"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

31 ottobre 2007

Il Patriarca Caldeo cerca legami con i musulmani

Fonte: Associated Press

Di KIM GAMEL

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

Il Patriarca Caldeo di Baghdad, recentemente nominato primo cardinale della storia irachena, ha dichiarato martedì che la crescente violenza ha peggiorato la vita degli iracheni cristiani a partire dall’invasione a guida americana del paese, ma anche che è ottimista sul fatto che “la pace prevarrà”
Emmanuel III Delly, che il prossimo mese si recherà in Vaticano per accettare la berretta cardinalizia, ha il compito di mediare tra i pericoli che la sua piccola comunità cattolica sta affrontando e la necessità di mantenere i contatti con i musulmani.
L’ottantenne capo dell’antica Chiesa Caldea in Iraq ha affermato che le speranze di libertà createsi all’indomani della caduta di Saddam Hussein nel 2003 hanno lasciato il posto al terrore diffuso.
“Avevamo sperato che la situazione sarebbe migliorata, ma in effetti è peggiorata” ha detto alla Associated Press nel corso di un’intervista rilasciata nella sede patriarcale difesa da guardie armate nella parte ovest di Baghdad.
“Autobombe, bombe lungo le strade, omicidi. Tutte cose che non succedevano in passato quando c’erano stabilità e sicurezza.”
Delly, uno dei nuovi 23 cardinali nominati il 17 ottobre da Papa Benedetto XVI, da’ la colpa della violenza all’estremismo ed afferma che è suo compito promuovere l’unità con i musulmani ed i fedeli di altri credi.
“Prego ogni giorno perché Dio illumini le menti dei dirigenti e li guidi verso la strada della pace e della riconciliazione.”
Giocherellando spesso con la grossa croce d’argento che pende dal suo collo, il leader spirituale caldeo ha affermato di aver fatto visita ai leaders islamici sunniti e sciiti durante i loro giorni sacri e che essi usano ricambiare queste visite durante il Natale. Ha anche riferito di aver ricevuto centinaia di telefonate di congratulazioni per la sua nomina a cardinale da parte sia di sunniti che di sciiti.
“Tutti vogliamo la pace” ha detto, seduto in una sala di un edificio che fiancheggia un cortile ornato di siepi fiorite e con una statua della Vergine Maria in centro. “Dovremmo però agire e non solo parlare.”

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Delly in passato ha parlato chiaramente della necessità di proteggere i cristiani che rappresentano il 3% dell’intera popolazione irachena che ammonta a 26 milioni di persone.
Lo scorso maggio S.E. Delly ha emesso un comunicato congiunto con il Patriarca della Catholic Assyrian Church of the East*, Mar Dinkha IV, in cui si affermava che i cristiani in Iraq erano vittime di “ricatti e rapimenti, e che erano costretti a lasciare le proprie case” per mano di insorti arabo sunniti legati al al-Qaida in Iraq. I due patriarchi lamentavano il fatto che il governo “fosse rimasto in silenzio senza prendere una chiara posizione.”
Nonostante ciò il messaggio di Delly di martedì è stato un messaggio di unità in cui si è detto che gli iracheni di ogni appartenenza religiosa hanno sofferto a causa del caos, e si è comunque sottolineato l’ottimismo riguardo al miglioramento della sicurezza nel paese.
“Abbiamo vissuto con i nostri fratelli musulmani per 14 generazioni ed abbiamo interessi in comune, il pericolo esiste per tutti senza nessuna eccezione. Preghiamo Dio perché la pace prevalga e che ognuno di noi lavori per essa.”
Questi toni moderati sono stati espressi tre giorni dopo la promessa fatta a Delly da parte del primo ministro Nouri al-Maliki di proteggere ed aiutare la comunità cristiana che è particolarmente vulnerabile considerando il suo scarso peso politico e militare.
Delly, che parla arabo, francese, italiano, latino, inglese ed aramaico, ha riferito che il primo ministro sciita ha definito la sua nomina a cardinale “un onore per tutti gli iracheni” e che ha promesso l’invio di una delegazione governativa a Roma per la nomina del 24 novembre prossimo.
“Mi ha detto che sta facendo del suo meglio per rendere migliore la vita degli iracheni e perché si possa vivere in pace. Io gli ho detto che è nostro dovere lavorare per la pace. Entrambi lavoriamo per il bene di tutti gli iracheni.”
Prima della guerra si stimava che i cristiani in Iraq, la maggior parte dei quali caldeo-assiri ed armeni,* più una piccola percentuale di cattolici romani, fosse di 800.000 persone.
Durante il regime di Saddam essi erano generalmente lasciati in pace e molti, incluso l’ex ministro degli esteri e vice primo ministro Tariq Aziz, raggiunsero alti livelli di potere. Dopo la caduta di Saddam però i cristiani iniziarono ad essere considerati sostenitori degli Stati Uniti, secondo quanto afferma il Minority Rights Group.
I cristiani cominciarono ad essere sempre più vittime dell’insorgenza a guida sunnita. A decine di migliaia fuggirono, mentre molti di coloro che rimasero si barricarono in alcune zone e furono costretti a nascondere la propria appartenenza religiosa se ne uscivano. Circa il 50% dei cristiani potrebbero avere lasciato l’Iraq, ha dichiarato U.S. Commission on International Religious Freedom.
Gli attacchi ai cristiani hanno raggiunto il culmine in un attacco coordinato ad alcune chiese di Baghdad* nell’estate del 2004 e di nuovo lo scorso settembre dopo i commenti del Papa considerati anti islamici.
Il pontefice tedesco ha successivamente dichiarato che le sue parole sull’Islam erano state male interpretate e che gli dispiaceva che i musulmani si fossero offesi, e recentemente ha imvoacto il dialogo tra la cristianità e l’Islam.
Delly, che è nato a Tel Kaif, a nord della città settentrionale di Mosul, ha riferito che Papa Benedetto XVI gli ha chiesto di dialogare con i musulmani iracheni.
“Lui vuole il bene di tutti e mi ha chiesto di aprire un dialogo con i nostri fratelli musulmani qui. Questo è il suo messaggio ai musulmani ed al mondo intero” ha detto Delly, “Dovremo fare il possibile per far capire e sentire loro che li amiamo e che ci amano. Questo è il vero dialogo.”


* Il nome esatto della chiesa che Mar Dinkha Iv guida è Assyrian Church of the East. L’aggettivo “catholic” è assente visto che la chiesa non è legata al Pontefice Romano.
*
Ricordiamo anche i fedeli della chiese Siro cattolica, Siro Ortodossa, Copta Cattolica, Copta Ortodossa, Melikita e le diverse confessioni protestanti.
*Il primo di agosto del 2004 furono attaccate 5 chiese, 4 a Baghdad ed 1 a Mosul.

Note di Baghdadhope

Chaldean Patriarch Seeks Ties to Muslims


By KIM GAMEL

Chaldean patriarch of Baghdad, recently named Iraq's first cardinal, said Tuesday that rising violence has made life worse for Iraqi Christians since the U.S.-led invasion, but he is optimistic that "peace will prevail."
Emmanuel III Delly, who will go to the Vatican next month to collect his cardinal's red hat, must balance the dangers facing his small Catholic community with a mission to reach out to Muslims.
The 80-year-old head of the ancient Chaldean Church in Iraq said the hopes of freedom in the aftermath of Saddam Hussein's ouster in 2003 have given way to widespread fear.
"We had hoped that the situation would be better. In fact it is worse," he told The Associated Press during an interview at his guarded compound in western Baghdad.
"Car bombs, roadside bombs, killings, assassinations. All of these things were not happening in the past. There was stability and security."
But Delly, who was one of 23 new cardinals named by Pope Benedict XVI on Oct. 17, blamed the violence on extremists and said it is his job to reach out to Muslims and followers of other faiths to promote unity.
"I pray every day to God to enlighten the minds of the officials and guide them to the road of peace and reconciliation," he said.
Often fiddling with the large silver cross on a chain around his neck, the Chaldean spiritual leader said he visits leaders from Islam's Shiite and Sunni sects during their holy days and they do the same on Christian holidays. He said he received "hundreds of calls from Sunnis and Shiites" congratulating him on his promotion to cardinal.
"We all want peace," he said, sitting in an ornate reception room in a building off a courtyard lined with flower bushes and a statue of the Virgin Mary in the center. "We should accomplish this with actions and not only with words."

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Delly has been outspoken in the past about the need to protect Christians, who comprise less than 3 percent of Iraq's 26 million population.
In May, he issued a joint statement with Patriarch Mar Dinka IV of the Catholic Assyrian Church of the East* saying Christians in a number of Iraqi regions faced "blackmail, kidnapping and displacement" at the hands of Sunni Arab insurgents led by al-Qaida in Iraq. They complained the government "has kept silent and not taken a firm stance."
But Delly had only a message of unity Tuesday, saying that Iraqis of all sects have suffered from the chaos and that he is optimistic security is improving.
"We have been living with our Muslim brothers for 14 generations and we have common interests with each other," he said. "The danger is hitting everybody without exception. We pray to God that peace will prevail and every one of us should work for peace."
The toned down remarks came three days after Delly received a promise from Prime Minister Nouri al-Maliki to protect and support Iraq's Christian community, which is particularly vulnerable since it has little political or military clout to defend itself.
Delly, who speaks Arabic, French, Italian, Latin, English and Aramaic, said the Shiite Muslim prime minister called his promotion to cardinal "an honor for all Iraqis" and promised to send a government delegation to Rome for his Nov. 24 ordination.
"He told me he is doing his best to make Iraqis feel comfortable and live in peace in Iraq. I told him it is our duty to work for peace," Delly said. "We are working for the sake of all Iraqis."
The country's Christian population was estimated at more than 800,000 before the war — the majority of them Chaldean-Assyrians and Armenians,* with small numbers of Roman Catholics.
They were generally left alone under Saddam's regime, and many, including former foreign minister and deputy prime minister Tariq Aziz, reached the highest levels of power. But after Saddam's ouster, Christians became perceived as supporters of the U.S., the Minority Rights Group says.
Christians were increasingly targeted by the Sunni-led insurgency, causing tens of thousands to flee, isolating many of those who remained in barricaded neighborhoods and forcing them to hide their religious affiliation when venturing out. Up to 50 percent may have left Iraq, says the U.S. Commission on International Religious Freedom, which advises the U.S. government.
Attacks on Christians peaked with a coordinated bombing campaign in the summer of 2004 aimed at Baghda* churches and again last September after the pope made comments perceived to be anti-Islam.
The German-born pontiff later said that his words about Islam were misunderstood and that he was sorry Muslims were offended, and he has recently been calling for dialogue between Christianity and Islam.
Delly, who was born in Tel Kaif, north of the northern city of Mosul, said Benedict asked him to reach out to Iraq's Muslims.
"He wants the good of everybody, and he asked me to open dialogues with our Muslim brothers here. This is his message to the Muslims and the whole world," Delly said. "We should do our best to make them understand and to make them feel that we love them and they love us. This is the real dialogue."

