Sono passati due anni da quando la MISNA raccolse, per la giornata missionaria del 2005, questa testimonianza da Baghdad, ma, purtroppo, le parole di padre Manuel Hernandez restano ancora di grande attualità
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“Aspetta che ti faccio sentire come cantano i passeri che ogni giorno vengono a rifugiarsi nei 25 metri quadri di giardino che abbiamo nella nostra casa”: padre Manuel Hernandez, missionario spagnolo dei Carmelitani scalzi, apre la finestra della sua camera nella casa conventuale dell’ordine a ridosso della 'zona verde', la più militarizzata al centro di Baghdad, ma invece del cinguettio dei passeri attraverso la cornetta arriva fino a Roma solo il suono inconfondibile degli spari di un’arma automatica. Brevi raffiche separate da neanche due secondi di silenzio. In quei brevi istanti di pace, riesco effettivamente a sentire un debole cinguettio. “Hai sentito?” mi chiede Manuel dall’altra parte. Sono confuso, gli chiedo di confermarmi quello che le mie orecchie non possono vedere...Lui si mette a ridere. “Anche i passeri non ne possono più – continua padre Hernandez – ormai da alcuni giorni c’è un nutrito gruppo di volatili che ha preso l’abitudine di venirsi a rifugiare sugli alberi del nostro piccolo giardino. Nei giorni scorsi ho assistito a scene incredibili, hanno combattuto a poca distanza da casa nostra e mi sembrava di essere finito dentro un film di guerra americano. Sembrava una delle puntate di Rambo. A differenza tua mi sono abituato al suono delle armi e come accade per chi abita vicino a una ferrovia ormai non le sento quasi più, mentre mi godo la voce di queste piccole creature che mi vengono a trovare”.
Il suono delle raffiche continua a distrarmi, padre Manuel se ne accorge e chiude la finestra. “Ci sei adesso?” mi dice sempre ridendo. Non riesco a non chiedergli chi glielo faccia fare di stare li, se non ha mai pensato di andarsene e qual è il senso della sua missione in quell’inferno in terra che ormai sembra diventata Baghdad. “Mai come in questo periodo mi ritengo ‘pieno di grazia’– dice lui, mentre intuisco che sta teneramente sorridendo della mia ingenua curiosità laica – perché sto soffrendo con questa gente, sto condividendo il loro dolore e la loro tristezza, la loro gioia e le loro speranze, insomma in poche parole sto dividendo la loro stessa esistenza cercando di trasmettere tutto l’amore che ho a disposizione”.
“Gocce d’acqua in mezzo al deserto”, questa è l’immagine con cui Manuel sintetizza il ruolo di un missionario secondo la sua filosofia di vita. “Cerchiamo di essere un esempio, di insegnare, ma soprattutto di imparare da chi ci circonda - conoscendo ormai da tempo questo missionario spagnolo posso assicurare a tutti che le sue parole non sono retorica - come la Chiesa, la gerarchia intendo, dovrebbe imparare da noi missionari. Troppo spesso, invece, continua a parlare con un linguaggio extraterrestre che la gente non comprende. Io non condivido i toni politici e diplomatici con cui la gerarchia si esprime e sono convinto che non li condividerebbe neanche Gesù che per aver parlato chiaramente venne messo su una croce” prosegue il missionario. “Ad esempio – continua padre Manuel – in questi giorni si è aperto il processo contro Saddam Hussein per crimini di guerra e contro l’umanità. Giustissimo che venga processato. Ma perché nessuno si adopera per mettere alla sbarra anche i capi di quei paesi che ogni anno distruggono tonnellate di cibo per evitare che i prezzi di alcuni prodotti agricoli si abbassino troppo sui mercati internazionali, mentre milioni di persone muoiono ogni anno per fame? Che cos’è questo se non un crimine contro l’umanità?"
Non rispondo, non riesco mai a rispondere alle domande di Manuel. “In materia di condivisione – aggiunge, tornando sul tema di questa giornata missionaria – dovremo imparare proprio dalle vittime dei nostri comportamenti, da quei paesi del Medio Oriente e dell’Africa che stanno alla periferia di questa epoca e dove i valori umani, quelli veri, sono più forti di quanto pensiamo. In questo mondo di ingiustizia vengono negati i diritti fondamentali, come quello di vivere e di mangiare, a milioni di persone e poi ci confortiamo l’anima dando un po’ di elemosina quando si producono disastri e dimostrando tutta la nostra misericordia. Non è certo questa la strada. Finchè non ci si sveglierà al mattino rendendosi conto che siamo tutti dalla stessa parte, quella dell’umanità, non ci aiuteremo a vicenda”.
Appena rientrato dal suo paese d’origine, con ancora negli occhi le immagini delle ondate di aspiranti immigrati abbattersi sulle recinzioni delle enclavi di Ceuta e Melilla, il missionario continua: “Guarda all’immigrazione. Dopo aver rubato per secoli a questa gente le loro materie prime impedendo intanto che potessero sviluppare una propria industria, ora ci stupiamo e ci interroghiamo sul perché si gettano sui fili spinati. Le nostre società sono schiaviste. Cos’è, se non una nuova forma di schiavitù, costringere milioni di uomini e donne giovani, nel fiore degli anni, ad abbandonare la propria terra, i propri cari per lanciarsi contro un filo spinato nel tentativo di raggiungere una condizione migliore di quella a cui i nostri paesi democratici li hanno relegati?”. Anche a questa domanda non riesco a rispondere.
“C’è un passerotto sul balcone” si interrompe improvvisamente Manuel. “Ti saluto e vado a recuperare un po’ di pane e glielo sbriciolo, prima che qui fuori ricomincino a girare Rambo” mi dice, prima di riagganciare la cornetta.