Fonte: SIR
“Non si può più perdere tempo; l’Unione europea deve assumersi le proprie responsabilità e farsi carico della ricollocazione delle minoranze non musulmane fuggite dall’Iraq; gli Stati membri si muoveranno soltanto quando la decisione verrà presa a livello comunitario”: lo ha detto al SIR Otmar Oehring, capo della sezione diritti dell’uomo di Missio, Opera missionaria cattolica internazionale (Germania). È in corso a Bruxelles, promossa dalla Comece (Commissione degli episcopati della comunità europea), una riunione per fare il punto della situazione degli sfollati iracheni, 4,4 milioni, soprattutto non musulmani tra i quali si trovano molti cristiani, ma anche appartenenti ad altre minoranze religiose. Nello scorso novembre la Comece aveva lanciato un appello a favore di questi rifugiati, e all’inizio di gennaio il presidente, mons. Adrianus van Luyn, aveva a scritto alla presidenza slovena dell’Ue per chiedere che la questione fosse messa all’ordine del giorno della prossima riunione del Consiglio europeo e che un contingente di rifugiati iracheni, circa 60mila, venisse accolto nel nostro continente. Ieri una delegazione di persone impegnate nell’assistenza ai profughi, a Bruxelles per incontrare i rappresentanti della Commissione e del Parlamento europei, ha avuto un primo colloquio con il capogabinetto del vicepresidente della Commissione incaricato delle migrazioni, Franco Frattini.
Per Ohering, membro di questa delegazione, l’esito non è stato soddisfacente: “Siamo stati invitati a rivolgerci ai governi e parlamenti nazionali, ma noi siamo convinti che l’iniziativa debba partire da Bruxelles; l’emergenza rifugiati deve essere una preoccupazione comune, da condividere e affrontare poi singolarmente nei diversi Paesi”. È chiaro, spiega ancora, “che queste persone non potranno più ritornare in Iraq, ma non possono neppure rimanere nei Paesi dove attualmente si trovano (soprattutto Siria, Giordania, Turchia) perché anche lì subiscono continue minacce dai compatrioti iracheni”. “Un crimine contro l’umanità di fronte al quale troppe persone stanno a guardare senza intervenire”: così definisce al SIR la guerra e gli atti di violenza perpetrati in Iraq suor Marie-Claude Naddaf, superiora della Comunità delle sorelle del Buon pastore a Damasco, che si occupa di circa 1.500 rifugiati cristiani e di altre religioni. Di qui la richiesta “alle istituzioni europee di un gesto di responsabilità e di un atto di solidarietà”. “Noi – spiega suor Naddaf – offriamo accoglienza e assistenza a famiglie con bambini. Le donne e i piccoli sono particolarmente vulnerabili: traumatizzati dalla violenza, spesso con handicap o malattie. Hanno bisogno di sostegno umano e psicologico”. In Siria vivono attualmente circa 1 milione e 400mila profughi iracheni, ma il Paese non ha firmato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati.
Il Centro di suor Naddaf, che lavora in partenariato con l’Unhcr (Alto commissariato Onu per i rifugiati), offre anche programmi di formazione alle donne. “Molti bambini – prosegue la superiora - sono stati accolti nelle scuole siriane, ma molti altri sono costretti a lavorare per aiutare la famiglia, spesso priva del padre”. “Gente priva di patria e di futuro” afferma mons. Francois Yakan, vicario del Patriarcato dei Caldei in Turchia, riferendosi alle migliaia di profughi iracheni presenti nel Paese in attesa di ripartire verso altre destinazioni di accoglienza. Mons. Yakan chiede “alle istituzioni europee una seria riflessione per trovare una soluzione giusta e dignitosa a questa emergenza umanitaria”, secondo l’Unhcr “la più grave del Medio Oriente dal 1948”. “In questo tempo di Quaresima – sono ancora parole del vicario – vorrei rammentare le parole di Gesù: se avrete accolto anche uno solo di questi piccoli avrete accolto me”. Attualmente nell’Ue si contano circa 40mila profughi iracheni e l’Unhcr ha lanciato un appello affinché ne vengano accolti almeno altri 20mila.