*The exact name of the Church Mar Dinkha IV leads is Assyrian Church of the East, the adjective Catholic being absent being not the church linked to Rome Pontiff.
* We can remember also the faithful of the Syriac Church - Catholic and Orthodox, of the Coptic Church - catholic and orthodox, of the Melkite Church and different Protestant Churches.
*On the 1 of August 2004 five churches were attacked, four in Baghdad and one in Mosul

Notes by Baghdadhope

30 ottobre 2007

Credere fra le bombe


di Casadei Rodolfo

La sua famiglia ha dovuto abbandonare la città e la casa che abitava da molti anni per cercare riparo in un villaggio della piana di Ninive. Uno dei suoi fratelli è rimasto ferito mentre faceva la guardia alla chiesa dello Spirito Santo, colpito da schegge e proiettili di un assalto di terroristi. Un altro è minacciato di morte perché si è occupato delle salme delle vittime dell'attacco del 2 giugno,* quando furono assassinati il parroco e tre suddiaconi che lo accompagnavano, e ha contribuito a evitare un'altra strage lanciando l'allarme per le mine che erano state collocate sotto i cadaveri. Il sacerdote assassinato, padre Ragheed Ghanni, era stato prima suo insegnante alla facoltà di teologia a Baghdad e poi compagno nel ministero pastorale a Mosul. E adesso due dei pochi sacerdoti cristiani rimasti in città, i padri Pius Afas e Mazen Ishoa della Chiesa siriaca cattolica, sono stati rapiti e il loro destino, al momento in cui scriviamo, è estremamente incerto.* Eppure Samer Yohanna, monaco caldeo di 27 anni, ha gli occhi del bambino contento. Complice il fisico pacioccone e il sorriso intelligente del ragazzo che studia senza fatica e impara tutto rapidamente. Il pensiero di tornare a Mosul una volta terminati gli studi a Roma pare non turbarlo: «Padre Ghanni diceva sempre: "Dobbiamo esprimere la speranza che è nella fede cristiana rimanendo presenti, continuando a dire Messa. Questo farà crescere la fede e la speranza della gente". Sapeva quello che rischiava, gli arrivavano minacce di morte e "inviti" a non dire più Messa in parrocchia, ma mi diceva: "Dobbiamo essere come il buon pastore che dà la vita per le pecore. Io vivo giorno per giorno, non so se mi uccideranno mentre torno a casa. Ma non posso smettere di fare quello che faccio"».

Clicca su "leggi tutto" per l'articolo de I Tempi
Prima della guerra del 2003 Mosul era la seconda città dell'Iraq per numero di cristiani: caldei, siriaci cattolici e ortodossi, assiri, melchiti, armeni, eccetera. Insieme superavano le 100 mila unità. Proprio per questo il primo assalto terrorista in grande stile contro la presenza cristiana in Iraq, quello del 1° agosto 2004, coinvolse quattro edifici di culto di Baghdad e due di Mosul. Dopo di allora gli edifici sacri, i vescovadi, i conventi e il personale apostolico della città sono sempre rimasti sotto tiro. La capitale ha conosciuto il più alto numero di sacerdoti rapiti, ma a Mosul è finito nelle mani dei sequestratori anche un vescovo (il siriaco cattolico Basile Georges Casmoussa), e di Mosul erano i due preti iracheni uccisi dalla guerriglia: oltre a padre Ghanni il siriaco ortodosso Paulos Iskandar, assassinato nell'ottobre 2006.* Dopo oltre tre anni di aggressioni di tutti i tipi, le comunità cristiane in città si sono ridotte al lumicino. La Chiesa siriaca cattolica, che prima della guerra contava 35 mila fedeli, 12 parrocchie e 23 sacerdoti diocesani, oggi conta appena 300 famiglie e 3 sacerdoti. I caldei, un po' meno numerosi come fedeli, avevano 11 parrocchie, 8 monasteri, 10 sacerdoti. Ora sono rimasti solo 3 sacerdoti che devono garantire la Messa in tutte e 11 le chiese, che vengono aperte solo il sabato e la domenica (ma non sempre e non tutte). La chiesa dello Spirito Santo, che era la principale parrocchia caldea della città con 1.200 famiglie prima della guerra, era scesa a 300 famiglie alla vigilia dell'assassinio del parroco e oggi non ne rimangono più di 80. Le prime comunioni riguardavano 200-300 bambini all'anno negli ultimi tempi del regime. Nel 2006, l'ultima volta che padre Ghanni poté assistere, erano ridotti a 80; e nel luglio scorso, quando il rito è stato celebrato dal vescovo, monsignor Rahho, solo 17 bambini e bambine si sono presentati all'appello. In settembre l'ennesima bomba è stata fatta esplodere davanti alla chiesa e un pulmino della parrocchia è stato portato via a mano armata. Eppure quella di Mosul non è solo la cronaca di una persecuzione dei cristiani con l'inevitabile effetto della dispersione del gregge e dei pastori. È anche la storia della trasformazione del ruolo sociale dei sacerdoti e insieme del loro doloroso cammino di santificazione, prodotti del fatto che sono diventati bersagli di una violenza mirata. «In Iraq tradizionalmente il sacerdote era oggetto di rispetto da parte di tutti per la sua figura sacrale. E ancora oggi al prete si baciano le mani. Quando appare in una stanza tutti si alzano in piedi per cedergli il loro posto a sedere. Al tempo di Saddam chiunque avesse non dico aggredito, ma minacciato un sacerdote cristiano sarebbe stato arrestato. Dopo la guerra è cambiato tutto: a causa dei pericoli che corriamo, ci vestiamo in maniera da non essere riconosciuti, e la gente sa che non deve sottolineare la nostra identità in pubblico. Ricordo un giorno che portai un gruppo di orfani in un negozio del centro. Ero vestito in borghese per non farmi riconoscere, dicevo ai commessi che ero lo "zio" di quei ragazzi, e loro sapevano di non dovermi contraddire». Il prestigio sociale dei sacerdoti è andato in frantumi, mostrare riguardi o semplicemente rispetto nei loro confronti è diventato un atto che mette in pericolo chi lo compie. La scelta vocazionale è tutta sotto il segno del sacrificio. «Ho preso i voti solenni proprio nel 2003, sono un monaco antoniano di sant'Hormiza», spiega padre Samer. «Quando ero ancora un professo, padre Ghanni mi voleva con lui sull'altare col mio saio. Io mi vergognavo, ma lui diceva che dovevo farlo per aiutare le vocazioni. Ricordo sempre quello che diceva: "Dirci cristiani di questi tempi è una sfida a noi stessi, ma dobbiamo farlo. Altrimenti, che ne sarà della nostra gente?". Cercava di rassicurare sempre i fedeli. L'ho visto aprire e chiudere lettere di minacce, dicendo a chi aveva vicino: "È la lettera di un amico, la leggo dopo"».

Il coraggio in eredità
Quanto sia centrale la figura dei sacerdoti martiri per i cristiani iracheni lo si è visto alla Messa di commemorazione delle vittime dell'eccidio del 2 giugno presso la chiesa di San Paolo la settimana dopo, col presbiterio affollato di simboli inconsueti. Oltre alle foto dei quattro uccisi (quella di padre Ragheed Ghanni più grande al centro, le tre immagini dei suddiaconi subito sotto, appoggiate alla prima) c'erano una gabbia con dentro un cocorito verde, alcuni pacchi di pasta, un cellulare e un computer portatile. Erano gli oggetti personali di padre Ghanni, che sono stati spartiti fra i familiari dei tre laici uccisi insieme a lui, consegnati dal vescovo in persona. Un modo per dire che quel prete ha dato tutto se stesso per il suo gregge, e che il gregge ha meritato di ereditare la sua fede, la sua forza, il suo coraggio.

* Padre Ghanni ed i tre suddiaconi furono uccisi
Domenica 3
* Padre Pius Affas e Padre Nazen Isho'a sono stati liberati Domenica 21 ottobre
*Nel dicembre 2006 a mosul è stato ucciso anche Monther Saqa, il diacono della National Protestant Evangelic Church
Note di Baghdadhope

27 ottobre 2007

Il premier iracheno si impegna a proteggere la minoranza cristiana

Fonte: International Herald Tribune

The Associated Press

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

Lo scorso sabato il primo ministro iracheno si è impegnato a proteggere ed aiutare la minoranza Cristiana fuggita dal caos e dalla violenza settaria nel paese.
Ricevendo il Patriarca Caldeo di Baghdad, Emmanuel III Delly, a capo della chiesa caldea in Iraq e nel mondo, Nouri Al Maliki ha dichiarato la disponibilità e la determinazione del proprio governo a difendere la piccola comunità ed a fermare la fuga degli iracheni cristiani, secondo quando riferito dallo stesso ufficio del primo ministro.
Delly ha parlato apertamente della necessità di proteggere la minoranza cristiana dalla spirale di violenza in Iraq.
Il 17 di ottobre Papa Benedetto XVI ha nominato Delly come uno dei nuovi 23 cardinali, principi della Chiesa Cattolica Romana.
Dalla Guerra del 2003 gli iracheni cristiani, la maggior parte caldei, sono stati vittime degli estremisti islamici che li hanno definiti “Crociati” leali verso le truppe americane che essi combattono.
La comunità Cristiana in Iraq, circa il 3% di 26 milioni di abitanti, è particolarmente vulnerabile avendo scarso peso politico e militare nel difendersi e chiese, sacerdoti ed esercizi commerciali gestiti dai cristiani sono stati attaccati dagli estremisti islamici.
Ala ricerca di una vita migliore e più sicura circa il 50% degli iracheni cristiani potrebbe già avere lasciato il paese secondo un rapporto della U.S. Commission on International Religious Freedom.

