"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

28 novembre 2014

Cristiani d'Irak perseguitati come gli ebrei sotto Hitler

Il Giornale
Fausto Biloslavo

Non solo cacciati dalle proprie case, ma pure costretti a cederle a prezzi stracciati, come capitò agli ebrei in Germania alla vigilia della seconda guerra mondiale. «I cristiani iracheni in fuga, nella speranza di un visto per l'Europa, vendono le loro case nella piana di Ninive occupata dallo Stato islamico - rivela padre Zoher Naser ad Erbil, capitale del Kurdistan - Si approfittano della tragedia».
La secca denuncia della speculazione sulla pelle dei rifugiati arriva, in perfetto italiano, da un religioso costretto a fuggire con il suo gregge da Qarakosh, davanti all'avanzata del Califfo. «È una specie di indiretta pulizia demografica per cancellare la nostra presenza millenaria - spiega il prete rogazionista -. Una famiglia cristiana media nella piana di Ninive possedeva casa e terreno per un valore di 200mila euro. Adesso è costretta a cederli per 50mila ad agenzie che comprano in massa. E non sappiamo chi ci sia dietro».
La lista delle nefandezze sulla pelle dei cristiani è lunga. «Un'ambulanza per i nostri confratelli è ferma da tempo al confine turco. Sabato scorso hanno bloccato mezza tonnellata di medicinali e attrezzature della Lega biblica libanese all'aeroporto di Erbil», sottolinea padre Naser. I curdi vogliono che gli aiuti umanitari passino attraverso le loro maglie «beneficiando chi preferiscono. Ed i medicinali per i cristiani potrebbero finire venduti sottobanco» rincara la dose il rogazionista.
Solo la Francia sta concedendo un po' di visti ai cristiani in fuga. Chi vende la casa a prezzo stracciato e ha qualche soldo da parte cerca di «comprare» un visto legalmente come quello spagnolo. Tanti scelgono la via più breve ed incerta.
Patrick Enwyia è un volontario dell'organizzazione americana «Save Iraqi Christian», responsabile di uno dei centri «abitativi», simili a grandi loculi, dove sono ammassati i rifugiati in Kurdistan. «Intere famiglie cristiane esasperate stanno scegliendo la via dell'ingresso clandestino in Europa pagando anche diecimila dollari ai trafficanti di uomini», rivela il giovane.

Dopo l'intervento del patriarca il presidente del Kurdistan, Massoud Barzani, ha ordinato ai suoi di «proteggere i cristiani come fratelli». Nelle strade desolate del villaggio fantasma si incontra qualche sfollato che recupera sedie, tavoli e un frigorifero con un'immaginetta di Cristo scampati alle razzie. In una zona di casette a schiera le macerie testimoniano le ferite della guerra, ma non mancano cancelli divelti di abitazioni saccheggiate con la croce sulla porta. All'interno, la razzia ha buttato tutto all'aria. Un rosario appeso al muro sovrasta il caos dell'armadio svuotato alla rinfusa per cercare qualcosa di valore. A casa dell'ingegnere hanno spezzato in due un crocefisso ed i cristiani in fuga si sono lasciati alle spalle pure le ciabatte sulle scale.
Per non parlare della sorte dei villaggi cristiani sul fronte. Telleskef, ad una trentina di chilometri da Mosul, ospitava 1500 famiglie. Per quasi un mese è stato occupato dallo Stato islamico che ha portato via tutto il bestiame. Poi sono arrivati i combattenti curdi e molti denunciano che è pure peggio. «Il Califfato aveva rubato in qualche casa. I peshmerga le hanno saccheggiate tutte», protesta Rustam Shamoon Sheya, un ingegnere che ha una villa a Telleskef. Testimoni oculari li hanno visti andarsene con il bottino. «I terroristi si sono portati via il televisore al plasma, ma i curdi hanno depredato sette volte casa mia», denuncia il poveretto.  
«Ogni volta che torniamo a casa per prendere qualcosa notiamo nuovi furti
- spiega l'ingegnere - Le autorità ammettono che ci sono mele marce fra i peshmerga, che non controllano.»