By SIR
Timore di un nuovo Iraq: è il sentimento con cui gli iracheni guardano alle proteste in corso dal 25 gennaio in Egitto. Non ha dubbi l’arcivescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako, quando gli si chiede quale eco stanno avendo le manifestazioni in piazza Tahrir. Sprofondati nella divisione e nell’odio tribale e religioso, colpiti da una violenza che sembra non trovare fine, gli iracheni temono che possa accadere lo stesso anche in Egitto, Paese di grande influenza nel mondo arabo. Non manca, certo, la speranza che le proteste possano avere un esito positivo e far guadagnare al Paese un futuro di democrazia e di giustizia sociale, ma per adesso prevale un “crudo realismo”. Il SIR ha parlato con mons. Sako proprio in questi giorni in cui la sua diocesi è stata toccata da una serie di attentati che hanno provocato 9 morti e 104 feriti.
“Ci sono forze e movimenti islamici che vogliono cambiare il Medio Oriente, creando Stati islamici, dei califfati, in cui vige la sharia – esordisce mons. Sako –. Gli attacchi a tre quartieri di Kirkuk, come in altre parti dell’Iraq sono opera di questi gruppi islamisti come Al Qaeda e Ansar al Islam. Il nostro governo non sembra in grado di garantire la sicurezza dei suoi cittadini”.
Eccellenza, dall’Egitto arrivano notizie che dicono che dall’Iraq siano partiti appelli inneggianti alla guerra santa e quindi a dare una valenza religiosa alle proteste in corso...
“Questi appelli rientrano nel tentativo di islamizzazione del Medio Oriente da parte di gruppi radicali che hanno il chiaro intento di fomentare, in questa area del mondo, un cambiamento religioso totale. Si tratta di voci che potrebbero trovare terreno fertile in Egitto e altrove e quindi non sono da sottovalutare anche perché ci sono potenze regionali i cui leader hanno definito queste rivolte il ‘risveglio dell’Islam’. Tra i manifestanti in piazza Tahrir cominciano a vedersi anche diversi fondamentalisti, molti usciti di prigione, il cui scopo è creare il vuoto per poterlo riempire di temi religiosi convinti come sono che l’Islam sia la soluzione di tutto”.
Che rischi vede per il Medio Oriente in questa fase delicata?
“Il Medio Oriente è un vulcano che fa paura, ci sono focolai di rivolte un po’ dovunque, anche se vanno operati dei distinguo in ordine alle cause. È, tuttavia, una situazione preoccupante, cominciata con l’Iraq, la Tunisia, l’Egitto, e a poco a poco stiamo vedendo la Giordania, lo Yemen, la Siria. Se l’Egitto dovesse cadere in mano a forze islamiste sarà un problema per tutti e con innegabili ricadute negative per le minoranze cristiane”.
Crede che l’Occidente abbia ben compreso questo rischio di islamizzazione del Medio Oriente?
“La mentalità occidentale non consente di comprendere a pieno questo rischio. In Oriente tutto è religioso, anche la concezione politica, non c’è separazione tra politica e religione come in Occidente dove c’è un vuoto terribile. Siamo di fronte a due estremismi: il primo è religioso, orientale musulmano, il secondo, occidentale, ed è il secolarismo che non vuole nemmeno riconoscere che la storia dell’Occidente è cristiana. Tutti i valori cristiani sono messi in disparte, confinati nella sfera privata delle persone. Non c’è violenza materiale ma questo atteggiamento è contro la democrazia. In Oriente invece è l’opposto, la religione pervade tutto”.
Cosa può fare la comunità internazionale per sostenere lo sviluppo democratico di questi Paesi in cui stanno avendo luogo le proteste?
“La comunità internazionale è incapace di muoversi. Osserviamo adesso che gli Usa seguono con particolare preoccupazione la crisi egiziana. Il futuro di questa area del mondo è ignoto e fa paura. Penso al mio Paese, l’Iraq: all’inizio gli Usa sono venuti parlando di democrazia, prosperità, ricchezza. Oggi l’Iraq è povero e con molti problemi. La democrazia non è un concetto esportabile. Se democrazia e libertà devono esserci, queste siano per tutti e non solo per un piccolo gruppo”.
Quali sono i sentimenti degli iracheni davanti alle manifestazioni egiziane contro Mubarak?
“Posso dire che sono sentimenti di tristezza. Gli iracheni hanno paura che l’Egitto, che ha un grande impatto sugli altri Paesi mediorientali, sprofondi nella divisione etnica e religiosa avviandosi a replicare la situazione drammatica dell’Iraq. I timori di un nuovo Iraq sono evidenti”.