Iraqi premier pledges to protect Christian minority


The Associated Press

Iraq's prime minister pledged Saturday to protect and support the Christian minority that has been fleeing the chaos and sectarian violence in the country.
In receiving Chaldean patriarch of Baghdad, Emmanuel III Delly, the head of Chadean Church in Iraq and the world, Nouri al-Maliki affirmed his government's readiness and determination to defend the small community and to stop the outflow of Iraqi Christians, according to a statement by al-Maliki's office.
Delly has been outspoken about the need to protect minority Christians from Iraq's spiraling violence.
Pope Benedict XVI named Delly as one of 23 new cardinals as a prince of the Roman Catholic Church on Oct. 17.
Since 2003 war, Iraqi Christians, mostly Chaldeans were the targeted by Islamic extremists who labeled them "Crusaders" loyal to the U.S. troops they are fighting.
The Christian community here, about 3 percent of the country's 26 million people, is particularly vulnerable. It has little political or military clout to defend itself.
Churches, priests and business owned by Christians have been attacked by Islamic militants.
Seeking better and safer life, about 50 percent of Iraq's Christians may already have left the country, according to a report issued by the U.S. Commission on International Religious Freedom.

26 ottobre 2007

Monsignor Warduni: "L'iraq è nel cuore del Papa"

Fonte: SIR

“Il rapimento dei due sacerdoti siro-cattolici sequestrati a Mossul il 13 ottobre e rilasciati domenica scorsa ripropone il tema della sicurezza in Iraq e soprattutto delle difficoltà in cui versa maggiormente la minoranza cristiana”.
A parlare al Sir è il vescovo ausiliare di Baghdad, mons. Shlemon Warduni. “La sicurezza – dice – resta il problema più grande dell’Iraq. Sono uscito questa mattina per andare al Patriarcato e non riesco a fare rientro a casa. Check point, strade e ponti chiusi, sto cercando disperatamente un varco per passare ma senza successo. Restare a lungo in strada è pericoloso per il rischio di bombe e attentati”. A questo si aggiunga anche “la carenza di energia elettrica, di gasolio e di acqua. La popolazione vive un disagio incredibile che solo chi vive qui riesce a capire”. In questa situazione la creazione a cardinale del patriarca caldeo Mar Emmanuel III Delly, per mons. Warduni, rappresenta “un segno importante e forte con il quale il Papa mostra tutto il suo affetto per il popolo iracheno. Anche il Governo ha accolto con soddisfazione questa notizia. Tutto l’Iraq è nel cuore del papa e questo ci dona conforto e speranza”.

Mgr. Warduni: "Iraq is in Pope's heart"

Source: SIR

Translated from Italian by Baghdadhope

“The kidnapping of the two syriac catholic prites in Mosul on October 13 and their release on last Sunday reproposes the topic of security in Iraq and above all of the difficulties the Christian minority is living.”
These are the words of the Auxiliary Bishop of Baghdad, Mgr. Shlemon Warduni. “Security” he says “is the most serious problem in Iraq. This morning I went to the Patriarchate and I am not able to get back home. Check points and closed roads and bridges, I am still desperately try to find a way but with no result. To stay outside is dangerous for bombings and attacks.” To all this it must be added “the lack of electricity, oil and water. People are living an uncomfortable life that only who is living here can understand.” In this situation the appointment of the Chaldean patriarch, Mar Emmanuel III Delly, as a Cardinal is for Mgr. Warduni “an important and strong sign of Pope’s love for the Iraqi population. Even the Government was satisfied with the nomination. All Iraq is in Pope’s heart and this gives us comfort and hope.”

24 ottobre 2007

Il Cardinale Delly sui rifugiati iracheni in Libano


Il Cardinale Caldeo Emmanuel –Karim Delly di Baghdad, Iraq, ha ringraziato il popolo libanese per l’ospitalità ed ha chiesto maggiore aiuto per i rifugiati iracheni nel paese. Milioni di iracheni sono fuggiti dalla violenza, dal terrorismo, dalle estorsioni e dalla morte, ha dichiarato il Patriarca della Chiesa cattolica Caldea durante la Messa nella Cattedrale Caldea di St. Raphael a Beirut il 21 di ottobre. Egli si è appellato alle autorità libanesi perché aiutino le decine di migliaia di iracheni rifugiati in Libano, molti dei quali cristiani. Ha espresso inoltre gratitudine verso i libanesi che hanno accolto gli iracheni in cerca di rifugio “in attesa che passi la tempesta” nella loro patria. Il Cardinale Delly ha sottolineato che i rifugiati iracheni affrontano numerose difficoltà, specialmente per quanto riguarda il lavoro, la possibilità di ottenere i permessi lavorativi ed il loro status legale. Sebbene essi siano destinatari di aiuti, specialmente dalla Caritas del Libano e dall’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite, hanno ancora bisogno di sostegno per le cure mediche e l’istruzione dei loro figli.

Iraqi cardinal-designate discusses Iraqi refugees in Lebanon


Chaldean Cardinal-designate Emmanuel-Karim Delly of Baghdad, Iraq, thanked the people of Lebanon for their hospitality and called for more help for Iraqi refugees there. Millions of Iraqis have fled their homeland to escape violence, terrorism, extortion and death, said the patriarch of the Chaldean Catholic Church at a Mass in St. Raphael Chaldean Cathedral in Beirut Oct. 21. He appealed to Lebanese authorities to ease the burden weighing on the lives of the tens of thousands of Iraqi refugees in Lebanon, many of whom are Christian. He expressed gratitude toward the Lebanese who have welcomed Iraqis seeking refuge "while they wait for the storm to pass" in their homeland. Cardinal-designate Delly noted that Iraqi refugees face numerous difficulties, particularly regarding their employment, legal status and ability to obtain work permits. Although they receive emergency aid, notably from Caritas Lebanon and the U.N. High Commissioner for Refugees, they need more help for medical treatment and education for their children, he said.

Sacerdote rapito: "Non per religione ma per soldi"

Fonte: MISNA

"La gente in Iraq viene rapita di continuo, vive nel timore di essere vittima di un sequestro perché lo stato della sicurezza, dopo l’occupazione, è talmente degenerato che nessuno si sente più al sicuro. Questa guerra deve finire perché ha gettato il paese nel caos”: ne è convinto padre Pius Afas, uno dei due sacerdoti siro-cattolici sequestrati a Mossul il 13 ottobre e rilasciati domenica scorsa, contattato in Iraq dalla MISNA. “Non credo che le persone che ci hanno rapito – sottolinea il religioso - facessero parte di un’organizzazione; sono quasi certo che si trattasse di criminali comuni alla ricerca di soldi”. Il sacerdote, originario della zona di Mossul, non entra nei dettagli della liberazione: “Del riscatto non voglio parlare, anche se si è trattato di una cifra molto inferiore a quella richiesta dai rapitori, ma ci tengo a sottolineare che è il denaro il motivo del rapimento. Non si è trattato di una violenza a scopo confessionale, in nessun modo”. Padre Pius, tenuto prigioniero in un unico locale insieme con il confratello Mazen Ishoa e altre tre persone, sottolinea: “Musulmani, per i quali è stato chiesto un riscatto come nel nostro caso; probabilmente anche loro stanno festeggiando il ritorno alla libertà ." Mentre parla al telefono dalla sagrestia della Chiesa di San Tommaso, si sentono voci di sottofondo e un telefono che squilla di continuo: “La notizia della liberazione ha portato molto sollievo nella comunità e c’è un andirivieni di gente che manifesta il suo affetto” spiega padre Afas che, concludendo, aggiunge: “Prima della caduta di Saddam Hussein, i problemi in Iraq erano molti, ma non c’è mai stato odio tra le diverse confessioni religiose; pensavamo di stare male, di vivere sotto una dittatura, ma almeno si poteva uscire di casa”.

Kidnapped priest: "Not for religion but money"

Source: MISNA

"People in Iraq are being kidnapped all the time….Overall security, after the occupation, has degenerated to such an extent that nobody feels safe. This war must end as it has thrown the country into chaos”. So said father Pius Afas, one of the two priests who were kidnapped last October 13 in Mosul and released last Sunday to MISNA: “I do not believe that those who kidnapped us were part of an organization; I’m almost sure they were common criminals looking for money”. He added, “as for the ransom, I don’t want to talk about it…, but I stress that money was the motive behind the kidnapping. This was in no way related to confessional violence”. Father Pius, held prisoner with his fellow brother Mazen Ishoa and three others, said: “Muslims, who were also released upon the payment of a ransom are likely also celebrating their release”. He added that “news of the release brought much relief to the community and many people have come to show their affection” said father Afas who concluded by saying: “before the fall of Saddam Hussein, there were many problems in Iraq, but hatred among the various religious denominations was never a problem; we thought that we were living badly, under a dictatorship, but at least we could leave the house”.

