By Asia News
L’interferenza dei turchi “negli affari interni” dell’Iraq comporta
“seri rischi”, perché potrebbe dare il via a una “mobilitazione
popolare” della componente sciita “sostenuta dall’Iran”. E il timore è
che vi possa essere una escalation “di un conflitto su portata
regionale”. È quanto afferma ad AsiaNews il parlamentare cristiano Yonadam Kanna,commentando le tensioni in atto fra Baghdad e Ankara. Kanna è leader dell'Assyrian Democratic Movement,
membro della Commissione parlamentare sul Lavoro e gli affari sociali,.
Per il politico cristiano si tratta di “un problema che non è solo
irakeno, ma coinvolge la comunità internazionale”.
Nei giorni scorsi si è riacceso lo scontro frontale fra Turchia e
Iraq. Baghdad ha convocato l’ambasciatore turco e lo stesso ha fatto
Ankara con quello iracheno. A scatenare la crisi, le dichiarazioni del
presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il quale aveva annunciato la
partecipazione turca all’offensiva contro i jihadisti dello Stato
islamico (SI) a Mosul, delineando gli scenari etnici e politici della
città al termine delle operazioni militari.
Secondo Erdogan a Mosul - in quella che è la seconda città per
importanza dell’Iraq - devono rimanere solo “arabi e curdi sunniti,
insieme ai turcomanni”. Una posizione che contrasta contro i richiami
all’unità e al multiculturalismo di molte personalità politiche e
religiose dell’Iraq, fra cui lo stesso patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako, e che cancellerebbe di fatto la presenza musulmana sciita e cristiana dalla metropoli del nord.
Le parole di Erdogan hanno scatenato la protesta dei vertici
governativi a Baghdad e l’ira della comunità sciita irakena che
rappresenta oltre il 60% della popolazione. Al termine di una riunione
infuocata, il Parlamento di Baghdad ha intimato a Erdogan di “ritirare
immediatamente” le truppe presenti nel nord dell’Iraq, a qualche decina
di chilometri da Mosul. A stretto giro di vite è arrivata la replica
delle autorità turche per bocca del Primo Ministro Binali Yildirim,
secondo cui le truppe di Ankara resteranno in territorio irakeno “a
prescindere da ciò che dice il governo di Baghdad”.
Da mesi nella zona operano centinaia di addestratori, consiglieri e
soldati turchi - così come avviene in Siria - con il pretesto di
“combattere il terrorismo”. Intervenendo sulla questione, il Primo
Ministro irakeno Haider al-Abadi ha sottolineato che la presenza di un
contingente militare turco nel nord pone le premesse per lo scoppio di
“un conflitto regionale”. Per questo ieri l’Iraq ha chiesto una riunione
di emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e non
esclude l’ipotesi di “rivedere” le relazioni finanziarie ed economiche
con la Turchia.
Interpellato da AsiaNews Yonadam Kanna sottolinea che “da
anni” vi è una “presenza” di truppe turche in territorio irakeno, in
particolare nel Kurdistan, “con il beneplacito degli Stati Uniti”. Una
presenza finora di peacekeeping, ma che oggi ha assunto una connotazione
più aggressiva e che nasconde altre mire, come quella di evitare il
rafforzamento dell'entità curda. “Hanno superato il confine irakeno -
conferma il politico cristiano - con uomini e mezzi, e ora si trovano a
poche decine di chilometri da Mosul, rivendicando un ruolo di primo
piano nella liberazione”. Tuttavia, la loro presenza “complica” le
operazioni contro lo Stato islamico e l’opera di riconquista della
città; per questo, aggiunge, “abbiamo espresso con voto parlamentare la
richiesta che Ankara non interferisca nei nostri affari interni”.
L’auspicio è che “la diplomazia turca” possa “comprendere” quanto sia
delicata la situazione, commenta Yonadam Kanna, e “fare pressioni sui
vertici di governo” perché rivedano la loro scelta e abbandonino “la
visone confessionale” della città. “Le loro parole, i loro piani di
assegnazione su base confessionale di Mosul - avverte - rendono ancora
più complicata l’offensiva contro Daesh”.
Il politico ricorda inoltre che i jihadisti dello Stato islamico
“sono presenti da due anni” a Mosul e nella piana di Ninive e “sinora la
Turchia non aveva fatto nulla per risolvere il problema”. Ora l’azione
di Ankara è dettata “da interessi economici, politici, strategici”, ma
resta inaccettabile per l’Iraq e il suo popolo. “Respingiamo la visione
confessionale di Mosul - aggiunge il parlamentare - perché la storia
della città è caratterizzata da una espressione multiculturale e
interreligiosa che abbraccia anche i cristiani, gli sciiti, gli yazidi, e
le altre minoranze. Unità nella diversità, come ha sottolineato il
patriarca Sako, per noi restano un valore”.
Da ultimo egli non nasconde i timori di una escalation su base
regionale dello scontro in atto fra Ankara e Baghdad. “Il rischio è un
intervento dell’Iran, che renderebbe ancor più difficile la situazione.
La liberazione di Mosul è un compito della comunità internazionale ma,
in un secondo momento, il cammino di riconciliazione fra le anime
dell’Iraq è un compito che spetta alle autorità di Baghdad e locali, non
ai Paesi vicini”. Mi auguro, conclude, che questa controversia “sia
risolta in modo pacifico con il lavoro diplomatico, non con la forza e
l’uso dei carri armati”.