By SIR
Le notizie dell'offensiva irachena per riconquistare Mosul, nella mani
dello Stato Islamico dal 2014, rinfocola la speranza delle decine di
migliaia di cristiani sfollati in Kurdistan di tornare nelle loro case
nella seconda città irachena e nella vicina Piana di Ninive. Desiderosi
di ritornare e di coltivare il dialogo con tutti gli altri iracheni,
sunniti, sciiti e delle altre fedi, i cristiani chiedono "un Paese unito
sotto un governo forte" capace di garantire sicurezza e stabilità. La
testimonianza dell'arcivescovo siro-cattolico di Mosul, Kirkuk e del
Kurdistan, monsignor Petros Mouche. Un appello del patriarca caldeo,
Louis Raphael Sako, a porre "il bene comune del Paese e di tutti gli
iracheni prima e al di sopra di ogni altra cosa"
L’aveva annunciata come “l’ora della vittoria” contro Daesh, nel suo discorso alla nazione, il premier iracheno Haider al-Abadi,
ma l’offensiva militare avviata per riconquistare Mosul sembra già
subire i primi rallentamenti. Dopo l’euforia del primo giorno sembra
farsi spazio ora una più realistica cautela visto che le truppe
irachene, con quelle peshmerga curde, con le milizie paramilitari sciite
quelle e degli altri alleati, circa 30 mila soldati, sostenute dagli
aerei della coalizione internazionale a guida Usa, devono fare i conti
con la resistenza dei combattenti dello Stato Islamico, stimati in circa
6mila, asserragliati a Mosul e nei villaggi vicini, dopo aver
disseminato il terreno di trappole esplosive, di cecchini e pronti a
usare i civili come scudi umani.
Una città simbolo. Un’offensiva studiata da mesi per
riprendere la seconda città irachena, un luogo simbolo di questa guerra
siro-irachena, perché da qui Abu Bakr al-Baghdadi, il 29 giugno del
2014, dichiarò la nascita del Califfato. Abitata un tempo da circa due
milioni di persone, oggi ne resterebbero solo poco più della metà. Sulla
loro sorte si appunta l’attenzione delle Nazioni Unite. Secondo l’Ocha,
l’ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari circa 200mila
persone potrebbero essere costrette a fuggire nelle prime settimane
dopo l’inizio dell’offensiva militare anti-Isis a Mosul. I combattimenti
sono ancora lontani dalle zone urbane più popolate ma uno scenario più
pessimistico dell’Onu parla di un milione di sfollati, con circa 700mila
persone in cerca di un alloggio di emergenza. Per proteggere i civili
in fuga, precisa l’Ocha, sono stati allestiti rifugi per circa 60mila
persone in campi e siti di emergenza e accelerato l’allestimento di
ulteriori siti, con una capacità per circa 250mila persone. Secondo
l’Unicef, l’offensiva esporrà a gravi rischi oltre mezzo milione di
bambini e le loro famiglie. “I bambini di Mosul hanno già sofferto
enormemente negli ultimi due anni.
Molti
potrebbero essere costretti a fuggire, rimanere intrappolati tra le
linee di combattimento, o catturati nel fuoco incrociato”, sottolinea Peter Hawkins,
Rappresentante Unicef in Iraq. Sul terreno, intanto, i peshmerga da
est, e le truppe irachene da sud hanno ripreso il controllo di alcuni
villaggi, dedicandosi al consolidamento delle zone conquistate, situate
tra i 20 e i 50 chilometri da Mosul. Sono ancora in corso invece le
operazioni per liberare Qaraqosh, città a maggioranza cristiana che
prima di essere occupata dallo Stato Islamico aveva 50mila abitanti,
quasi tutti fuggiti a Erbil, in Kurdistan, all’arrivo dello Stato
Islamico (agosto 2014). E nel capoluogo curdo centinaia di sfollati
cristiani di Qaraqosh hanno gioito per le notizie dell’offensiva e si
sono riuniti per pregare nella chiesa di Mar Shimon.
Desiderosi di tornare.
“Speriamo che le operazioni per la liberazione della città di Mosul
procedano in maniera spedita” dice al Sir l’arcivescovo siro-cattolico
di Mosul, Kirkuk e Kurdistan, monsignor Petros Mouche
che conferma: “peshmerga e militari dell’esercito nazionale stanno
avanzando. Sono arrivati a Qaraqosh che non è stata ancora del tutto
liberata. Ci sono ancora sacche di resistenza intorno alla città”.
La
liberazione di Mosul, spiega, “è un grande segno di speranza.
Desideriamo ritornare nelle nostre case e riavere i nostri beni, a Mosul
come nei villaggi della Piana di Ninive. Amiamo questa terra e vogliamo
testimoniarlo con la nostra presenza ma è
necessario che venga garantita la nostra sicurezza e quella degli altri
abitanti. È importante vivere in sicurezza con gli altri in rispetto e
dignità”. Mons. Mouche è arcivescovo di Mosul dal 2011 e sa bene che nella città non ci sono più fedeli cristiani. Prima dell’arrivo di Daesh a Mosul vivevano 12mila famiglie siro-cattoliche, altre erano nella Piana di Ninive, a Kirkuk, Bertella e Qaraqosh. Comunità che ben ricordano i loro martiri: monsignor Faraj Rahho, arcivescovo caldeo a Mosul, rapito e ucciso nel 2008; padre Ragheed Ganni ucciso insieme a tre diaconi, dai terroristi, il 3 giugno 2007, poco dopo aver celebrato la messa domenicale nella sua parrocchia di Mosul dedicata al Santo Spirito. Il pensiero dell’arcivescovo siro-cattolico guarda oltre, a dopo la liberazione, quando “la priorità dovrà essere la riconciliazione nazionale. Possibile solo sotto un governo iracheno unito e forte.
Non
vogliamo vendette tra i musulmani, sciiti e sunniti, né contro le
minoranze. – afferma convinto – non sappiamo cosa vogliono fare del
nostro Paese, ma esso deve essere preservato nella sua unità. Vogliamo
un Iraq unito dove tutti, sciiti, sunniti, cristiani e credenti di
altre fedi vivano insieme nel rispetto e nella tolleranza. Da
parte nostra ricercheremo dialogo e riconciliazione con tutti”.
Un appello analogo arriva dal patriarca caldeo e presidente della Conferenza episcopale irachena Louis Raphael Sako che in una nota invita “i cari iracheni” a porre fine
Un appello analogo arriva dal patriarca caldeo e presidente della Conferenza episcopale irachena Louis Raphael Sako che in una nota invita “i cari iracheni” a porre fine
“a
tutte le dispute; mettere un freno agli egoismi e agli interessi
personali e di una parte. Dobbiamo mettere il bene comune del Paese e di
tutti gli iracheni prima e al di sopra di ogni altra cosa”.