Un des deux prêtres enlevés: "Pour l'argent, pas pour la religion"

Source: MISNA

"Les gens en Irak sont enlevés continuellement, ils vivent dans la crainte d'être victimes d'un kidnapping car la sécurité s'est tellement détériorée que personne ne se sent plus en lieu sûr. Cette guerre doit finir parce qu'elle a jeté le pays dans le chaos", a déclaré Père Pius Afas, l'un des deux prêtres syriaques catholiques qui ont été enlevés à Mossoul le 13 octobre et libérés dimanche dernier, et que notre agence MISNA a contacté en Irak. "Je ne crois pas que les personnes qui nous ont enlevés – souligne le religieux – faisaient partie d'une organisation ; je suis presque sûr qu'il s'agissait de criminels ordinaires qui voulaient de l'argent". Le prêtre, originaire de la région de Mossoul, ne rentre pas dans les détails de sa libération : "Je ne veux pas parler de la rançon, même si je peux dire qu'il s'agissait d'une somme bien inférieure à celle qu'avaient requise les ravisseurs, mais je tiens à souligner que l'argent était le motif de notre enlèvement, et en aucun cas notre religion". Père Pius, retenu prisonnier dans une salle unique avec son confrère Mazen Ishoa et trois autres personnes, ajoute : "C'étaient des musulmans pour lesquels il avait également été demandé une rançon, comme dans notre cas ; ils sont probablement en train de fêter leur retour à la liberté eux aussi". Pendant que Père Pius parle au téléphone, on entend en fond sonore des voix et un téléphone qui sonne continuellement depuis la sacristie de l'église de Saint Thomas : "La nouvelle de notre libération a provoqué un grand soulagement au sein de notre communauté et il y a un va-et-vient continu de personnes qui veulent nous manifester leur affection", explique-t-il ; puis, en conclusion, il ajoute : "Avant la chute de Saddam Hussein, les problèmes en Irak étaient nombreux, mais il n'y avait jamais eu de haine entre les différentes confessions religieuses ; nous pensions que ça allait mal, que nous vivions sous une dictature, mais au moins, on pouvait sortir de chez soi".

Sacerdote secuestrado: "No por religión sino por dinero”

Fuente: MISNA

“La gente es secuestrada continuamente en Irak, vive en el temor de ser víctima de un secuestro porque la situación de seguridad, luego de la ocupaciَon ha degenerado hasta el punto de que nadie se siente seguro. Esta guerra debe terminar porque ha llevado al país al caos”, dice convencido el padre Pius Afas, uno de los dos sacerdotes siro-católicos secuestrados en Mosul el 13 de octubre y liberados el domingo pasado, al ser contactado en Irak por la MISNA. “No creo que las personas que nos secuestraron -insiste el religioso- fueran parte de una organización. Estoy casi seguro de que se trataba de criminales comunes en busca de dinero”. El sacerdote, originario de la zona de Mosul, no entra en los detalles de la liberación: “Del rescate no quiero hablar, aunque se trate de una cifra muy inferior a la que fue exigida en principio por los secuestradores, pero insisto en subrayar que el dinero es la razón del secuestro. No se trató, en ningun modo, de un acto de violencia con motivaciones religiosas”. El padre Pius, que fue tenido prisionero en un sólo lugar junto con su colega Mazen Ishoa y otras tres personas, subraya que eran “musulmanes, por los que se pidió un rescate como en nuestro caso. Probablemente también ellos estarán celebrando su liberación”. Mientras habla por teléfono desde la sacristía de la Iglesia de Santo Tomas, se sienten otras voces en el fondo y un teléfono que suena continuamente. “La noticia de la liberación trajo mucho alivio a la comunidad y hay un ir y venir continuo de gente que manifiesta su afecto”, explica el padre Afas que, concluye diciendo: “Antes de la caída de Saddam Hussein, los problemas en Irak eran muchos, pero jamás hubo odio entre las distintas confesiones religiosas. Pensábamos que estábamos mal, que vivímos bajo una dictadura, pero al menos podíamos salir de casa”.

23 ottobre 2007

Online the video of the vigils held for Baghdad National Museum

By Baghdadhope

Three terrible days for Baghdad and the whole Iraq began on April 10 2003.
In those frenetic hours when the regime broke up and the American troops took possession of the capital city, with the complete indifference of the occupants, Baghdad National Museum and National Library were sacked. Thousands of artistic and historical invaluable works, the memory of Mesopotamia, the “Cradle of Civilization” disappeared. A lot of masterpieces were returned but many, too many, vanished, swallowed by the art black market that has not scruples about destroying the inheritance of a country and of humanity.

To draw the attention of the world to the 7.000 masterpieces still missing from Baghdad National Museum, and to the still running sack of more than 10.000 archaeological sites in the country, the nonprofit organization SAFE/Saving Antiquities for Everyone organized on April 10, 11 and 12 2007 a vigil for which it was requested to the partecipants to light a candle and to keep one minute of silence.
The initiative was supported by Dr. Donny George, the former general director of Baghdad National Museum who is now living in the USA and working as a professor at Stony Brook University of New York.

On SAFE website is now possible to see the VIDEO of the vigils held in different countries of the world since April 10 to 12 2007, starting from the one held in front of Baghdad National Museum.
Click here to go to SAFE website and see the video using:

Online il video delle veglie per il Museo Nazionale di Baghdad

By Baghdadhope

Il 10 aprile del 2003 iniziarono tre giorni terribili per Baghdad e per tutto l’Iraq.

In quelle ore frenetiche in cui il regime si disgregò e le truppe americane presero possesso di tutta la capitale, nella completa indifferenza degli occupanti, il Museo Nazionale di Baghdad e la Biblioteca Nazionale vennero saccheggiati. Da essi scomparirono migliaia di pezzi di incalcolabile valore artistico e storico, memoria della Mesopotamia, la “culla della civiltà.” Molti capolavori sono stati restituiti ma molti, troppi, sono scomparsi, ingoiati dal mercato nero dell’arte che non si fa scrupoli di distruggere il patrimonio artistico di un paese e di tutta l’umanità.

Per attirare l’attenzione del mondo sui 7.000 pezzi ancora mancanti dal Museo Nazionale di Baghdad e sul saccheggio, tutt’ora in corso, di più di 10.000 siti archeologici nel paese, l’organizzazione senza fini di lucro SAFE/Saving Antiquities for Everyone ha organizzato il 10, l’11 ed il 12 aprile 2007 un evento in cui venne richiesto richiesto ai partecipanti di accendere una candela e di rispettare un minuto di silenzio.L'iniziativa ha avuto l’appoggio del
Dottor Donny George, ex Direttore Generale del Museo Nazionale di Baghdad che ora vive in America ed insegna presso la Stony Brook University di New York.

Sul sito di SAFE è ora possibile vedere il VIDEO delle veglie svoltesi in diversi paesi del mondo dal 10 al 12 aprile 2007, a partire da quella tenutasi proprio di fronte al Museo di Baghdad.

Clicca qui per collegarti al sito di SAFE/ Saving Antiquities for Everyone e poter vedere il video con

Gli iracheni fuggiti dalle loro case affrontano di nuovo il terrore mentre la Turchia bersaglia i ribelli del PKK.


By Michael Howard in Anishky

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

Quando Youssef Toma e la sua famiglia lasciarono la loro casa nel pericoloso quartiere di Dora per trovare rifugio tra i picchi e le valli del Kurdistan, pensarono di avere lasciato il terrore dietro di sè, insieme ai propri mobili.
Con l’aiuto delle autorità locali il Sig. Toma, un ex dirigente di una compagnia assicurativa, nello scorso anno si costruì una nuova casa ad Anishky, un villaggio ai piedi del monte Matin nella quiete della Valle Sabna, a 13 miglia dal confine turco.
Il Sig. Toma, un diacono della Chiesa Assira, e la sua famiglia presto divennero membri attivi della congregazione del luogo. Orgoglioso del suo giardino e del suo buon raccolto di pomodori indica con la pala i muri perimetrali del palazzo che Saddam Hussein fece costruire per la moglie Sajida alla fine degli anni 70 – una prova, dice, di quanto l’area fosse apprezzata non solo dai locali.
Eppure la scorsa settimana l’idillio rurale del Sig. Toma è stato brutalmente infranto. Il terrore che aveva provato a Baghdad è ritornato. Per circa 45 terrificanti minuti una serie di colpi dell’artiglieria turca è caduta dal chiaro cielo notturno su Anishky.

