By Asia News
Personalità politiche e organizzazioni locali per i diritti umani
criticano con forza alcuni emendamenti alla legge sullo stato civile,
che rischia di sottomettere il Paese alla sharia. Si tratta degli
emendamenti alla legge del 1959 approvata dopo la rivoluzione del 14
luglio 1958, all’epoca del governo di Abdel Karim Kassem e considerata
all’epoca una delle leggi più all’avanguardia in materia di diritti
della donna e dell’infanzia.
La bozza degli emendamenti è stata approvata “in via di principio”
una settimana fa dal Parlamento iracheno, mentre l’opinione pubblica era
distratta dalla crisi con il Kurdistan. Secondo alcune personalità,
l’Iraq sembra essersi liberato da Daesh, ma la mentalità islamista si
diffonde nella legislazione violando i diritti delle donne,
dell’infanzia e dei non musulmani (cristiani e sabei in particolare).
Al momento del voto, quindici deputati contrari hanno invano
abbandonato l’aula per impedire il raggiungimento del numero legale dei
presenti.
La legge del 1959 ha funzionato bene o male per decenni. Nel 2003,
per la prima volta, essa è stata messa in discussione dal “Consiglio di
Governo” istituito dal liberatore/occupante americano col decreto n. 137
approvato il 29 dicembre 2003. Quel giorno, il Consiglio presieduto da
Abdelaziz Al Hakim ha emanato il decreto 137 che nel prima comma sanciva
“la necessità di applicare la sharia islamica per quanto riguarda il
matrimonio, la dote, i contratti matrimoniali, le eredità, i divorzi,
l’affidamento dei figli...”. Il secondo comma sanciva “l’annullamento di
ogni legge contraria ai contenuti del primo comma”. Allora il decreto
suscitò così tante critiche in Iraq e all’estero che alla fine Paul
Bremer dovette annullarlo. Dopo 14 anni gli islamisti iracheni (sunniti e
sciiti) tentano ancora di farla passarla.
A prima vista sembra un testo innocente e liberale, ma nel primo
emendamento e nell’ultimo si trovano gli stessi commi 1 e 2 del decreto
del 2003. In esso si afferma: “E’ permesso ai soggetti sottoposti a
questi giudizi fare richiesta al Tribunale di stato civile competente
per far applicare i dettami della sharia inerente allo stato civile
secondo la confessione di appartenenza” mentre l’ultimo articolo il n.
9 (il n. 10 riguarda solo l’entrata in vigore della legge) riporta che
“ Non è applicabile alcuna altra legge in contraddizione con la
presente”.
E questo, nonostante l’articolo 41 della Costituzione irachena reciti
che “gli iracheni sono liberi di attenersi allo stato civile secondo le
loro religioni o confessioni o credo o scelta e questo regolato con una
legge”.
In pratica vi è il tentativo di far passare le questioni sullo stato
civile agli Awkaf - come era all’epoca dell’impero ottomano, rendendo i
non musulmani cittadini di serie B - oppure ai tribunali religiosi in
un Paese dove il secondo articolo della Costituzione predica che
“
L’Islam è la religione ufficiale dello Stato e fondamentale fonte di
legislazione”.
Rizan Sheikh Dler, deputata irachena e membro della
commissione “Donna, famiglia e infanzia” afferma: “Si tratta di un
disastro per le donne”. E aggiunge: “Applicare questa legge ricorda i
comportamenti di Daesh con le ragazze, quando ha costretto le minorenni
a sposarsi con i suoi militanti mentre si trovavano a Mosul ed in
Siria”.
Il testo di legge non lo dice, ma ispirandosi alla sharia, diventa
legale fissare l’età minima per il matrimonio delle ragazze a 12 anni
(identico per le confessioni Jaafarista sciita e per i salafisti
sunniti). Alcuni difensori della legge dicono che “i matrimoni con
minori avvengono spesso nella vita quotidiana ma non vengono registrati
ufficialmente che al raggiungimento dell’età legale”. Altri sottolineano
che non si può “vietare il matrimonio con una minore in una società di
credenti”.
Un’altra preoccupazione legata all’introduzione del diritto islamico
emerge da quanto afferma la deputata Farah El Siraj di Mosul,
secondo la quale con la nuova legge “si porta il Paese indietro di 100
anni”, all’epoca dell’Impero Ottomano. “La nuova legge - dice El Siraj -
obbliga la donna divorziata a mantenere la custodia del figlio maschio
[solo] fino all’età di due anni” e “alle ragazze è permesso sposarsi
all’età di 12 anni” . Per lei, insistere sull’applicazione di questa
legge “ è contrario alla legge internazionale ed ai diritti umani... ed è
fatta per accontentare i fanatici religiosi e guadagnare i loro
voti”. Per El Siraj questa legge è simile negli effetti “alla legge
applicata da Daesh nelle zone recentemente liberate”.
L’attivista democratica Majida Al Jburi vede in essa non solo una
violazione dei diritti delle donne e minori, ma anche e soprattutto una
discriminazione nei confronti dei non musulmani uomini e donne, quali
“il divieto per un non musulmano di ereditare da un musulmano;
permettere ai musulmani di ereditare dai non musulmani; i figli
considerati musulmani per legge, se hanno un solo genitore musulmano; il
divieto ad un non musulmano di avere la custodia del figlio musulmano;
il divieto alle musulmane di sposarsi con non musulmani”. Per quanto
riguarda la testimonianza, “il rigetto della testimonianza dei non
musulmani” e la “non validità di testimonianze fatte da non musulmani in
confronto con tesimonianze fatte da un musulmano”, mentre alle donne
musulmane “ è del tutto vietato testimoniare eccetto in rari casi”.
Il deputato cristiano iracheno Josef Salyoa ha chiesto al Parlamento
di ascoltare la “voce del popolo della strada” e ha condannato il blitz
compiuto dal Parlamento per far approvare gli emendamenti nonostante la
mancanza di numero legale.
Il pensatore iracheno Abdel Khalek Hussein ritiene la nuova legge “un
crimine contro i diritti dell’infanzia” e ha fatto appello a tutte le
forze democratiche e laiche del Paese perché uniti firmino una petizione
e facciano appello alla Corte Suprema Federale irachena per chiedere
l’annullamento della nuova legge perché inconstituzionale.