By Asia News
In un contesto di guerra e violenze, di famiglie spezzate e di
giovani in cerca di un’esistenza migliore all’estero, “ai margini della
società” rimangono “gli anziani che non possono fuggire” e restano
legati “ai ricordi di una vita”. Per questo, a livello diocesano,
“abbiamo voluto raccogliere l’invito di papa Francesco”
e in questo giubileo della Misericordia che sta per finire abbiamo
pensato a “un ricordo, un monumento” pensato proprio “per la terza età”.
È quanto racconta ad AsiaNews mons. Antoine Audo, arcivescovo
caldeo di Aleppo, illustrando il “ricordo vivente” che la diocesi vuole
lasciare a conclusione dell’Anno Santo, per “applicare in modo concreto
il richiamo alla carità”.
“Stiamo trattando l’acquisto di un appartamento - spiega il prelato -
a piano terra e con accesso alla strada, per facilitare l’ingresso agli
anziani”. Una casa di accoglienza “nata seguendo il richiamo e
l’esempio del papa a Roma” e che sia davvero “una testimonianza di
misericordia” in questa terra “amata e martoriata”. Un luogo, aggiunge,
dove gli anziani “più o meno soli e abbandonati” possano “farsi la
doccia, prendere un caffè, curarsi o condividere il loro tempo con
altri”.
Un gesto “che faccio a nome di tutta la diocesi”, sottolinea mons.
Audo, per rilanciare i valori dell’educazione, dell’accoglienza, del
bene comune, per dire ai meno giovani “che non sono soli” e che “vi è
una Chiesa che li abbraccia”. In questo momento, aggiunge, sono “a buon
punto le trattative” per rilevare una struttura “già individuata” in
città. “Ho le idee chiare - prosegue - e ho già a disposizione i fondi
per l’acquisto, uniti al contributo volontario di esperti e avvocati”.
Il “primo passo” è stato compiuto e in un futuro prossimo egli non
esclude l’ipotesi di chiedere aiuti e sostegno dall’estero, ai fedeli in
Occidente e nel mondo, per fornire ulteriori servizi e opportunità agli
anziani. “Un centro che sorgerà in un quartiere a maggioranza cristiana
- prosegue mons. Audo - ma che non esclude la possibilità di accogliere
anche i musulmani, anche se si dovranno trovare le giuste modalità per
farlo. Nel rispetto delle rispettive esigenze e peculiarità”.
Oltre al “monumento alla misericordia”, la Chiesa siriana - e quella
di Aleppo in particolare - hanno promosso in questi cinque anni di
conflitto diverse iniziative a favore della popolazione. “Fra le
priorità - racconta mons. Audo - vi sono le cure mediche ai malati, che
hanno un costo assai elevato. Sono molti i bisognosi che si rivolgono a
noi in cerca di aiuto”. E ancora, il diritto all’istruzione per i
bambini e i giovani “che devono poter andare a scuola” nonostante la
guerra.
E proprio in tema di educazione, la Chiesa caldea ha promosso una
iniziativa che coinvolge gli studenti di 10 scuole cattoliche fornendo
loro borse di studio, soprattutto ai giovani che provengono da famiglie
povere. “Questo è un aspetto critico - racconta il prelato - ed è legato
a doppio filo alla crisi innescata dalla guerra. Molte famiglie un
tempo del ceto medio, non ricche ma benestanti, si trovano ora in
condizioni di estrema indigenza e non possono nemmeno fuggire. Pur non
volendo rinunciare all’idea di far studiare i loro figli, non riescono a
far fronte alla retta e, al contempo, sono restii per dignità e
orgoglio ad accettare elemosine”.
Ecco perché i vertici della diocesi hanno deciso di istituire borse di studio grazie alle quali, sottolinea mons. Audo, “possiamo garantire una istruzione ai giovani, senza umiliare o ferire nell’orgoglio le loro famiglie”. Un aiuto “costante e discreto”, racconta, che serve a “mitigare, almeno in parte, gli effetti della guerra e dell’impoverimento generale. In questo modo garantiamo ad almeno 6mila ragazzi e ragazze, bambini e bambine, il diritto allo studio”.
Ecco perché i vertici della diocesi hanno deciso di istituire borse di studio grazie alle quali, sottolinea mons. Audo, “possiamo garantire una istruzione ai giovani, senza umiliare o ferire nell’orgoglio le loro famiglie”. Un aiuto “costante e discreto”, racconta, che serve a “mitigare, almeno in parte, gli effetti della guerra e dell’impoverimento generale. In questo modo garantiamo ad almeno 6mila ragazzi e ragazze, bambini e bambine, il diritto allo studio”.
A questo si uniscono poi i programmi ecclesiastici “di assistenza a
livello psicologico” per alleviare “i traumi del conflitto” e le
iniziative di “formazione” rivolte agli “educatori che devono operare
con minori traumatizzati”. “Iniziative - spiega il prelato - che vedono
in campo la Caritas e le molte organizzazioni umanitarie che svolgono un
lavoro straordinario, fornendo insieme all’educazione anche il cibo, le
medicine, denaro per pagare l’affitto, generi di prima necessità”. Il
dramma della guerra, aggiunge, “ha coinvolto tutta la città e ogni
famiglia conta morti, distruzioni, sofferenze. Le violenze e le
devastazioni non sono prerogativa di un settore, della zona est o ovest,
esse riguardano Aleppo in tutta la sua complessità”.
Diverso, invece, il discorso sul resto della Siria dove si registrano
situazioni assai diverse fra loro. “Ad Aleppo vi è la situazione più
difficile - conferma il prelato - mentre sul litorale, a Tartus e
Latakia e nella valle dei cristiani non vi sono pericoli costanti di
morte. E poi ancora Damasco, dove le condizioni sono meno gravi rispetto
ad Aleppo, anche se di tanto in tanto cadono bombe e si verificano
combattimenti in alcuni quartieri. Homs è calma, perché l’esercito ha
assunto il controllo della situazione. E poi la provincia di Hassaké,
dove l’evolversi della situazione è legato a un accordo fra curdi [e
potenze che li sostengono] e militari siriani. Sul terreno vi sono
centinaia di gruppi armati, molti dei quali hanno il solo obiettivo di
distruggere la Siria”.
“Di fronte a questo dramma, per noi cristiani - conclude il prelato -
non resta che la preghiera e la ricerca dei valori più profondi della
fede. La nostra presenza, per la Siria e per il Medio oriente, è fonte
di ricchezza, perché nel tempo abbiamo saputo integrarci e riflettere,
dialogare, sostenere il confronto con i musulmani. Una nostra scomparsa
dalla regione avrebbe conseguenze drammatiche ed è triste osservare
l’indifferenza dei cristiani d’Occidente, che non si rendono conto della
gravità di questa perdita”.