By Baghdadhope
Un anno fa, il 12 ottobre 2006, la cerimonia funebre per Padre Pual Iskandar, ucciso a Mosul
Nell’ottobre del 2006 gli iracheni cristiani sapevano già di essere vittime predestinate della violenza che insanguinava il paese. La violenza interislamica che molte volte li aveva colpiti, vittime innocenti, quella legata alle bande criminali che in essi avevano visto le facili prede senza difesa da derubare, rapire, scacciare dalle proprie case, privare delle proprie attività, e quella mirata, la peggiore. Perché è già difficile essere vittima, ma esserlo perché minoranza cristiana, “infedele” ed “alleata del nemico” è peggio: uccide la speranza, diffonde il terrore.
Così c’erano state le chiese distrutte ed i sacerdoti rapiti, azioni difficilmente riconducibili allo stato di caos generale ma che nella loro efferatezza avevano un valore simbolico preciso: i cristiani, e la Chiesa, non erano graditi in Iraq.
In quell’ottobre il limite del “peggio” sembrava essere già stato superato. Ma non era così. Il 9 del mese, a Mosul, un sacerdote sparì. Padre Paul Iskandar, della chiesa siro ortodossa, non fece ritorno a casa quel giorno. Un altro rapimento si disse. Un’ipotesi che sembrava avvalorata dall’immediata richiesta di riscatto pervenuta alla chiesa, accompagnata quella volta però da una richiesta parallela: che la chiesa siro ortodossa condannasse esplicitamente il discorso che Papa Benedetto XVI aveva fatto il 12 settembre precedente a Ratisbona ed interpretato da molti come un attacco all’Islam.
Sebbene il riscatto richiesto fosse alto la chiesa iniziò a raccogliere il denaro. Per quanto riguardava, invece, la condanna delle parole del Papa essa si era già espressa dissociandosi da esse con l’affissione di cartelli sulle porte dei propri edifici di culto.
Tutto questo però non bastò. L’11 ottobre, dopo due soli giorni dal rapimento, e senza aver neanche dato il tempo di raccogliere l’esorbitante cifra richiesta il corpo di Padre paul Iskandar fu ritrovato a Mosul. Era stato un barbaro omicidio. Il cadavere era decapitato e gli arti erano stati spiccati dal corpo. Una violenza inutile e bestiale che aveva colpito un innocente, un altro martire dell’inferno iracheno.
In quell’ottobre il limite del “peggio” sembrava essere già stato superato. Ma non era così. Il 9 del mese, a Mosul, un sacerdote sparì. Padre Paul Iskandar, della chiesa siro ortodossa, non fece ritorno a casa quel giorno. Un altro rapimento si disse. Un’ipotesi che sembrava avvalorata dall’immediata richiesta di riscatto pervenuta alla chiesa, accompagnata quella volta però da una richiesta parallela: che la chiesa siro ortodossa condannasse esplicitamente il discorso che Papa Benedetto XVI aveva fatto il 12 settembre precedente a Ratisbona ed interpretato da molti come un attacco all’Islam.
Sebbene il riscatto richiesto fosse alto la chiesa iniziò a raccogliere il denaro. Per quanto riguardava, invece, la condanna delle parole del Papa essa si era già espressa dissociandosi da esse con l’affissione di cartelli sulle porte dei propri edifici di culto.
Tutto questo però non bastò. L’11 ottobre, dopo due soli giorni dal rapimento, e senza aver neanche dato il tempo di raccogliere l’esorbitante cifra richiesta il corpo di Padre paul Iskandar fu ritrovato a Mosul. Era stato un barbaro omicidio. Il cadavere era decapitato e gli arti erano stati spiccati dal corpo. Una violenza inutile e bestiale che aveva colpito un innocente, un altro martire dell’inferno iracheno.