By Asia News
30 ottobre 2017
Louis Raphael I Sako*
Il referendum per l’indipendenza del Kurdistan irakeno ha innescato una nuova ondata di violenze che investono le “cittadine cristiane della piana di Ninive”. Il risultato è che “molti abitanti” sono “fuggiti”, creando una “rinnovata atmosfera di ansia e paura”, che finirà per “dare luogo a nuove divisioni e impedirà la ricostruzione e il ritorno delle persone nelle loro case”.È quanto sottolinea il primate caldeo mar Louis Raphael Sako, in un appello pubblicato sul sito del patriarcato e inviato ad AsiaNews. Nella lettera il leader della Chiesa irakena non nasconde il pericolo che quest’ulteriore conflitto, in una terra già segnata da sofferenze, possa dare “luogo a ulteriori migrazioni all’estero” dei cristiani.
30 ottobre 2017
Louis Raphael I Sako*
Il referendum per l’indipendenza del Kurdistan irakeno ha innescato una nuova ondata di violenze che investono le “cittadine cristiane della piana di Ninive”. Il risultato è che “molti abitanti” sono “fuggiti”, creando una “rinnovata atmosfera di ansia e paura”, che finirà per “dare luogo a nuove divisioni e impedirà la ricostruzione e il ritorno delle persone nelle loro case”.È quanto sottolinea il primate caldeo mar Louis Raphael Sako, in un appello pubblicato sul sito del patriarcato e inviato ad AsiaNews. Nella lettera il leader della Chiesa irakena non nasconde il pericolo che quest’ulteriore conflitto, in una terra già segnata da sofferenze, possa dare “luogo a ulteriori migrazioni all’estero” dei cristiani.
In una situazione di crescente tensione, il 71enne leader curdo
Massoud Barzani ha annunciato al Parlamento le dimissioni dalla carica
di presidente del Kurdistan, a pochi giorni dalla scadenza del mandato,
prevista per il Primo novembre. Egli non intende ricandidarsi alla
leadership della regione e lancia un durissimo atto di accusa agli Stati
Uniti e a una parte della componente curda. A Washington, egli
rimprovera di aver già scordato il sostegno fondamentale dei Peshmerga
nella lotta contro lo Stato islamico a Mosul e in altre zone dell’Iraq.
Egli è il principale promotore e artefice del referendum pro
indipendenza, in risposta al quale le truppe regolari irakene hanno
lanciato una offensiva nei territori - fra cui Kirkuk
- da tempo controllati dai curdi. In un intervento rilanciato dalla tv
curda, egli ha affermato di voler continuare a “essere un Peshmerga
nelle fila del popolo curdo, che difenderà sempre le vittorie ottenute
dai curdi”. Barzani ha inoltre accusato il governo di Baghdad di aver
violato la tregua e la Costituzione occupando Kirkuk con la forza. E non
ha risparmiato attacchi - pur senza riferimenti espliciti - ai rivali
dell’Upk (Unione Patriottica del Kurdistan) per il “tradimento” che ha
portato alla perdita di Kirkuk (e dei suoi pozzi petroliferi, risorsa
essenziale per le casse di Erbil).
In un quadro di tensione e violenze, la Chiesa irakena ha voluto
intervenire di nuovo invitando le parti al dialogo “analizzando la
situazione e cercando di risolvere tutti i problemi in sospeso con un
rinnovato spirito di coraggio e piena responsabilità, guardando al bene
del Paese”. Ecco, di seguito, la lettera-appello del Patriarca caldeo
inviata ad AsiaNews.
I cristiani non sono una componente esterna all’Iraq, ma sono di
fatto una popolazione indigena del Paese. La loro storia, la loro
identità e le loro radici, affondano nel tempo andando indietro di
migliaia di anni. Oggi, nonostante il loro declino nei numeri a causa
delle violenze etniche e religiose, le minacce, i sequestri, le
uccisioni, gli espropri dei terreni e i bombardamenti delle loro chiese,
in particolare da parte dello Stato islamico (Si, ex Isis) a Mosul e
nella piana di Ninive, essi cercano di preservare il loro futuro con
dignità e piena uguaglianza con i loro concittadini irakeni.
È ovvio che i cristiani sfollati della piana di Ninive, che stanno
cercando di ritornare nelle loro cittadine di origine, si trovano oggi a
vivere una situazione di difficoltà.