“Non si può più perdere tempo; l’Unione europea deve assumersi le proprie responsabilità e farsi carico della ricollocazione delle minoranze non musulmane fuggite dall’Iraq; gli Stati membri si muoveranno soltanto quando la decisione verrà presa a livello comunitario”: lo ha detto al SIR Otmar Oehring, capo della sezione diritti dell’uomo di Missio, Opera missionaria cattolica internazionale (Germania). È in corso a Bruxelles, promossa dalla Comece (Commissione degli episcopati della comunità europea), una riunione per fare il punto della situazione degli sfollati iracheni, 4,4 milioni, soprattutto non musulmani tra i quali si trovano molti cristiani, ma anche appartenenti ad altre minoranze religiose. Nello scorso novembre la Comece aveva lanciato un appello a favore di questi rifugiati, e all’inizio di gennaio il presidente, mons. Adrianus van Luyn, aveva a scritto alla presidenza slovena dell’Ue per chiedere che la questione fosse messa all’ordine del giorno della prossima riunione del Consiglio europeo e che un contingente di rifugiati iracheni, circa 60mila, venisse accolto nel nostro continente. Ieri una delegazione di persone impegnate nell’assistenza ai profughi, a Bruxelles per incontrare i rappresentanti della Commissione e del Parlamento europei, ha avuto un primo colloquio con il capogabinetto del vicepresidente della Commissione incaricato delle migrazioni, Franco Frattini.
Per Ohering, membro di questa delegazione, l’esito non è stato soddisfacente: “Siamo stati invitati a rivolgerci ai governi e parlamenti nazionali, ma noi siamo convinti che l’iniziativa debba partire da Bruxelles; l’emergenza rifugiati deve essere una preoccupazione comune, da condividere e affrontare poi singolarmente nei diversi Paesi”. È chiaro, spiega ancora, “che queste persone non potranno più ritornare in Iraq, ma non possono neppure rimanere nei Paesi dove attualmente si trovano (soprattutto Siria, Giordania, Turchia) perché anche lì subiscono continue minacce dai compatrioti iracheni”. “Un crimine contro l’umanità di fronte al quale troppe persone stanno a guardare senza intervenire”: così definisce al SIR la guerra e gli atti di violenza perpetrati in Iraq suor Marie-Claude Naddaf, superiora della Comunità delle sorelle del Buon pastore a Damasco, che si occupa di circa 1.500 rifugiati cristiani e di altre religioni. Di qui la richiesta “alle istituzioni europee di un gesto di responsabilità e di un atto di solidarietà”. “Noi – spiega suor Naddaf – offriamo accoglienza e assistenza a famiglie con bambini. Le donne e i piccoli sono particolarmente vulnerabili: traumatizzati dalla violenza, spesso con handicap o malattie. Hanno bisogno di sostegno umano e psicologico”. In Siria vivono attualmente circa 1 milione e 400mila profughi iracheni, ma il Paese non ha firmato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati.
Il Centro di suor Naddaf, che lavora in partenariato con l’Unhcr (Alto commissariato Onu per i rifugiati), offre anche programmi di formazione alle donne. “Molti bambini – prosegue la superiora - sono stati accolti nelle scuole siriane, ma molti altri sono costretti a lavorare per aiutare la famiglia, spesso priva del padre”. “Gente priva di patria e di futuro” afferma mons. Francois Yakan, vicario del Patriarcato dei Caldei in Turchia, riferendosi alle migliaia di profughi iracheni presenti nel Paese in attesa di ripartire verso altre destinazioni di accoglienza. Mons. Yakan chiede “alle istituzioni europee una seria riflessione per trovare una soluzione giusta e dignitosa a questa emergenza umanitaria”, secondo l’Unhcr “la più grave del Medio Oriente dal 1948”. “In questo tempo di Quaresima – sono ancora parole del vicario – vorrei rammentare le parole di Gesù: se avrete accolto anche uno solo di questi piccoli avrete accolto me”. Attualmente nell’Ue si contano circa 40mila profughi iracheni e l’Unhcr ha lanciato un appello affinché ne vengano accolti almeno altri 20mila.