By Avvenire
12 novembre 2017
Luca Geronico
12 novembre 2017
Luca Geronico
«Il primo problema per chi ritorna è la fiducia. I cristiani sono stati martoriati e gli yazidi hanno
lo stesso problema e forse sono ancora più abbandonati perché non
hanno un retroterra in Occidente, dove potersi rifugiare», osserva Mario Giro. «L’unica vera risposta – prosegue il viceministro degli Esteri –
è che la comunità internazionale se ne faccia carico mentre oggi,
comprensibilmente, è ancora preoccupata dalla guerra contro il
Califfato e di quanto accade nella vicina Siria. Ancora non c’è un vero
programma globale, nemmeno dell’Onu, di “replacement” di tutte queste
persone protette ed accompagnate». Una “protezione internazionale”,
invocata come un mantra per tre anni dai caldei e dei siro-cattolici
sfollati a Erbil, Dohuk e nel resto del Kurdistan iracheno. «È quello
che ci vuole, e il più rapidamente possibile. L’Italia lo desidera e non
vede altra possibilità: se no se ne dovranno andare tutti». È come un
appello la riflessione di Giro che prosegue: «Immagino il dilemma di
un capofamiglia cristiano o yazida in questo momento. Una triste realtà
da cui non si sfugge senza un sistema internazionale ». Un rientro fra
incertezze e paure per chi, in 3 anni di attesa, non ha tentato di
emigrare in Occidente o in Australia.
Un rientro quasi obbligato
da quanto, fra settembre e ottobre, la diocesi di Erbil non ha più
pagato gli affitti per le case agli sfollati. Dismessi pure i campi
profughi tranne quello di “Ankawa 2”: ora accoglie solo 150 famiglie
cristiane fuggite da Mosul che non si fidano ancora a rientrare. Per
gli altri nessuna casa e nemmeno istruzione ai figli: il governo ha
chiuso a Erbil le scuole per i profughi e, trasferiti gli insegnanti,
iniziato una riapertura a singhiozzo dei corsi nella Piana di Ninive.
Impossibile avere una contabilità esatta dei rientri: da Erbil sono
ripartiti circa 25mila cristiani a cui si devono aggiungere quelli
delle altre province del Kurdistan. Per prima cosa i
cristiani chiedono ai sacerdoti già residenti la benedizione della
casa, scampata alla distruzione: infissi riparati con mezzi di fortuna e
una ripassata di bianco su mura nere di fumo con i mobili devastati
accatastati in giardino. Benedizione di una abitazione che spesso è
presa in affitto, a prezzi di favore, perché metà delle case sono state
devastate. Per 2.500 famiglie cristiane di Qaraqosh – circa 20mila
abitanti quando nel 2015 erano più del doppio – questo è il ritorno a
Ninive. Ancora più incerto il rientro nei centri più piccoli come
Bartalla e Bashiqa, ancora più indifesi e in buona parte rasi al suolo.
Tutto questo in una Piana di Ninive in cui si
scontrano – come faglie telluriche – le tensioni fra curdi e iracheni,
l’irredentismo jihadista sunnita e, da ultimo, le milizie sciite filo
iraniane. «Tutto ciò che accade nel nord dell’Iraq può compromettere un
ripristino della vita, già difficilissimo da progettare dopo anni e
anni di guerra», spiega il viceministro Mario Giro. La
sconfitta, politica e militare, del progetto autonomista curdo ha
indebolito chi «si era impegnato, con un interesse non solo umanitario,
a difendere le minoranze». Un Kurdistan umiliato e ora diviso, che
vive in queste settimane la decisiva resa dei conti con Baghdad, a cui
l’Italia ha dato un grande sostegno nell’addestramento militare dei
peshmerga: «Continua ora la nostra funzione di mediazione e
pacificatrice: tutto ciò che ritarda la costruzione della convivenza è
negativo. Rispettiamo molto quello che i curdi hanno fatto, spesso
soli, davanti all’avanzata del Daesh. Ora dobbiamo aiutarli a ricucire
una convivenza, ma questo riguarda veramente tutti in Iraq», pure i
sunniti e gli sciiti in tutto l’Iraq, afferma Giro.
Ma
oltre che la fiducia «ora mancano le condizioni per ritornare»,
prosegue il viceministro. Molti progetti di Ong, dopo che Baghdad ha
chiuso le frontiere e limitato i visti, sono bloccati. Ma l’impegno
della Cooperazione italiana prosegue: ricostruzione delle
infrastrutture (elettricità, acquedotti, scuole) e le abitazioni nella
Piana di Ninive per 1,5 milioni di euro a cui si aggiunge un intervento
di 1 milione di euro nei campi profughi di Dohuk a sostegno delle
vedove e degli orfani delle vittime del Califfato o delle “schiave del
sesso” fuggite. «La situazione è molto delicata, può cambiare di
momento in momento: il nostro non è ancora un grande investimento ma
volevamo essere tra i primi a lavorare per la ricostruzione concreta »,
spiega il viceministro.
La Piana di Ninive e i cristiani come
“cartina di tornasole” di una convivenza ancora possibile in Iraq e in
Medio Oriente. «Significativo che dei musulmani vogliano restaurare a
Mosul la seconda chiesa più grande di Iraq. Chi vuole la convivenza
vuole pure che i cristiani rimangano », conclude Mario Giro.
Per scacciare i demoni del passato: il premier iracheno Abadi ieri ha annunciato una controffensiva nell’Anbar per sgominare le ultime sacche di resistenza del Daesh. Ma poco oltre il confine siriano i jihadisti hanno ripreso Abu Kamal, «liberata » tre giorni fa.
Demoni pronti a tornare.
Per scacciare i demoni del passato: il premier iracheno Abadi ieri ha annunciato una controffensiva nell’Anbar per sgominare le ultime sacche di resistenza del Daesh. Ma poco oltre il confine siriano i jihadisti hanno ripreso Abu Kamal, «liberata » tre giorni fa.
Demoni pronti a tornare.