Clicca su "leggi tutto" per l'articolo di The Guardian
Presumibilmente le truppe turche al di là del confine miravano alle basi ribelli del Partito dei Lavoratori Curdi, il PKK, che si crede nascoste tra le montagne. Ma le hanno mancate.
“La casa tremava, ed io ho detto alla mia famiglia che erano tuoni” ha dichiarato il Sig. Toma guardando una macchia annerita sulla montagna circa 100 metri dietro la casa dove è caduto un colpo di artiglieria. “Ma ho vissuto a Baghdad per 40 anni e conosco il rumore delle bombe. Ne sono cadute 22. Siamo fuggiti dai terroristi islamici ed ora siamo terrorizzati dai turchi. Dove possiamo fuggire?’”
Anishky non è l’unico villaggio che è stato bombardato questa settimana. Secondo quanto ha riferito il Vescovo Shlimon della vicina cittadina di Sersing altri 6 villaggi della zona, molti abitati da rifugiati cristiani da Baghdad, sono stati colpiti.
“Il bombardamento è durato per più di 4 ore ed ha colpito fattorie, ucciso bestiame e distrutto orti e strade usate dagli abitanti, è un miracolo che nessuno sia stato ucciso.”
A Dohuk, capoluogo della provincia, il vice governatore, Gorgees Shlaymoon Kaaee, anch’egli un cristiano, ha dichiarato che quella notte la zona è stata colpita da almeno 250 colpi di artiglieria. “I nostri villaggi esistono da secoli. Non abbiamo niente a che fare con il PKK, eppure veniamo puniti lo stesso.”
Il bombardamento è avvenuto mentre il parlamento turco si preparava ad approvare gli attacchi oltre confini mirati a stanare i guerriglieri del PKK che dal 1984 lottano per i diritti dei Curdi contro le forze turche nella zona sud-orientale della Turchia a maggioranza curda. Secondo la Turchia 30 tra soldati e civili sono stati uccisi nel corso di attacchi da parte del PKK dallo scorso settembre.
Pressione interna
Spinta ad agire da una forte pressione interna, Ankara ha dispiegato circa 60.000 soldati dalla sua parte del confine con l’Iraq, ed ha chiesto che i leaders curdi iracheni, che essa accusa di aiutare il PKK, cooperino con Baghdad nello sradicare le basi dei ribelli e nell’estradare i leaders del PKK. La Turchia accusa anche il governo americano e quello di Baghdad di non fare abbastanza per schiacciare i ribelli in territorio iracheno.
Sebbene il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, ha dichiarato questa settimana che un’invasione del nord dell’Iraq non è imminente, i leaders turchi affermano di riservarsi il diritto di proteggere il paese contro i ribelli che lanciano i loro attacchi dall’Iraq. La decisione è stata criticata dalla comunità internazionale che teme che un attacco destabilizzerebbe il Kurdistan iracheno, la regione più sicura. I leaders curdi iracheni hanno chiesto il dialogo e la pace tra le parti.
Il ministro degli esteri iracheno, Hoshyar Zebari, un curdo, questa settimana ha chiesto al PKK di lasciare il territorio iracheno ed ha previsto che un attacco turco al nord dell’Iraq avrebbe portata limitata.
Tutto ciò è però di poco conforto per gli abitanti dei villaggi, particolarmente allarmati dalle notizie secondo le quali i generali turchi avrebbero stabilito dei piani per creare una zona cuscinetto lungo la parte irachena del confine che includerebbe molte zone dove i rifugiati si sono sistemati.
Eppure i turchi sono già qui – e sono stati qui per più di un decennio, con il tacito accordo delle autorità curde. Da un lato della Valle Sabna, un presidio di soldati turchi occupa la base aerea Barmani. Ad est, nella cittadina collinare di Amediya, un carro armato turco sorveglia da un piccolo avamposto. Il loro ruolo è monitorare i combattenti del PKK, sebbene i guerriglieri siano ora lontani. “Non ci piace che siano qui, ma cosa possiamo fare?” dice Mohsen Qatani, un capo tribù locale, “Li ignoriamo e speriamo che ci ignorino. Non è la nostra lotta.”
Il Vescovo Shlimun stima che 6.000 cristiani assiri sradicati dalla violenza da altre parti del paese abbiano trovato rifugio lungo il confine iracheno settentrionale con la Turchia. Questo afflusso ha portato nuova vita nelle semi abbandonate comunità rurali, dice. Questa settimana ad Ashinky, per esempio, un cristiano di Baghdad ha aperto una sala dove la gente può riunirsi per i matrimoni.
“Ma se la Turchia continua con le incursioni o i bombardamenti” dice il vescovo, "come faremo a trovare la pace che stiamo cercando?”
Gli avvertimenti dei rifugiati
Le autorità locali della regione del Kurdistan affermano di temere che 30.000 persone potrebbero essere sfollate se i soldati turchi penetrassero oltre il confine. L’Alto Commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha anche avvertito del pericolo di una crisi dei rifugiati nel nord Iraq in caso di attacco curdo. “Il governatorato del nord, o Kurdistan.. è l’area più stabile dell’Iraq” ha detto, “è un’area dove si possono trovare anche iracheni provenienti dal centro e dal sud venuti qui in cerca di sicurezza. Posso solo dire che siamo molto preoccupati per quanto riguarda gli sviluppi che potrebbero condurre a significativi spostamenti forzati dela popolazione.”

Nel villaggio di Barnatha, Juliet Jabril, 37 anni, afferma di avere nostalgia della sua vita e del suo lavoro di parrucchiera a Baghdad che ha lasciato a luglio.
“Non c’era alternativa se non quella di partire” dice in lacrime. Aveva visto uccidere un ragazzino di 11 anni che vendeva benzina sulla strada dov'era il suo negozio, ed uomini mascherati erano andati a trovarla e le avevano detto che il suo lavoro era “contro la volontà di Dio.”
“So cosa è successo alle altre parrucchiere”
dice “voglio solo vivere in pace ed ho pensato di trovarla in Kurdistan.” Juliet dice di non essere d’accordo con la violenza del PKK, ma di essere preoccupata che, se costretto a lasciare le proprie basi ciò “potrebbe creare spazio per i militanti islamici in arrivo dall’Iran.”
“Ed allora vedremo gli uomini mascherati nella nostra bella valle.”

Iraqis who fled homes in fear face new terror as Turkey targets PKK rebels

Source: The Guardian

By Michael Howard in Anishky, northern Iraq

When Youssef Toma and his family fled their home in Baghdad's perilous Dora neighbourhood and found refuge in the peaks and valleys of Kurdistan, they assumed their fear had been left behind with their furniture.
With the help of local authorities, Mr Toma, a former manager of an insurance company, had spent the last year building a new house, and life, in Anishky, a village nestling at the foot of the Matin mountains in the bucolic Sabna valley, 13 miles from the Turkish border.
Mr Toma, a deacon in the Assyrian church, and his family soon became active members of the neighbourhood congregation. He took special pride in developing his garden. Standing by a healthy crop of tomatoes this week, he gestured with his trowel at the perimeter walls of a palace Saddam Hussein built for his wife Sajida in the late 70s - a reminder, he said, that the beauty of the region was not just prized by locals.
Last weekend, however, Mr Toma's rural idyll was brutally disrupted. The dread he felt in Baghdad returned. For about 45 terrifying minutes, a barrage of Turkish artillery shells rained down from the clear night sky upon Anishky.


Click on "leggi tutto" for the article by The Guardian

Turkish troops gathered across the border had supposedly been aiming at rebel bases of the Kurdistan Workers party or PKK, believed to be hiding high up in the mountains. They missed.
"Our house was shaking. I told my family it was thunder," said Mr Toma, as he looked at a blackened patch of mountainside about 100 metres behind his house, where a shell had fallen. "But I have lived in Baghdad for 40 years, so I know the sound of bombs. There were 22 of them. We escaped the Islamic terrorists, and now we are terrorised by the Turks. Where else can we run?"
Anishky was not the only village shelled this week. According to Bishop Shlimon in the nearby town of Sersing, at least six other villages in the area, many inhabited by Christian refugees from Baghdad, were affected.
"The bombardment lasted for more than four hours, striking farmlands, killing livestock and destroying orchards and roads used by villagers," he said. "It is a miracle no one was killed."
In the provincial capital of Dohuk, the deputy governor, Gorgees Shlaymoon Kaaee, also a Christian, said that night the area was hit by at least 250 shells. "Our villages have been here for centuries. We have nothing to do with PKK. Yet we are being punished all the same."
The shelling came as the Turkish parliament prepared to sanction cross-border attacks to root out guerrillas from the PKK, which has fought a bloody campaign for Kurdish rights against Turkish forces in the country's heavily Kurdish south-east since 1984. Turkey says 30 soldiers and civilians have been killed in PKK attacks since late September.
Domestic pressure
Under huge domestic pressure to take action, Ankara has deployed about 60,000 troops on its side of the border with Iraq, and has demanded that Iraq's Kurdish leaders, whom it accuses of aiding the PKK, cooperate with Baghdad in eradicating the rebel bases and extraditing PKK leaders. Turkey also accuses the US and the government in Baghdad of not doing enough to crack down on the rebels in Iraqi territory.
Though the Turkish prime minister, Recep Tayyip Erdogan, said this week an invasion of northern Iraq was not imminent, Turkish leaders say they reserve the right to protect the country against the rebels it claims are launching attacks from Iraq. The decision was criticised by the international community, who fear an attack would destabilise Iraqi Kurdistan, the country's most secure region. Iraq's Kurdish leaders have urged dialogue and peace.
Iraq's foreign minister, Hoshyar Zebari, himself a Kurd, this week demanded the PKK leave Iraqi soil. He predicted any Turkish attacks on northern Iraq would be on a limited scale.
But that is of little comfort to the villagers. They are particularly alarmed by reports that Turkey's generals have drawn up plans to establish a 15-mile buffer zone along the Iraqi side of the border that would include many places where refugees have settled.
Yet the Turks are already here - and have been for over a decade, with the tacit agreement of the Kurdish authorities. At one end of the Sabna valley, a garrison of Turkish soldiers occupies the Barmani airbase. To the east, in the hilltop town of Amediya, a Turkish tank watches from a small outpost. Their role is to monitor the PKK fighters, though the guerrillas are actually far away. "We don't like them to be here, but what can we do?" said Mohsen Qatani, a local tribal chief. "We ignore them and hope they ignore us. It is not our fight."
Bishop Shlimon said an estimated 6,000 Assyrian Christians who have been uprooted by violence elsewhere have found homes along Iraq's northern border with Turkey. The influx has breathed new life into many semi-abandoned rural communities, he said. This week in Anishky, for example, a Christian from Baghdad opened a hall where 1,000 people could gather for weddings.
"But if Turkey continues to raid or bomb us, or even invades," said Bishop Shlimon, "then how will any of us get the peace or the life we are looking for?"
Refugee warning
Local authorities in the Kurdistan region said they feared 30,000 people may be displaced if Turkish troops enter across the border. The UN's high commissioner for refugees, Antonio Guterres, also warned of the danger of a refugee crisis in northern Iraq if Turkey attacks. "The northern governorate, or Kurdistan ... has been the most stable area of Iraq," he said. "It is an area also where you find Iraqis from the south and central Iraq who came seeking security. I can only express our deep concern about any development that might lead to meaningful displacements of population."
In the village of Barnatha, Juliet Jabril, 37, said she missed her life and her hairdressing business in Baghdad, which she left in July.
"There was no alternative but to leave," she said tearfully. First she saw an 11-year-old boy, who was selling petrol on the street outside her salon, shot dead. Then masked men visited her salon and told her that hairdressing "was against the will of Allah".
"I know the fate of other hairdressers," she said. "All I want is to live in peace, and I thought Kurdistan would offer me sanctuary." She said she did not support the PKK's violence, but worried that if they were forced to leave their bases, "it might create space for Islamic militants to come in from Iran".
"And then we'd see the masked men in our beautiful valley,"
she said.

