Instabilità politica, precarietà economica, corruzione, estremismo religioso, riduzione dell’offerta educativa.
Sono solo alcune delle cause che spingono la popolazione irachena ad
una migrazione senza precedenti. Oggi rimanere in Iraq è una scelta
davvero difficile. Specie se sei cristiano. Eppure l’Iraq dispone di
notevoli risorse naturali e il suo popolo è ricco di umanità e di grande
capacità di inclusione. Basti pensare alla pluralità delle culture, di
lingue, religioni, alle varie etnie che per secoli hanno saputo
convivere in pace. Habitat del patrimonio cristiano fin dalle sue
origini, da duemila anni l’Iraq è
stata la casa naturale di comunità cristiane molto vive. Con
l’imperversare delle guerre sono però diventate, oggi, oggetto di
discriminazione e persecuzioni. L’evento più atroce è stato due anni fa,
quando estremisti ISIS hanno preso Mossul e tutta la pianura attorno:
in poche ore migliaia di cristiani hanno dovuto abbandonare le loro case
e, con i soli vestiti addosso, fra mille disagi e pericoli, sono dovuti
sfollare e poi emigrare verso la Giordania o il Libano
dove hanno trovato asilo in improvvisati campi profughi. Secondo alcune
statistiche i cristiani in Iraq erano un milione e mezzo (2003), oggi
non raggiungono i 300.000.
Anche la comunità dei Focolari ha
subito gli effetti devastanti di questa barbarie. Ma sia quelli che
hanno lasciato il Paese, sia chi è rimasto – concentrati nelle città di
Erbil, Baghdad e Bassura, e a Dohuk – cercano di trasmettere pace
ovunque, costruendo ponti di solidarietà. Tuttavia, mentre ai convegni
estivi di più giorni tipici dei Focolari, le Mariapoli,
in passato c’erano oltre 400 persone, a quello tenutosi dal 9 all’11
settembre di quest’anno erano appena in 40. Ma il calo numerico non ha
influenzato il profilo qualitativo, decisamente cresciuto in intensità e
profondità, anche perché il tema centrale metteva l’accento sui
rapporti interpersonali da vivere all’insegna della misericordia. Ospiti
di un convento a Sulaymaniya, vicino al confine con l’Iran, i
partecipanti hanno vissuto tre giorni di vere e proprie esercitazioni
nell’amore reciproco.
Racconta Rula, focolarina giordana del focolare di Erbil: «Abbiamo
pregato, giocato, passeggiato in un’atmosfera di famiglia,
sperimentando la vera comunione. Nel momento dedicato alla famiglia è
scattata una tale condivisione che ha permesso di parlare del rapporto
di coppia, della sfida dell’immigrazione, della conciliazione
lavoro-famiglia, dell’educazione dei figli… Mentre i giovani, attraverso
coreografie, hanno mostrato come diventare ponti l’uno verso l’altro».
La Mariapoli ha avuto anche la presenza del vescovo di Baghdad mons. Salomone, che ha infiammato tutti con le sue parole: «Gesù
ci chiede di essere lievito per questo mondo. Sono contento che abbiate
scelto questa città per incontrarvi perché, anche se siete pochi,
sicuramente lascerete qui la tipica impronta di chi è seriamente
impegnato a vivere il Vangelo».
Il focolare cerca di sostenere
quanti sono rimasti, come anche chi si decide per la partenza, proprio
perché sa che non è facile, specie per i giovani, vivere senza poter
progettare il proprio futuro. «Vediamo che nonostante siano all’estero – continua Rula – vogliono
ancora rimanere in contatto. Un giovane, da un campo rifugiati ci ha
scritto che la spiritualità dell’unità è l’unica luce che lo sostiene e
che il cercare di amare gli altri dà un senso alla snervante attesa che
sta vivendo».
Fra le tante esperienze condivise in Mariapoli,
emblematica quella di un chirurgo di un ospedale pubblico. Poiché i
medici non ricevono regolarmente gli stipendi, essi cercavano di
programmare gli interventi nel pomeriggio, quando cioè sono a pagamento.
Ma lui ha deciso di aiutare il maggior numero di persone possibile e
fissa tutti i suoi appuntamenti al mattino. All’inizio i colleghi lo
criticavano, ma poi piano piano hanno deciso anche loro di fare come
lui.