Fonte SIR
a cura di Daniele Rocchi
9 gennaio 2008
“Chi ha compiuto questi attentati ha voluto dimostrare la debolezza delle istituzioni governative in materia di sicurezza e, più in generale, il fattoche in Iraq non ci sia ancora la pace”. Mons. Shlemon Warduni, vescovo caldeo ausiliare di Baghdad, legge così gli attacchi bomba del 6 gennaio scorso, portati quasi contemporaneamente a Mosul e a Baghdad seminando la distruzione in ben sette luoghi di culto cristiani. Delusione è stata espressa dall’arcivescovo di Mosul, mons. Faraj P.Rahho che si è detto anche “sorpreso” per il coordinamento di questi attentati giunti “alla fine di unperiodo di festa per i cristiani e per i musulmani”. Parole di perdono pergli autori degli attacchi sono state espresse dal patriarca caldeo di Baghdad, card. Emmanuel III Delly. La fine delle violenze contro i cristiani è stata invocata anche da Benedetto XVI che il 7 gennaio, incontrando i 176 ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, ha chiesto “una riforma costituzionale appropriata” per S“salvaguardare i diritti delle minoranze”. Sulla vicenda e sulla vita dei cristiani iracheni il SIR ha posto alcune domande al nunzio apostolico in Iraq e Giordania, mons. Francis AssisiChullikatt.
Eccellenza, mai prima d’ora, si era registrato in Iraq un attacco così ampioa chiese e luoghi di culto cristiani, anche se fortunatamente senza vittime.Un messaggio ai cristiani?
“Non sappiamo chi siano gli autori di questi attacchi però la cosa che ci preoccupa maggiormente è il fatto che se questi fossero stati portati solo alcune ore prima ci sarebbe stata una strage spaventosa. Le chiese infatti erano piene di fedeli. Appare chiaro che queste azioni sono state coordinate e questa cosa è la nostra principale preoccupazione adesso. Il patriarca Emmanuel III Delly aveva celebrato la messa nella chiesa di san Giorgio, nella capitale. L’altra chiesa colpita è quella di san Paolo a Mosul dove risiede il vescovo per motivi di sicurezza. Difficile dire che tipo di segnale abbiano voluto lanciare i terroristi con questi attentati. Certo hanno dimostrato di poter colpire con facilità e con precisione, se solo avessero voluto. Il governo è cosciente di tutto ciò, ma noi siamo moltopreoccupati. Quella del 6 gennaio è una triste novità”.
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Perché tutta questa violenza contro la minoranza cristiana?
“I cristiani sono i più vulnerabili e indifesi in Iraq. Non hanno dove e a chi rivolgersi per far valere i loro diritti alla protezione. Non hanno milizie o bracci armati come altri gruppi nel Paese. Siamo i più esposti, specialmente i sacerdoti. Molti dei nostri preti celebrano regolarmente ad orari fissi e questo li rende dei veri e propri facili bersagli. Si respira un clima pesante. È una difficoltà che abbiamo qui come Chiesa ma il nostro ministero ci richiede di dare testimonianza, nonostante tutto. Stiamo cercando di portare avanti il nostro lavoro pastorale e chiediamo al governo di accordarci protezione, ma i mezzi di cui dispone sono limitati e vanno condivisi con il resto della popolazione musulmana, anch’essa sottoposta a violenza ogni giorno”.
Eppure queste feste erano iniziate sotto i migliori auspici con il Natale dichiarato festa nazionale...
“Quest’anno il Natale è stato dichiarato come festa in Iraq e questo ci ha permesso di celebrare molto bene la nascita di Gesù. Grazie anche ad relativa sicurezza, le chiese sono state affollate dai fedeli e siamo stati veramente felici di questo. Purtroppo gli attacchi del 6 gennaio hanno rovinato tutto. Grazie a Dio non ci sono stati morti, solo due feriti, ma molti danni materiali. Non dobbiamo, tuttavia, perdere la speranza anche se molte comunità cristiane vivono nella paura. I nostri fedeli sono chiamati a sperare oltre ogni speranza e a dare significato e concretezza a questa parola. Questa è la nostra missione. Le parole e gli appelli del Papa donano alle comunità cristiane irachene la forza per andare avanti perché testimoniano che non sono sole, ma la Chiesa è loro vicina. Sanno che l’Iraq è nel cuore del Papa”.
Molte famiglie riparate nel nord iracheno stavano anche facendo ritornonelle loro abitazioni a Baghdad. Ora c’è un rischio di rallentamento nel rientro?
“Molti cristiani, grazie ad una certa sicurezza ristabilita specie nella capitale, stavano rientrando. Ora questi attacchi potrebbero rallentare il ritorno nei loro luoghi d’origine”.
Ma come rispondere e difendersi dalle bombe e da tanta violenza?
“Abbiamo attivato tutti i contatti con le Autorità preposte al fine di averela sicurezza necessaria. Ma ci sono difficoltà poiché le risorse sono limitate e a subire la mancanza di sicurezza e la violenza è, come il patriarca Delly ha spesso ricordato, tutta la popolazione. La Chiesa irachena ha sempre puntato e lavorato per il dialogo, la pace e la riconciliazione nel Paese. Senza questi fondamenti non si va da nessuna parte. Ecco la risposta da dare alla violenza”.