By Luigia Storti
“Dopo 2000 anni la mia chiesa sta ancora lottando, anche se non con le armi, è ancora perseguitata, ancora una chiesa di martiri, ma ancora esiste. La sua stessa sopravvivenza è la sua missione.”
I fedeli della chiesa di San Vincenzo Ferreri a Moncalieri (TO) hanno appena finito di ascoltare queste parole che hanno concluso l’omelia che oggi, giornata mondiale missionaria, è stata dedicata appunto alla chiesa missionaria di Cristo nel mondo. A pronunciarle è stato, non con senza emozione, un giovane sacerdote iracheno, Padre D. Dawood, da poco tempo collaboratore della chiesa.
La lunga storia della sua chiesa, iniziata nel primo secolo dopo Cristo, e la narrazione delle varie persecuzioni che l’hanno colpita, hanno commosso l’uditorio che ha ben capito il messaggio del sacerdote: una chiesa è missionaria non solo quando diffonde la Parola di Dio, ma anche quando la conferma con la sua stessa sofferenza, con il suo stesso resistere, con il sacrificio dei milioni di cristiani che in quelle terre d’oriente hanno dato la vita pur di non tradirla.
Il silenzio in chiesa è carico di cristiana partecipazione, ed è rotto dalla preghiera che i due celebranti, Don Giuseppe Orsello e Padre Dawood elevano a Dio a protezione di quella e di tutte le chiese perseguitate ed in difficoltà nel mondo.
Ed è proprio alla fine di quella preghiera, “un segno” commenterà poi Padre Orsello, che una certa agitazione si trasmette nella chiesa. Uno degli accompagnatori del sacerdote iracheno ha appena ricevuto un messaggio: “Padre Pius e Padre Mazen sono stati liberati.” La voce si diffonde ma nessuno sa come fare a dare la notizia. Spinto da chi gli è vicino l’accompagnatore si fa coraggio e si avvicina all’altare chiedendo a gesti di poter parlare. “Mi scuso per l’interruzione, ma ho appena ricevuto un messaggio dall’Iraq: i due sacerdoti rapiti sono liberi ed ho pensato che tutti voi voleste saperlo!” dice.
La prima reazione è di stupore. Non succede spesso che i fedeli di una chiesa siano partecipi in prima persona della notizia della liberazione di due sacerdoti rapiti. Chi ha dato l’annuncio si gira verso l’altare e conferma in inglese ciò che Padre Orsello sta riferendo in italiano a Padre Dawood:
“They have been released, they are free”
“E’ sicuro?” “Si”
Sono quasi indescrivibili le emozioni che in quel momento passano negli occhi del sacerdote, lui stesso vittima di un rapimento in Iraq. Felicità, stupore, commozione, addirittura incredulità. I suoi stessi gesti le dimostrano. Le mani alla testa, le labbra che pronunciano più volte: “Mio Dio! Mio Dio!” l’abbraccio con Padre Orsello che ripete il felice annuncio ai fedeli che finalmente sciolgono la tensione in un lungo applauso liberatorio. La commozione è palpabile. Una donna si alza dalle prime file e porta al commosso Padre Dawood un fazzoletto di carta, la chiesa è illuminata dai sorrisi di tutti.
La Santa Messa continua e finisce in un clima di felicità, anche il coro canta più forte oggi.
“Ci sono particolari della liberazione?” chiedo a Padre Dawood che, appena finita la Messa ha chiamato l’Iraq per la conferma della notizia, “stanno bene?”
“Non lo so, ma non mi importa” risponde, “se anche gli hanno tagliato una mano la cosa importante è che siano liberi, e vivi.”
Ecco, in questa piccola storia che per un caso viene da una chiesa della provincia italiana c’è tutta la lunghissima storia della chiesa irachena, perseguitata, mutilata, ma ancora viva, proprio come Padre Pius Affas e Padre Mazen Isho’a, liberati oggi a Mosul dopo 9 giorni di prigionia, e come lo stesso Padre Dawood che qui l’ha testimoniata con il suo essere vivo.
Ed oggi, felice.”
“E’ sicuro?” “Si”
Sono quasi indescrivibili le emozioni che in quel momento passano negli occhi del sacerdote, lui stesso vittima di un rapimento in Iraq. Felicità, stupore, commozione, addirittura incredulità. I suoi stessi gesti le dimostrano. Le mani alla testa, le labbra che pronunciano più volte: “Mio Dio! Mio Dio!” l’abbraccio con Padre Orsello che ripete il felice annuncio ai fedeli che finalmente sciolgono la tensione in un lungo applauso liberatorio. La commozione è palpabile. Una donna si alza dalle prime file e porta al commosso Padre Dawood un fazzoletto di carta, la chiesa è illuminata dai sorrisi di tutti.
La Santa Messa continua e finisce in un clima di felicità, anche il coro canta più forte oggi.
“Ci sono particolari della liberazione?” chiedo a Padre Dawood che, appena finita la Messa ha chiamato l’Iraq per la conferma della notizia, “stanno bene?”
“Non lo so, ma non mi importa” risponde, “se anche gli hanno tagliato una mano la cosa importante è che siano liberi, e vivi.”
Ecco, in questa piccola storia che per un caso viene da una chiesa della provincia italiana c’è tutta la lunghissima storia della chiesa irachena, perseguitata, mutilata, ma ancora viva, proprio come Padre Pius Affas e Padre Mazen Isho’a, liberati oggi a Mosul dopo 9 giorni di prigionia, e come lo stesso Padre Dawood che qui l’ha testimoniata con il suo essere vivo.
Ed oggi, felice.”