Timore di un nuovo Iraq: è il sentimento con cui gli iracheni guardano alle proteste in corso dal 25 gennaio in Egitto. Non ha dubbi l’arcivescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako, quando gli si chiede quale eco stanno avendo le manifestazioni in piazza Tahrir. Sprofondati nella divisione e nell’odio tribale e religioso, colpiti da una violenza che sembra non trovare fine, gli iracheni temono che possa accadere lo stesso anche in Egitto, Paese di grande influenza nel mondo arabo. Non manca, certo, la speranza che le proteste possano avere un esito positivo e far guadagnare al Paese un futuro di democrazia e di giustizia sociale, ma per adesso prevale un “crudo realismo”. Il SIR ha parlato con mons. Sako proprio in questi giorni in cui la sua diocesi è stata toccata da una serie di attentati che hanno provocato 9 morti e 104 feriti.
“Ci sono forze e movimenti islamici che vogliono cambiare il Medio Oriente, creando Stati islamici, dei califfati, in cui vige la sharia – esordisce mons. Sako –. Gli attacchi a tre quartieri di Kirkuk, come in altre parti dell’Iraq sono opera di questi gruppi islamisti come Al Qaeda e Ansar al Islam. Il nostro governo non sembra in grado di garantire la sicurezza dei suoi cittadini”.
Eccellenza, dall’Egitto arrivano notizie che dicono che dall’Iraq siano partiti appelli inneggianti alla guerra santa e quindi a dare una valenza religiosa alle proteste in corso...
“Questi appelli rientrano nel tentativo di islamizzazione del Medio Oriente da parte di gruppi radicali che hanno il chiaro intento di fomentare, in questa area del mondo, un cambiamento religioso totale. Si tratta di voci che potrebbero trovare terreno fertile in Egitto e altrove e quindi non sono da sottovalutare anche perché ci sono potenze regionali i cui leader hanno definito queste rivolte il ‘risveglio dell’Islam’. Tra i manifestanti in piazza Tahrir cominciano a vedersi anche diversi fondamentalisti, molti usciti di prigione, il cui scopo è creare il vuoto per poterlo riempire di temi religiosi convinti come sono che l’Islam sia la soluzione di tutto”.
Che rischi vede per il Medio Oriente in questa fase delicata?
“Il Medio Oriente è un vulcano che fa paura, ci sono focolai di rivolte un po’ dovunque, anche se vanno operati dei distinguo in ordine alle cause. È, tuttavia, una situazione preoccupante, cominciata con l’Iraq, la Tunisia, l’Egitto, e a poco a poco stiamo vedendo la Giordania, lo Yemen, la Siria. Se l’Egitto dovesse cadere in mano a forze islamiste sarà un problema per tutti e con innegabili ricadute negative per le minoranze cristiane”.
Crede che l’Occidente abbia ben compreso questo rischio di islamizzazione del Medio Oriente?
“La mentalità occidentale non consente di comprendere a pieno questo rischio. In Oriente tutto è religioso, anche la concezione politica, non c’è separazione tra politica e religione come in Occidente dove c’è un vuoto terribile. Siamo di fronte a due estremismi: il primo è religioso, orientale musulmano, il secondo, occidentale, ed è il secolarismo che non vuole nemmeno riconoscere che la storia dell’Occidente è cristiana. Tutti i valori cristiani sono messi in disparte, confinati nella sfera privata delle persone. Non c’è violenza materiale ma questo atteggiamento è contro la democrazia. In Oriente invece è l’opposto, la religione pervade tutto”.
Cosa può fare la comunità internazionale per sostenere lo sviluppo democratico di questi Paesi in cui stanno avendo luogo le proteste?
“La comunità internazionale è incapace di muoversi. Osserviamo adesso che gli Usa seguono con particolare preoccupazione la crisi egiziana. Il futuro di questa area del mondo è ignoto e fa paura. Penso al mio Paese, l’Iraq: all’inizio gli Usa sono venuti parlando di democrazia, prosperità, ricchezza. Oggi l’Iraq è povero e con molti problemi. La democrazia non è un concetto esportabile. Se democrazia e libertà devono esserci, queste siano per tutti e non solo per un piccolo gruppo”.
Quali sono i sentimenti degli iracheni davanti alle manifestazioni egiziane contro Mubarak?
“Posso dire che sono sentimenti di tristezza. Gli iracheni hanno paura che l’Egitto, che ha un grande impatto sugli altri Paesi mediorientali, sprofondi nella divisione etnica e religiosa avviandosi a replicare la situazione drammatica dell’Iraq. I timori di un nuovo Iraq sono evidenti”.