By Il Giornale
«A mio padre hanno chiesto due volte di
convertirsi all'islam e lui si è rifiutato. Siamo cristiani da sempre.
Allora gli hanno tagliato il naso e la lingua» racconta Almas Elias
Polos, una ragazzona vestita di nero scappata da Karakosh, la città
occupata dal Califfato nel Nord dell'Irak.
«Poi
hanno cominciato a spezzargli le ossa delle braccia e delle gambe -
racconta Almas - È stato lasciato in vita per un giorno ad agonizzare
con indicibili dolori. Alla fine lo hanno ammazzato scaricandogli
addosso sette proiettili».
Si chiamava Elias e aveva 52 anni. Il martirio è avvenuto fra il 6 e
l'8 agosto, quando le truppe jihadiste sono dilagate nella piana di
Ninive.
A Baghdad sono sfollate 500 famiglie cristiane, che hanno trovato
rifugio nelle chiese e nei monasteri tutti circondati da barriere di
cemento e presidiati da guardie armate per timori di attentati. C'è chi
ricorda una pioggia di razzi che preannunciava l'arrivo delle truppe del
Califfo e non dimenticherà mai il terrore. «Sembrava che la paura ti
fermasse il cuore. Abbiamo lasciato tutto pur di scappare. Se fossimo
rimasti saremmo morti» è convinta Raja fuggita da Mosul.
Il padre handicappato di Nasser, un giovanotto timido, ha detto alla
famiglia: «Non riesco a camminare, non ce la faccio. Lasciatemi un
cellulare e andate avanti». All'inizio la famiglia è riuscita a rimanere
in contatto. «Un giorno abbiamo chiamato ed uno sconosciuto ci ha detto
che aveva comprato il telefonino di mio padre - racconta Nasser - Papà
si chiama Walid Jamil e non sappiamo più nulla di lui».
Nella chiesa della Vergine le suore del Sacro cuore aiutano come
possono gli sfollati. Le famiglie vivono in ex aule adibite a dormitorio
con dei letti a castello.
I
bambini non sorridono più, ma nessuno rinuncia ai simboli cristiani:
una piccola immagine di Gesù, un quadro della Madonna o una candelina
accesa. Quasi tutti vogliono emigrare lasciandosi alle spalle la guerra
ed il Califfato.
Una signora anziana si avvicina e sussurra: «Voglio andare in Francia. Potete aiutarmi?».
Il fronte è alle porte di Baghdad. Una quarantina di chilometri a sud
ovest della capitale, Jurf al Shakar, un grande agglomerato di case
sunnite in mezzo alle palme, non esiste più. I volontari sciiti l'hanno
presa d'assalto a fine ottobre conquistandola a caro prezzo. Le palme
annerite e falciate dall'artiglieria come grissini ed il cimitero di
blindati dimostrano la furia della battaglia. All'ingresso della
cittadina ci fanno vedere il «canale dei serpenti», dove i tagliagole
dello stato islamico hanno piazzato trappole esplosive dappertutto.
«Come ti muovevi o entravi per primo in una casa saltavi per aria»
racconta Mohammed. Un ragazzino in mimetica diventato veterano troppo in
fretta, che ha visto morire davanti ai suoi occhi Alì, l'amico di una
vita «centrato al petto da un cecchino».
Jurf al Shakar, ribattezzato Al Nasr (vittoria) è un crocevia
strategico che permetteva allo Stato islamico di infiltrare uomini ed
armi nella capitale. Ed apre la strada verso Karbala, città santa per
gli sciiti. Un manipolo di volontari, che hanno risposto all'appello
contro il Califfato del Marja, il grande ayatollah iracheno, Alì Al
Sistani, bivacca in mezzo alle rovine all'ombra di un blindato messo di
traverso. I seguaci dello Stato islamico hanno addirittura allagato il
deserto deviando un affluente dell'Eufrate per far impantanare i
blindati governativi. La prima linea si è spostata più avanti verso
Falluja, la roccaforte sunnita, lungo una lama d'asfalto, che sembra un
groviera rattoppato dai crateri delle trappole esplosive. Un grande
ponte dedicato un tempo a Saddam Hussein è spezzato in due come un
fuscello. Le truppe jihadiste l'hanno fatto saltare in aria durante la
ritirata. Dietro una piccola muraglia di sacchetti di sabbia verdi i
volontari sciiti hanno il dito sul grilletto. E tirano fuori con
orgoglio la bandiera nera dello Stato islamico strappata in battaglia.
Dietro il trofeo fanno il segno di vittoria con le dita e agitano una
baionetta, ma la guerra contro il Califfo sarà ancora lunga e sanguinosa.