"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

16 novembre 2014

Tra i cristiani in fuga dal Califfo: "Fatti a pezzi per la nostra fede"


«A mio padre hanno chiesto due volte di convertirsi all'islam e lui si è rifiutato. Siamo cristiani da sempre. Allora gli hanno tagliato il naso e la lingua» racconta Almas Elias Polos, una ragazzona vestita di nero scappata da Karakosh, la città occupata dal Califfato nel Nord dell'Irak.
«Poi hanno cominciato a spezzargli le ossa delle braccia e delle gambe - racconta Almas - È stato lasciato in vita per un giorno ad agonizzare con indicibili dolori. Alla fine lo hanno ammazzato scaricandogli addosso sette proiettili».
Si chiamava Elias e aveva 52 anni. Il martirio è avvenuto fra il 6 e l'8 agosto, quando le truppe jihadiste sono dilagate nella piana di Ninive.
A Baghdad sono sfollate 500 famiglie cristiane, che hanno trovato rifugio nelle chiese e nei monasteri tutti circondati da barriere di cemento e presidiati da guardie armate per timori di attentati. C'è chi ricorda una pioggia di razzi che preannunciava l'arrivo delle truppe del Califfo e non dimenticherà mai il terrore. «Sembrava che la paura ti fermasse il cuore. Abbiamo lasciato tutto pur di scappare. Se fossimo rimasti saremmo morti» è convinta Raja fuggita da Mosul.
Il padre handicappato di Nasser, un giovanotto timido, ha detto alla famiglia: «Non riesco a camminare, non ce la faccio. Lasciatemi un cellulare e andate avanti». All'inizio la famiglia è riuscita a rimanere in contatto. «Un giorno abbiamo chiamato ed uno sconosciuto ci ha detto che aveva comprato il telefonino di mio padre - racconta Nasser - Papà si chiama Walid Jamil e non sappiamo più nulla di lui».
Nella chiesa della Vergine le suore del Sacro cuore aiutano come possono gli sfollati. Le famiglie vivono in ex aule adibite a dormitorio con dei letti a castello.
I bambini non sorridono più, ma nessuno rinuncia ai simboli cristiani: una piccola immagine di Gesù, un quadro della Madonna o una candelina accesa. Quasi tutti vogliono emigrare lasciandosi alle spalle la guerra ed il Califfato.
Una signora anziana si avvicina e sussurra: «Voglio andare in Francia. Potete aiutarmi?».
Il fronte è alle porte di Baghdad. Una quarantina di chilometri a sud ovest della capitale, Jurf al Shakar, un grande agglomerato di case sunnite in mezzo alle palme, non esiste più. I volontari sciiti l'hanno presa d'assalto a fine ottobre conquistandola a caro prezzo. Le palme annerite e falciate dall'artiglieria come grissini ed il cimitero di blindati dimostrano la furia della battaglia. All'ingresso della cittadina ci fanno vedere il «canale dei serpenti», dove i tagliagole dello stato islamico hanno piazzato trappole esplosive dappertutto. «Come ti muovevi o entravi per primo in una casa saltavi per aria» racconta Mohammed. Un ragazzino in mimetica diventato veterano troppo in fretta, che ha visto morire davanti ai suoi occhi Alì, l'amico di una vita «centrato al petto da un cecchino».
Jurf al Shakar, ribattezzato Al Nasr (vittoria) è un crocevia strategico che permetteva allo Stato islamico di infiltrare uomini ed armi nella capitale. Ed apre la strada verso Karbala, città santa per gli sciiti. Un manipolo di volontari, che hanno risposto all'appello contro il Califfato del Marja, il grande ayatollah iracheno, Alì Al Sistani, bivacca in mezzo alle rovine all'ombra di un blindato messo di traverso. I seguaci dello Stato islamico hanno addirittura allagato il deserto deviando un affluente dell'Eufrate per far impantanare i blindati governativi. La prima linea si è spostata più avanti verso Falluja, la roccaforte sunnita, lungo una lama d'asfalto, che sembra un groviera rattoppato dai crateri delle trappole esplosive. Un grande ponte dedicato un tempo a Saddam Hussein è spezzato in due come un fuscello. Le truppe jihadiste l'hanno fatto saltare in aria durante la ritirata. Dietro una piccola muraglia di sacchetti di sabbia verdi i volontari sciiti hanno il dito sul grilletto. E tirano fuori con orgoglio la bandiera nera dello Stato islamico strappata in battaglia. Dietro il trofeo fanno il segno di vittoria con le dita e agitano una baionetta, ma la guerra contro il Califfo sarà ancora lunga e sanguinosa.