il preludio a quelli di Mossul, roccaforte sunnita”.
In questa situazione, denuncia il vescovo caldeo “a Mossul, dopo la morte di mons. Rahho, prosegue la fuga dei cristiani verso il nord, Kirkuk e la Siria. I mujahidin hanno inviato una lettera alle famiglie cristiane chiedendo una tassa di protezione (jizia) di 10,000 dollari pena la distruzione dell’abitazione o la morte di un familiare”. “Fortunatamente – aggiunge – ci sono anche tanti musulmani che hanno espresso indignazione per la tragica morte di mons. Rahho e apprezzamento per l’opera di riconciliazione e di dialogo portata avanti dalle comunità cristiane. I cristiani sono per l’Iraq un grande fattore di equilibrio e la morte di mons. Rahho è oggi uno stimolo per i fedeli a restare nel Paese, dove abitano ben prima dell’arrivo dei musulmani. Tuttavia le chiese e la comunità internazionale hanno il dovere di aiutare l'Iraq nella riconciliazione e i cristiani a sopravvivere”. Non manca anche un monito alle truppe della coalizione presenti in Iraq: “se andranno via il Paese cadrà in una guerra civile senza fine. Esse possono far tornare tutto alla calma, aiutare la ricostruzione, la riconciliazione, creare lavoro e migliorare i servizi allontanando così l’idea, diffusa tra gli iracheni, che non vogliono adoperarsi per questi scopi”.