Sette mesi fa, Mosul e la piana di Ninive sono state liberate dalla
morsa dello Stato islamico, l’Isis. Tuttavia, ancora oggi alcune
cittadine cristiane sono ancora svuotate dei loro abitanti originari a
causa dei gravissimi danni inflitti alle case e alle infrastrutture
presenti. Questo è dovuto in massima parte alla incapacità del governo
centrale di ricostruirle per la mancanza di fondi e perché non ha voluto
dare al ritorno dei cristiani la stessa importanza garantita ad altre
situazioni prioritarie. Ad oggi, quanti sono rientrati nelle loro case e
dove sono state riparate case e infrastrutture, tutto questo è avvenuto
grazie agli sforzi messi in campo dalla Chiesa, pur a fronte di risorse
modeste.
L’altro problema riguarda la giurisdizione della piana di Ninive, che
è stata unita, stabile e sicura fino al 2003; oggi, invece, si trova al
centro di una disputa fra il governo irakeno e le forze curde.
Da quando si è tenuto il referendum per l’indipendenza del Kurdistan
irakeno, nel settembre scorso, in cui è emersa con chiarezza la voglia
di secessione, si sono susseguiti numerosi scontri sul piano militare
fra l’esercito irakeno e le milizie di mobilitazione popolare (Al-Hashd)
da un lato, e i Peshmerga curdi dall’altro.
Questi scontri si sono succeduti ai confini delle cittadine cristiane
di Ninive, e più di recente a Baqofa e Teleskof. In questi ultimi
episodi sono rimasti feriti bambini innocenti, e le case delle famiglie
cristiane sono state usate come posizioni di difesa. Il risultato è che
molti abitanti di queste cittadine sono fuggiti ancora, creando una
rinnovata atmosfera di ansia e paura di un conflitto fra Baghdad ed
Erbil, che finirà per dare luogo a nuove divisioni e impedirà la
ricostruzione e il ritorno delle persone nelle loro case. Tutto questo
darà luogo a ulteriori migrazioni all’estero.
Al fine di preservare la diversità culturale e demografica dell’Iraq,
che ha contribuito a livello storico al rinascimento e alla vitalità
del Paese, lanciamo un appello al popolo irakeno, perché capisca quanto
sia importante la presenza cristiana in Iraq, la loro protezione, invece
che spingerli a emigrare. Questa sarebbe una perdita gravissima a
livello qualitativo per tutti, in Iraq.
Per raggiungere questi obiettivi di sicurezza e stabilità, chiediamo di:
1. Rimuovere la piana di Ninive dal teatro di battaglia, affinché
resti unita come è avvenuto fino al 2003; il governo centrale deve
riprendere il controllo della maggior parte delle sue cittadine, di modo
che gli abitanti possano ricostruire le loto vite insieme ai loro
vicini, senza ulteriori scontri.
2. Integrare le “Guardie della piana di Ninive” e altri gruppi
militanti all’interno della polizia federale, sotto la guida di una
forza di polizia nazionale unita in cui i membri locali della piana di
Ninive siano ricollocati all’interno del territorio, per garantire
direttamente la sicurezza della piana. Dato che si tratta di persone del
posto, gli abitanti nutriranno di sicuro maggiore fiducia in loro.
3. È necessario alimentare gli sforzi per mantenere la stabilità, la
sicurezza e costruire un rapporto di fiducia fra tutti i gruppi di
persone della piana di Ninive. Tutti noi dobbiamo sostenere lo
sradicamento di una cultura che respinge la diversità, dell’odio e della
negazione dell’altro. Dobbiamo cambiare questa mancanza di sostegno
alla ricostruzione e, al contrario, aprire la strada al ritorno degli
sfollati nelle loro case. In tutto questo, gli abitanti della piana di
Ninive dovrebbero avere pieno diritto di accesso ai servizi offerti
dallo Stato e assistenza nella riabilitazione dei loro villaggi, città,
chiese e scuole, così come avviene per gli abitanti delle altre
regioni.
Infine, ci rivolgiamo ai partiti politici e alle organizzazioni
cristiane, perché adempiano alla loro missione secondo un principio di
unità, cercando di ridimensionare le differenze, al fine di raggiungere
un obiettivo comune e aprire una nuova pagina in queste circostanze così
difficili. E seguire l’esempio del patriarcato caldeo, che ha aperto il
suo cuore a tutti, per il bene comune.
In questa occasione, rinnoviamo con fervore il nostro appello al
governo irakeno e alle autorità della Regione autonoma del Kurdistan
(Krg), perché siedano al tavolo del dialogo analizzando la situazione e
cercando di risolvere tutti i problemi in sospeso con un rinnovato
spirito di coraggio e piena responsabilità, guardando al bene del Paese.
Per far questo, entrambe le parti devono sapere che il popolo irakeno e
il popolo curdo, entrambi sofferenti, rifiutano la prosecuzione della
guerra.
* Patriarca caldeo di Baghdad e presidente della Conferenza episcopale irakena