"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

21 ottobre 2016

Padre Waheed Tooma: paure e speranza per Mosul


Le forze armate irachene sono entrate a Qaraqosh, la città cristiana più grande della piana di Ninive. Tra i suoi abitanti, chi non è emigrato in Turchia e Libano, con la speranza di raggiungere l’Occidente, vive ormai da due anni a Erbil, insieme ad altre migliaia di sfollati, cacciati dalle loro case nell’estate del 2014 dallo Stato islamico. La battaglia di Qaraqosh è solo un antipasto, una tappa verso la guerra di Mosul, difesa da 5 mila jihadisti (come minimo).
Giornali e televisioni hanno diffuso le immagini di centinaia di profughi di Erbil che hanno festeggiato alla notizia della conquista di Qaraqosh. Ma se è vero, come si legge, che sono pronti a rientrare nelle loro case, lo faranno solo a certe condizioni.
«Speriamo che i cristiani possano abbandonare i campi profughi e tornare ai loro villaggi e alle loro città l’anno prossimo», dichiara alla Nuova BQ padre Waheed Tooma, superiore generale cattolico caldeo del monastero di Ormisda ad Alqosh, appena mezz’ora di auto da Mosul. «Speriamo e preghiamo che Dio aiuti l’esercito iracheno e i peshmerga a liberare i nostri villaggi, ma anche che questa drammatica situazione non si ripeta mai più in Iraq».
Per sconfiggere l’Isis a Mosul potrebbero volerci mesi ma anche dopo la cacciata dei jihadisti ritornare a Qaraqosh e negli altri villaggi della piana di Ninive non sarà facile. Innanzitutto, bisognerà bonificare le aree: «Nessuno può rientrare fino a quando non si mettono le case in sicurezza», continua padre Tooma. L’Isis infatti è solito minare le abitazioni prima di battere in ritirata per impedire che possano essere riutilizzate. «L’anno scorso sono morte due persone così, stavano entrando in una casa di un villaggio che i peshmerga hanno liberato dall’Isis. E sono saltati in aria. Se i villaggi non vengono ripuliti, nessuno può farvi ritorno».
Il secondo problema riguarda il futuro: chi è disposto ad abitare in un villaggio fantasma con la consapevolezza che i terroristi islamici possono attaccare di nuovo in ogni momento? «Senza una forza occidentale e internazionale che garantisca la sicurezza dei villaggi, nessuno tornerà», spiega il superiore generale. «Devono assicurarci che quanto accaduto nel 2014 non si ripeterà. Qualcuno deve difendere i cristiani perché non possiamo vivere nella paura di essere di nuovo attaccati da musulmani fanatici. Bisogna rendersi conto che nessuno ne può più, non potremmo sopportare un altro esodo».
Il terzo fattore di preoccupazione per i cristiani profughi a Erbil, e non solo, è la divisione fra sunniti e sciiti che continua a destabilizzare il paese. «È dal 2003 che i cristiani pagano il prezzo di questa frattura. Se le due anime dell’islam non si riappacificano, questo paese non conoscerà mai la pace.  Anche la battaglia di Mosul potrebbe essere rovinata. Guardiamo cos’è successo a Falluja: c’è stato un massacro. La città ora è abitata solo da sunniti e l’esercito è sciita, che cosa succederà? Questa inimicizia continua a mietere vittime».
Padre Tooma però ha anche un’ultima paura che oscura la gioia per l’avanzata dell’esercito. E si chiama Turchia. L’esercito del presidente Erdogan da un anno ha stanziato nella Piana di Ninive un contingente dell’esercito con il consenso dei curdi, ma senza quello del governo sciita. E c’è da credere che sono entrati nel paese con lo scopo di restarci. Il presidente turco ha anche dichiarato che a Mosul dovranno vivere solo sunniti e turcomanni. «A Mosul devono per forza tornare anche cristiani, curdi, yazidi, sciiti», protesta il sacerdote iracheno. «Erdogan pensi a risolvere i problemi del suo popolo e quelli con il Pkk, poi può venire a risolvere anche i nostri. Da troppo tempo paghiamo il prezzo della mancanza di un governo forte, che impedisca ai paesi stranieri di mettere il naso nei nostri affari. Tutte le nazioni intorno all’Iraq vogliono intromettersi. La Turchia è matta o finge di essere matta. La verità è che vuole prendersi un pezzo della torta irachena, un pezzo del nostro paese, del popolo iracheno o di Mosul a loro non importa nulla. Stanno facendo quello che ha fatto l’America nel 2003: quando hanno abbattuto Saddam Hussein, non sono mica venuti per liberare il popolo! Sono venuti per il petrolio. In questa politica sporca ognuno agisce per i propri interessi, nessuno pensa al popolo iracheno. Questo non è giusto».