"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

10 ottobre 2016

Controversie tra sunniti, sciiti e curdi sulla liberazione ed il futuro controllo di Mosul

By Fides

Le fasi preliminari all'assalto militare per la liberazione di Mosul dai jihadisti dello Stato Islamico (Desh), dato per imminente da settimane, vede crescere tra i diversi attori in campo il livello delle controversie politiche, geopolitiche e settarie riguardo al futuro assetto politico e etnico-religioso della regione, dopo l'eventuale sconfitta del Califfato. Già da tempo vengono inviati appelli via radio e attraverso il lancio aereo di volantini alla popolazione civile di Mosul con l'avvertenza di tenersi lontani dalle basi logistiche dei jihadisti e, se possibile, di fuggire dalla città. Ma più passa il tempo, più emergono dissidi tra i soggetti politici e militari che dovrebbero partecipare all'assalto per togliere al Daesh la sua roccaforte in territorio iracheno.
A scontrarsi sul futuro di Mosul e della Provincia di Ninive sono innanzitutto il governo centrale dell'Iraq e quello della Regione autonoma del Kurdistan iracheno. Nechirvan Barzani, Primo Ministro del Kurdistan iracheno, nella giornata di domenica 9 ottobre ha avvertito esplicitamente che sulla gestione futura dell'area liberata potranno sorgere problemi, se prima non ci sarà un accordo tra il governo di Baghdad e la leadership di matrice curda del governo regionale, con sede a Erbil. "Tutte le componenti politiche e religiose” ha aggiunto Barzani “dovrebbero veder garantita la loro partecipazione al processo politico che determinerà il futuro della regione e il modo in cui esse saranno governate”.
Gli Stati Uniti, che sostengono la coalizione militare anti- Daesh attiva in Iraq, sono impegnati da mesi nel tentativo di disinnescare le tensioni tra Erbil e Baghdad, riguardo anche alla futura gestione delle risorse petrolifere della regione. Intanto il governo della Regione autonoma del Kurdistan iracheno cerca di guadagnare il consenso dei clan tribali sunniti dell'area per la creazione di uno Stato curdo indipendente, che comprenda anche Musul e la Provincia di Ninive e la cui indipendenza venga proclamata tramite referendum.
I settori politici più contrari alla proclamazione di uno Stato indipendente nel nord dell'Iraq, a guida sunnita e abitato in prevalenza da curdi e sunniti, sono le forze sciite, componente sociale e religiosa più rilevante tra quelle che appoggiano il governo di Baghdad. L'esercito nazionale iracheno è composto in prevalenza da mililtari sciiti, a cui si affiancano milizie sciite di impronta paramiitare, sostenute anche dall'Iran.
La situazione è ulteriormente complicata dalla presenza sul terreno di forze militari turche. Sabato 8 ottobre, il parlamentare iracheno Abdelaziz Hasan ha dichiarato che l'offensiva per riprendere Mosul non inizierà fino a quando le truppe turche rimarranno sul territorio iracheno. Ma già a inizio ottobre era stato lo stesso Presidente turco Recep Tayyip Erdogan ad entrare con nettenza nell'intricata situazione irachena, dichiarando che “la Turchia, l'Arabia Saudita e il Qatar non permetteranno una dominazione settaria” nella regione, e aggiungendo che a controllare Mosul dovanno essere “gli arabi sunniti, i turcomanni sunniti e i curdi sunniti”.
Nella partita aperta sul futuro della regione, da tempo i vari soggetti in campo cercano di acquisire l'appoggio dei cristiani, fuggiti in massa davanti alla conquista della regione da parte dei miliziani del Daesh. Le “promesse” rivolte ai cristiani stanno diventando argomento propagandistico di progetti di gestione politica dell'area che appaiono in concorrenza tra loro. A luglio (vedi Fides 19/7/2016), il leader curdo Masud Barzani, Presidente della Regione autonoma del Kurdistan iracheno, in un incontro con politici cristiani svoltosi a Erbil aveva prefigurato la creazione di una “provincia cristiana” nella Piana di Ninive, e la successiva indizione di un referendum per consentire agli abitanti di tale entità amministrativa autonoma di scegliere il proprio inquadramento politico sotto il governo di un Kurdistan iracheno indipendente, piuttosto che sotto il governo federale con sede a Baghdad.