"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

22 novembre 2017

Il Patriarca caldeo: ci offende chi dice che non c'è futuro per i cristiani in Medio Oriente

Gianni Valente

I militanti di certe organizzazioni occidentali impegnate a tempo pieno nel lanciare campagne in difesa dei cristiani in Medio Oriente finiscono a volte per creare frustrazione e amarezza proprio tra coloro che pretendono di aiutare. Parola di Louis Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei caldei. Nei giorni scorsi, il primate della Chiesa caldea ha voluto pubblicamente prendere le distanze dagli slogan a effetto di chi presenta gli aiuti provenienti dall'Occidente come l'unica chance per assicurare ai battezzati mediorientali un futuro in quella regione, martoriata da conflitti e settarismi.

Patriarca Louis Raphael, cosa non va bene negli slogan di certe campagne “in difesa” dei cristiani?
«In Occidente certi gruppi di “soccorso” ai cristiani d'Oriente non hanno remore a dire che senza le mobilitazioni politiche e economiche, senza il loro sostegno e le loro raccolte fondi, le comunità cristiane mediorientali non potrebbero sopravvivere. Il loro modo di ragionare appare confuso. Qualche giorno fa, un rappresentante di un ufficio ha affermato che senza il loro lavoro con c'è futuro per i cristiani nella regione mediorientale». 
Forse era un modo per drammatizzare le cose e raccogliere più donazioni...
«In ogni caso, i cristiani iracheni non vogliono identificarsi con certi argomenti usati dalle sigle occidentali che pubblicizzano di continuo la propria mobilitazione a sostegno delle comunità cristiane in Medio Oriente. Spesso quei gruppi dicono cose inesatte o dimenticano di raccontare con oggettività quello che è accaduto e accade nella nostra regione. E poi quello che ci capita non è tutto negativo. Qualche giorno fa siamo stati rallegrati quando abbiamo visto che alcuni giovani musulmani stavano restaurando una chiesa distrutta durante l'occupazione dello Stato Islamico a Telkaif, nella Piana di Ninive».
Quali sono gli argomenti fuorvianti utilizzati nelle campagne “in difesa” dei cristiani mediorientali?
«Negli ultimi anni in Medio Oriente i cristiani hanno sofferto ingiustizie, violenze e terrorismo. Ma questo è accaduto anche agli altri loro fratelli iracheni musulmani, e a quelli di altre fedi religiose. Non bisogna separare i cristiani dagli altri, perché in quel modo si alimenta la mentalità settaria. Inoltre, i cristiani d'Oriente hanno ben presente che l'Occidente non è certo innocente rispetto a quello che è accaduto nella regione mediorientale, e che ha provocato anche a loro tante sofferenze. La situazione conflittuale in cui si trova l'Occidente è anche un effetto delle geopolitiche occidentali in Medio Oriente degli ultimi decenni».
Comunque sia, l'importante è che gli aiuti arrivino e siano usati per fare del bene. O no?
«Io credo che non si può avere la raccolta di fondi come unico orizzonte e metro per misurare la riuscita e la validità del proprio attivismo. Gli aiuti anche economici sono benvenuti quando sono dati con spirito di fraternità e di solidarietà, per aiutare la vita delle comunità cristiane nella parte del mondo dove il cristianesimo ha avuto inizio».
Ma tanti cristiani danno denaro per queste opere come gesto di vicinanza ai fratelli. Lo hanno sempre fatto…
«Certo, chi dona il proprio denaro per persone che nemmeno conosce fa un'opera buona, vogliono solo aiutare, e lo fanno davvero. Ma a volte certi organismi danno l'impressione che la Chiesa sembra diventata una “Chiesa del fundraising”, tutta concentrata sulla raccolta di risorse! Con strategie organizzate dove al centro di tutto c'è la ricerca di nuove tecniche più efficaci per raccogliere denaro. E poi non bisogna dimenticare che, nonostante la nostra situazione, la nostra gente ha aiutato i cristiani di altre parti del mondo e le vittime di terremoti, tsunami e catastrofi naturali, come è avvenuto con Cuba e altri Paesi».
Non servono anche i soldi per ricostruire le case e aiutare i profughi a tornare e rimanere in Iraq?
«I cristiani del Medio Oriente rimangono nella loro terra solo se questa scelta avviene alla luce della loro fede. Questo è il fattore decisivo che può muovere coloro che vogliono rimanere, e per questo cercano anche di collaborare alla riconciliazione, al consolidamento della pace, alla stabilità e alla ricostruzione delle città e dei villaggi. Certo, chi vuole andarsene dovrà poterlo fare. Ma chi ha deciso di rimanere va sostenuto e incoraggiato. E certo non lo aiuta sentir ripetere che “non c'è futuro” per i cristiani in Medio Oriente».