Iraq. La testimonianza di padre Afas dopo la liberazione: invito i cristiani a restare a Mossul


By Mathilde Auvillain e Giancarlo La Vella

Proprio nel corso della sua visita pastorale a Napoli, è giunta al Papa la notizia della liberazione in Iraq dei due sacerdoti cristiani, di rito siro-cattolico, rapiti nei giorni scorsi a Mossul, nel nord del Paese. “Benedetto XVI ha accolto con grande gioia la notizia della positiva conclusione del sequestro dei due religiosi, per i quali domenica scorsa il Santo Padre aveva lanciato all’Angelus un accorato appello”. Lo ha detto ai giornalisti il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi. “Abbiamo intensamente partecipato a questo dramma e seguito la vicenda di padre Mazen Ishoa e di padre Pius Afas con grande preoccupazione – ha detto ancora padre Lombardi – e l’avvenuto rilascio è il segno di una pace che speriamo possa svilupparsi. L'auspicio del Papa – ha concluso – è che eventi del genere non si ripetano più”. Sulla drammatica esperienza vissuta, Mathilde Auvillain, della nostra redazione francese, ha contattato telefonicamente a Mossul proprio uno dei due sacerdoti rapiti, padre Pius Afas:

Clicca su "leggi tutto" per le interviste di Radiovaticana a Padre Pius Afas ed a Monsignor Basel George Casmoussa
"Non abbiamo subito nessuna tortura, nessuna pressione. Assolutamente no. Abbiamo vissuto dei momenti molto difficili, in cui, però, non sono mai mancate la fiducia, la speranza e la preghiera. Noi siamo stati molto contenti e molto grati della grande solidarietà che abbiamo ricevuto a livello mondiale e delle tante preghiere che si sono elevate per noi e che ci hanno tanto aiutato e sostenuto, così come l’appello del Santo Padre. Ieri mattina, ci hanno liberato in un quartiere, dove abbiamo preso un taxi, dal quale ci siamo fatti portare direttamente nella nostra Chiesa e già ieri, nel pomeriggio, abbiamo celebrato la Messa insieme. Molte erano le persone presenti in segno di ringraziamento al Signore. E’ stato veramente molto molto emozionante."
Voi avete incoraggiato i cristiani a rimanere a Mossul...
"Assolutamente. Noi siamo molto preoccupati che si mini l’amicizia con i nostri fratelli musulmani, con i quali conviviamo da secoli. E questo lo abbiamo detto anche ai nostri rapitori: noi non vogliamo rovinare questa amicizia, perdere questa fraternità islamo-crisitana. Noi restiamo, quindi, in Iraq e non siamo disposti a cedere, perché siamo – cristiani e musulmani insieme – per la pace tra gli iracheni."
Quanto è stato importante per voi l’appello del Papa?
"L’appello ci ha dato un grande coraggio: l'appello affinché i nostri rapitori ci lasciassero è stato certamente un grande, grande sostegno."

Il sequestro di padre Ishoa e padre Afas è solo l’ultimo degli attacchi compiuti contro la comunità cristiana in Iraq. Con quale stato d’animo i cristiani stanno vivendo questo momento?
Giancarlo La Vella lo ha chiesto a mons. Basile Georges Casmoussa, arcivescovo siro-cattolico di Mossul:
"Siamo molto preoccupati per il futuro. Noi rappresentiamo soltanto una minoranza in Iraq e molti cristiani iracheni sono spinti a lasciare le loro case a Baghdad e a Mossul. Ci sono molte famiglie che vanno via da questi luoghi. Alcune volte vengono minacciati affinché lascino le loro case, ma altre volte vengono esortati a convertirsi all’Islam in cambio della libertà; in caso contrario saranno costretti ad andarsene. Ci sono molti episodi del genere fra i cristiani e questo aumenta nella comunità la preoccupazione per il futuro. Normalmente i nostri rapporti sono sempre stati buoni con la popolazione musulmana, con i quali conviviamo in spirito di amicizia e collaborazione. Ma ora, con questa corrente fondamentalista che combatte la presenza delle truppe americane, la situazione è diventata estremamente pericolosa per noi."

21 ottobre 2007

Commozione a Moncalieri (TO) per la liberazione a Mosul dei due sacerdoti rapiti sabato scorso

By Luigia Storti

“Dopo 2000 anni la mia chiesa sta ancora lottando, anche se non con le armi, è ancora perseguitata, ancora una chiesa di martiri, ma ancora esiste. La sua stessa sopravvivenza è la sua missione.”
I fedeli della chiesa di San Vincenzo Ferreri a Moncalieri (TO) hanno appena finito di ascoltare queste parole che hanno concluso l’omelia che oggi, giornata mondiale missionaria, è stata dedicata appunto alla chiesa missionaria di Cristo nel mondo. A pronunciarle è stato, non con senza emozione, un giovane sacerdote iracheno, Padre D. Dawood, da poco tempo collaboratore della chiesa.
La lunga storia della sua chiesa, iniziata nel primo secolo dopo Cristo, e la narrazione delle varie persecuzioni che l’hanno colpita, hanno commosso l’uditorio che ha ben capito il messaggio del sacerdote: una chiesa è missionaria non solo quando diffonde la Parola di Dio, ma anche quando la conferma con la sua stessa sofferenza, con il suo stesso resistere, con il sacrificio dei milioni di cristiani che in quelle terre d’oriente hanno dato la vita pur di non tradirla.
Il silenzio in chiesa è carico di cristiana partecipazione, ed è rotto dalla preghiera che i due celebranti, Don Giuseppe Orsello e Padre Dawood elevano a Dio a protezione di quella e di tutte le chiese perseguitate ed in difficoltà nel mondo.
Ed è proprio alla fine di quella preghiera, “un segno” commenterà poi Padre Orsello, che una certa agitazione si trasmette nella chiesa. Uno degli accompagnatori del sacerdote iracheno ha appena ricevuto un messaggio: “Padre Pius e Padre Mazen sono stati liberati.” La voce si diffonde ma nessuno sa come fare a dare la notizia. Spinto da chi gli è vicino l’accompagnatore si fa coraggio e si avvicina all’altare chiedendo a gesti di poter parlare. “Mi scuso per l’interruzione, ma ho appena ricevuto un messaggio dall’Iraq: i due sacerdoti rapiti sono liberi ed ho pensato che tutti voi voleste saperlo!” dice.
La prima reazione è di stupore. Non succede spesso che i fedeli di una chiesa siano partecipi in prima persona della notizia della liberazione di due sacerdoti rapiti. Chi ha dato l’annuncio si gira verso l’altare e conferma in inglese ciò che Padre Orsello sta riferendo in italiano a Padre Dawood:
“They have been released, they are free”
“E’ sicuro?” “Si”
Sono quasi indescrivibili le emozioni che in quel momento passano negli occhi del sacerdote, lui stesso vittima di un rapimento in Iraq. Felicità, stupore, commozione, addirittura incredulità. I suoi stessi gesti le dimostrano. Le mani alla testa, le labbra che pronunciano più volte: “Mio Dio! Mio Dio!” l’abbraccio con Padre Orsello che ripete il felice annuncio ai fedeli che finalmente sciolgono la tensione in un lungo applauso liberatorio. La commozione è palpabile. Una donna si alza dalle prime file e porta al commosso Padre Dawood un fazzoletto di carta, la chiesa è illuminata dai sorrisi di tutti.
La Santa Messa continua e finisce in un clima di felicità, anche il coro canta più forte oggi.
“Ci sono particolari della liberazione?” chiedo a Padre Dawood che, appena finita la Messa ha chiamato l’Iraq per la conferma della notizia, “stanno bene?”
“Non lo so, ma non mi importa”
risponde, “se anche gli hanno tagliato una mano la cosa importante è che siano liberi, e vivi.”
Ecco, in questa piccola storia che per un caso viene da una chiesa della provincia italiana c’è tutta la lunghissima storia della chiesa irachena, perseguitata, mutilata, ma ancora viva, proprio come Padre Pius Affas e Padre Mazen Isho’a, liberati oggi a Mosul dopo 9 giorni di prigionia, e come lo stesso Padre Dawood che qui l’ha testimoniata con il suo essere vivo.
Ed oggi, felice.”

20 ottobre 2007

Un appello per i cristiani iracheni rifugiati in Libano dal vescovo caldeo: Mons. Michel Kassarji

Fonte: altomilaneseinrete.it

Per il ciclo d’incontri organizzato dalla Fondazione San Giacomo: “QUID EST VERITAS? Testimoni della verità”, nuovo appuntamento giovedì 25 ottobre alle ore 21:15 al Teatro Sociale di Busto Arsizio (VA) in piazza Plebiscito,1. Ospite d’eccezione, insieme a Rodolfo Casadei inviato speciale di Tempi, S.E. Mons. Michel Kassarji vescovo Caldeo a Beirut che interverrà su un tema di grande importanza: “Un appello per i cristiani iracheni rifugiati in Libano”. L’evento ha il patrocinio della Città di Busto Arsizio.
Il Vescovo Caldeo a Beirut Mons. Kassarji parlerà della situazione dei cristiani Caldei Iracheni che scappano dal loro Paese e si rifugiano, in cerca di futuro, in Libano, unica nazione con una presenza cristiana ancora organizzata. Rodolfo Casadei è autore di reportage periodici sul settimanale Tempi che a partire dall’estate 2007 hanno contribuito a richiamare l’attenzione sulla situazione drammatica di questa comunità cristiana, che Mons. Kassarji sta personalmente sostenendo. Il Vescovo ha raccontato che oggi sono oltre 2.000 le famiglie rifugiate. Nessuno dei componenti ha permessi di soggiorno, ed è nella più completa clandestinità, con immaginabili riflessi sulla scelta dei modi con cui sopravvivere. Una clandestinità tollerata e non perseguita dalle autorità, ma che li destina a vivere come fantasmi, senza medicine, assistenza, diritti e identità civile: senza alcuna soluzione per il futuro, che si auspica invece che gli organismi politici internazionali sappiano ideare.
Gli incontri, ad ingresso gratuito, sono aperti a tutti gli interessati, con registrazione obbligatoria prima dell’inizio.
Per maggiori informazioni è possibile contattare la segreteria della Fondazione, telefono: 0331.336.390

Baghdad: un missionario, la grazia ed i passeri (replica dal 2005)

Fonte: MISNA

di Massimo Zaurrini
Sono passati due anni da quando la MISNA raccolse, per la giornata missionaria del 2005, questa testimonianza da Baghdad, ma, purtroppo, le parole di padre Manuel Hernandez restano ancora di grande attualità

Clicca su "leggi tutto" per la testimonianza raccolta da MISNa nel 2005
“Aspetta che ti faccio sentire come cantano i passeri che ogni giorno vengono a rifugiarsi nei 25 metri quadri di giardino che abbiamo nella nostra casa”: padre Manuel Hernandez, missionario spagnolo dei Carmelitani scalzi, apre la finestra della sua camera nella casa conventuale dell’ordine a ridosso della 'zona verde', la più militarizzata al centro di Baghdad, ma invece del cinguettio dei passeri attraverso la cornetta arriva fino a Roma solo il suono inconfondibile degli spari di un’arma automatica. Brevi raffiche separate da neanche due secondi di silenzio. In quei brevi istanti di pace, riesco effettivamente a sentire un debole cinguettio. “Hai sentito?” mi chiede Manuel dall’altra parte. Sono confuso, gli chiedo di confermarmi quello che le mie orecchie non possono vedere...Lui si mette a ridere. “Anche i passeri non ne possono più – continua padre Hernandez – ormai da alcuni giorni c’è un nutrito gruppo di volatili che ha preso l’abitudine di venirsi a rifugiare sugli alberi del nostro piccolo giardino. Nei giorni scorsi ho assistito a scene incredibili, hanno combattuto a poca distanza da casa nostra e mi sembrava di essere finito dentro un film di guerra americano. Sembrava una delle puntate di Rambo. A differenza tua mi sono abituato al suono delle armi e come accade per chi abita vicino a una ferrovia ormai non le sento quasi più, mentre mi godo la voce di queste piccole creature che mi vengono a trovare”.
Il suono delle raffiche continua a distrarmi, padre Manuel se ne accorge e chiude la finestra. “Ci sei adesso?” mi dice sempre ridendo. Non riesco a non chiedergli chi glielo faccia fare di stare li, se non ha mai pensato di andarsene e qual è il senso della sua missione in quell’inferno in terra che ormai sembra diventata Baghdad. “Mai come in questo periodo mi ritengo ‘pieno di grazia’– dice lui, mentre intuisco che sta teneramente sorridendo della mia ingenua curiosità laica – perché sto soffrendo con questa gente, sto condividendo il loro dolore e la loro tristezza, la loro gioia e le loro speranze, insomma in poche parole sto dividendo la loro stessa esistenza cercando di trasmettere tutto l’amore che ho a disposizione”.
“Gocce d’acqua in mezzo al deserto”, questa è l’immagine con cui Manuel sintetizza il ruolo di un missionario secondo la sua filosofia di vita. “Cerchiamo di essere un esempio, di insegnare, ma soprattutto di imparare da chi ci circonda - conoscendo ormai da tempo questo missionario spagnolo posso assicurare a tutti che le sue parole non sono retorica - come la Chiesa, la gerarchia intendo, dovrebbe imparare da noi missionari. Troppo spesso, invece, continua a parlare con un linguaggio extraterrestre che la gente non comprende. Io non condivido i toni politici e diplomatici con cui la gerarchia si esprime e sono convinto che non li condividerebbe neanche Gesù che per aver parlato chiaramente venne messo su una croce” prosegue il missionario. “Ad esempio – continua padre Manuel – in questi giorni si è aperto il processo contro Saddam Hussein per crimini di guerra e contro l’umanità. Giustissimo che venga processato. Ma perché nessuno si adopera per mettere alla sbarra anche i capi di quei paesi che ogni anno distruggono tonnellate di cibo per evitare che i prezzi di alcuni prodotti agricoli si abbassino troppo sui mercati internazionali, mentre milioni di persone muoiono ogni anno per fame? Che cos’è questo se non un crimine contro l’umanità?"
Non rispondo, non riesco mai a rispondere alle domande di Manuel. “In materia di condivisione – aggiunge, tornando sul tema di questa giornata missionaria – dovremo imparare proprio dalle vittime dei nostri comportamenti, da quei paesi del Medio Oriente e dell’Africa che stanno alla periferia di questa epoca e dove i valori umani, quelli veri, sono più forti di quanto pensiamo. In questo mondo di ingiustizia vengono negati i diritti fondamentali, come quello di vivere e di mangiare, a milioni di persone e poi ci confortiamo l’anima dando un po’ di elemosina quando si producono disastri e dimostrando tutta la nostra misericordia. Non è certo questa la strada. Finchè non ci si sveglierà al mattino rendendosi conto che siamo tutti dalla stessa parte, quella dell’umanità, non ci aiuteremo a vicenda”.
Appena rientrato dal suo paese d’origine, con ancora negli occhi le immagini delle ondate di aspiranti immigrati abbattersi sulle recinzioni delle enclavi di Ceuta e Melilla, il missionario continua: “Guarda all’immigrazione. Dopo aver rubato per secoli a questa gente le loro materie prime impedendo intanto che potessero sviluppare una propria industria, ora ci stupiamo e ci interroghiamo sul perché si gettano sui fili spinati. Le nostre società sono schiaviste. Cos’è, se non una nuova forma di schiavitù, costringere milioni di uomini e donne giovani, nel fiore degli anni, ad abbandonare la propria terra, i propri cari per lanciarsi contro un filo spinato nel tentativo di raggiungere una condizione migliore di quella a cui i nostri paesi democratici li hanno relegati?”. Anche a questa domanda non riesco a rispondere.
“C’è un passerotto sul balcone” si interrompe improvvisamente Manuel. “Ti saluto e vado a recuperare un po’ di pane e glielo sbriciolo, prima che qui fuori ricomincino a girare Rambo” mi dice, prima di riagganciare la cornetta.


19 ottobre 2007

Il Nunzio apostolico in Iraq segue la vicenda dei due sacerdoti sequestrati

Fonte: Zenit

La Santa Sede, attraverso il Nunzio apostolico in Iraq, segue la situazione dei due sacerdoti siro-cattolici sequestrati sabato scorso e lavora per la loro liberazione. Secondo quanto rivelato giovedì dalla “Radio Vaticana”, a confermarlo è stato l’Arcivescovo Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione vaticana per le Chiese Orientali, recentemente chiamato alla porpora cardinalizia dal Santo Padre. “Stiamo facendo il possibile ed anche il Papa ha fatto un appello per la loro liberazione domenica scorsa all'Angelus”, ha detto il porporato a margine della presentazione dell’ultimo numero della rivista italiana di geopolitica “Limes”. “Stiamo aspettando le informazioni per vedere cosa si può fare attraverso il Nunzio apostolico”, che “sta a Baghdad e quindi lì, in nome del Papa e della Santa Sede, siamo in contatto anche con il Patriarca Delly III (di Babilonia dei Caldei, Iraq), anch’egli destinato a diventare Cardinale il 24 novembre.Con grande preoccupazione per la situazione in Iraq, Benedetto XVI ha rivolto domenica un appello per l’immediata liberazione di questi “due buoni sacerdoti dell'Arcidiocesi siro-cattolica di Mosul, minacciati di morte”. Padre Mazin Ishoa, di 35 anni, e padre Pius Afas, di 60, si stavano dirigendo dal centro di Mosul (loro città d’origine) alla parrocchia di Nostra Signora di Fatima, nel quartiere di al-Faisaliya – dove erano attesi per la celebrazione di un funerale –, quando sono stati sequestrati da un numero imprecisato di uomini armati nel quartiere di al-Thawara.

El representante papal en Irak, pendiente de los dos sacerdotes secuestrados

Fuente: Zenit

La Santa Sed
e, a través del nuncio apostólico en Irak, sigue la situación de los dos sacerdotes siro-católicos secuestrados el pasado sábado y trabaja por su liberación. De acuerdo con las e
misiones del jueves de «Radio Vaticano», así lo confirmó la víspera el arzobispo Leonardo Sandri, prefecto de la Congregación vaticana para las Iglesias Orientales --recién llamado a la púrpura cardenalicia por el Santo Padre--.
«Estamos haciendo lo posible, y también el Papa ha hecho el domingo pasado, en el Ángelus, lanzó una petición por su liberación», expresó el prelado al margen de la presentación del número de «Limes» [revista italiana de geopolítica].
«Además, estamos esperando informaciones para ver qué se puede hacer a través del nuncio apostólico» --apuntó-- quien «se encuentra en Bagdad y por lo tanto allí, en nombre del Papa y de la Santa Sede, permanecemos en contacto también con el Patriarca Delly III» (de Babilonia de los Caldeos, Irak) –que igualmente será creado cardenal el próximo 24 de noviembre--.
Con gran preocupación por la situación en Irak, Benedicto XVI hizo el domingo un llamamiento por la inmediata liberación de estos «dos buenos sacerdotes de la archidiócesis siro-católica de Mosul, amenazados de muerte». El padre Mazin Ishoa, de 35 años, y el padre Pius Afas, de 60, se dirigían desde el centro de Mosul (de donde ambos son originarios) a la parroquia de Nuestra Señora de Fátima, en el barrio de al-Faisaliya –donde se les esperaba para la celebración de un funeral--, cuando fueron secuestrados por un número impreciso de hombres armados en el barrio al-Thawara.

Irak : Restera-t-il encore des chrétiens ?


«Les chrétiens sont pris pour cible car ils refusent le recours à la violence : ils n’ont pas de milice pour se défendre ou se venger et représentent donc des proies faciles »
a déclaré Marc Fromager, directeur de l’Aide à l’Eglise en Détresse (AED), réagissant à l’enlèvement de deux prêtres Irakiens le 13 octobre à Mossoul. «Dans le même temps, nous recevons une lettre de 138 dignitaires musulmans qui assurent que “les musulmans et l'Islam ne sont en aucune manière contre les chrétiens”. Nous nous en réjouissons et espérons que ces autorités condamneront également et sans réserve ce genre d’actes anti-chrétiens» poursuit-il.
Le 13 octobre dernier, le Père Mazer Ishoa Mattoka et le Père Pios Affas ont été enlevés dans le district de Faisaliya, dans le Nord de Mossoul, alors qu’ils étaient en route pour l’église Notre-Dame de Fatima, où ils allaient assister à des funérailles. Mgr Andreas Abouna, évêque auxiliaire chaldéen de Bagdad, a immédiatement appelé tous les chrétiens à prier pour la libération de ces deux prêtres, en insistant sur le caractère anti-chrétien de leur enlèvement. Dans un entretien à l’AED il a ajouté que les chrétiens d’Irak, et particulièrement ceux de Mossoul, «sont prisonniers d’une lutte pour le pouvoir sans merci entre différentes factions d’extrémistes. Nous ne sommes ni des marionnettes qu’on manipule à l’envie, ni du bois de chauffage dont on se débarrasse en le jetant au feu» a-t-il poursuivit. Mgr Basilios Georges Casmoussa, évêque syrien catholique de Mossoul –lui-même enlevé le 17 janvier 2005- a pour sa part dénoncé la politique de la communauté internationale «qui sacrifie [les chrétiens d’Irak] sur l’autel de ses intérêts politiques et économiques».La ville de Mossoul est le dramatique théâtre de violences anti-chrétiennes. De nombreuses églises y ont été attaquées et profanées. En octobre 2006, un prêtre de l’Eglise orthodoxe syriaque a été décapité. Le 3 juin 2007, le Père Ragheed Ganni, et trois diacres, y ont été assassinés. Les chrétiens n’ont aujourd’hui pas d’autre solution pour échapper à la mort que de fuir en Jordanie ou en Syrie.

Mosul: In attesa di notizie a poche ore dall'ultimatum

Fonte: MISNA

“Siamo in attesa di notizie, per il momento non ci sono novità sulla sorte dei nostri due fratelli, che si trovano ancora nelle mani dei loro sequestratori”.
A poche ore dallo scadere dell’ultimatum, monsignor Basile Georges Casmoussa, Arcivescovo siro-cattolico di Mosul, conferma alla MISNA l’assenza di sviluppi significativi nella vicenda di padre Pius Afas e padre Mazen Ishoa, i due sacerdoti sequestrati a Mosul, il 13 ottobre scorso. A proposito delle dichiarazioni rilasciate ad un sito di informazione iracheno, sull' ‘indifferenza’ dimostrata dal governo di Baghdad per la sorte dei cristiani in Iraq, Casmoussa, che in questi giorni ha portato avanti i negoziati con i rapitori, ha precisato che “non si trattava di una critica al governo, era una constatazione su uno stato di fatto: le autorità hanno un potere molto limitato sul territorio, e non possono garantire la protezione dei cittadini, cristiani o musulmani che siano”. L’ultimatum dei rapitori, secondo le informazioni ricevute dall’arcivescovo nelle ultime telefonate con i rapitori, scade domani mattina.

Mosul: A few hours missing to the expire of the ultimatum

Source: MISNA

“We are still waiting for some news but by now nothing is known about the fate of our two brothers who are still in the hands of their kidnappers.” A few hours are missing to the expire of the ultimatum, and the syriac catholic bishop of Mosul, Mgr. Basel George Casmoussa, confirms to MISNA the absence of any progress in the kidnapping of Fr. Pius Afas and Fr. Mazen Ishoa.
In regard of the declarations made to an Iraqi news website about the “indifference” showed by the government of Baghdad about the fate of the Christians in Iraq, Mgr. Casmoussa, who is is heading the negotiations with the kidnappers, has clarified that it “was not a criticism of the government but a remark of the reality: authorities have a very limited power of control of the territory and cannot guarantee citizens’ protection, whether Christians or Muslims.” According to the information given by the kidnappers to the Archbishop the ultimatum will expire tomorrow morning.”


Translated and adapted by Baghdadhope

Mosul: silenzio dei rapitori. Arcivescovo incontra i familiari dei rapiti

Fonte: MISNA

Scade domani il termine fissato dai rapitori per il pagamento del riscatto, "ma sia ieri che stamattina non abbiamo ricevuto alcuna telefonata da parte loro”: lo ha detto alla MISNA monsignor Basile Georges Casmoussa, l’Arcivesvoco siro-cattolico di Mosul che sta conducendo le trattative con gli autori del sequestro di padre Pius Afas e padre Mazen Ishoa. Casmoussa ha anche incontrato uno dei familiari dei rapiti: “Padre Pius non ha nessuno, ho visto perٍò il fratello di padre Mazen dicendogli di restare fiducioso e di continuare a pregare”.

Mosul: no news from the kidnappers. Archbishop of Mosul meets the relatives of one of the kidnapped priests

Source: MISNA

Mgr. Basel George Casmoussa, the syriac catholic Archbishop of Mosul who is heading the negotiations with the kidnappers of Fr. PiusAfas and Fr. Mazen Ishoa, declared to MISNA that with the ultimatum for the delivery of the ransom established by the captors by tomorrow “we had no call call from them neither yesterday nor today.” Mgr. Casmoussa met the realatives of one of the two priests: “Fr. Pius has no relatives but I met Fr. Mazen’s brother and told him to be confident and to pray.”

Translated and adapted by Baghdadhope

18 ottobre 2007

Preti rapiti a Mosul, vescovo denuncia l’indifferenza del governo


Sul sito in arabo Ankawa.com mons. Casmoussa dice che dal rapimento dei due sacerdoti nessun politico è intervenuto in alcun modo. L’appello alla preghiera e alla pace.

Ė una critica diretta al governo centrale e alle autorità politiche locali “indifferenti” alla sorte dei cristiani in Iraq, quella che oggi lancia l’arcivescovo siro-cattolico di Mosul, mons. Basile George Casmoussa, dalle pagine del sito internet in arabo Ankawa.com. Dal 13 ottobre mons. Casmoussa è impegnato in una difficile trattativa per il rilascio di due suoi sacerdoti rapiti da un gruppo non identificato sabato scorso. “Nessun politico ci ha chiamati – dice il vescovo – nemmeno per esprimerci solidarietà, non vi è stato nessun tipo di intervento”, eppure conoscono tutti la scadenza fissata dai rapitori e l’ingente somma richiesta per il riscatto.
Mons. Casmoussa si rivolge poi alla comunità cristiana e chiede di “continuare a pregare perché abbiamo bisogno di pace”; ricorda infine che i “cristiani d’Iraq sono fedeli al loro Paese e rispettano tutti gruppi” che lo popolano.
Le parole di Casmoussa sono sentite dai fedeli come un seno della preoccupazione con la quale il presule sta seguendo gli sviluppi della vicenda. Finora nessuna novità sulla sorte di p. Mazen Ishoa, 35 anni, e p. Pius Afas, 60 anni. Per il pagamento del loro riscatto (1 milione di dollari) i rapitori – ha reso noto l’arcivescovo siro-cattolico – hanno fissato una scadenza al prossimo 20
ottobre.

Abducted priests in Mosul, bishop slams government indifference

Sources: Ankawa.com abcd Asia News

Mgr Casmoussa
expresses his views on Ankawa.com, an Arabic-language website. Since the two clergymen went missing, no politician has lifted a finger for them. The prelate appeals for prayer and peace.

Mgr Basile George Casmoussa, the Syro-Catholic archbishop of Mosul, has criticised head on both the central government and local authorities, guilty in his view of ‘indifference’ towards the fate of Christians in Iraq. He did so on Ankawa.com, an Arabic-language website.
The prelate has been involved in the difficult negotiations for the release of the two clergymen who were kidnapped last Saturday by an unknown group.
“Not one single politician has called us just to express their solidarity. Not one step of any kind has been taken,” he said, this despite the fact that everyone knows the deadline set by the kidnappers and the huge ransom they demanded.
In addressing the Christian community, Mgr Casmoussa calls on its members “to continue praying, because we need peace,” reminding everyone that “Iraqi Christians are loyal to their country and respectful of every group” who calls it home.
For many faithful, the archbishop’s words are a sign of the concern with which he is following the affair. But so far nothing new is known of the fate of Fr Mazen Ishoa, 35, and Fr Pius Afas, 60.
The kidnappers have demanded that a ransom of a million dollars be paid by October 20, Mgr Casmoussa said.

A Beirut l’incontro annuale dei patriarchi delle chiese orientali.

Fonte: Ankawa.com

Il tema dell’incontro di quest’anno è: “La presenza cristiana in Oriente con particolare riferimento alla situazione in Iraq ed alle pressioni che mirano alla loro emigrazione dall’Iraq e dall’intero Medio Oriente.”


In Beirut the annual meeting of the Patriarchs of the Oriental Churches.
The main topic of the meeting is: “Christian presence in the East with particular reference to the situation in Iraq and to the pressures aiming at Christian emigration from Iraq and the Middle East.”

Mosul: attesa dopo la proroga concessa dai rapitori

Fonte: MISNA

“Sono lunghe ore di attesa qui a Mosul, aspettiamo una telefonata dei rapitori”:
monsignor Basile Georges Casmoussa mantiene intatta la speranza e alla MISNA dice di restare in fiduciosa attesa di notizie su padre Pius Afas e padre Mazen Ishoa, sequestrati sabato scorso a Mosul. Ieri sera lo stesso presule aveva informato della proroga di 72 ore concessa dai rapitori per il pagamento del riscatto: “abbiamo ricevuto una proroga di 72 ore per la consegna del riscatto, ma i rapitori rimangono fermi sulle loro posizioni”e rassicurato sulle condizioni dei sacerdoti. “La nuova scadenza – aveva detto alla MISNA monsignor Casmoussa – è sabato, ho potuto sentire brevemente la voce dei due padri, poi qualcuno ha interrotto la conversazione”. “Preghiamo e ci facciamo forza l’un l’altro – dice riferendosi ai suoi confratelli – e preghiamo perché il Signore ci sostenga e sostenga padre Pius Afas e padre Mazen Ishoa, in questo momento così difficile”.