Le forze armate irachene sono entrate a Qaraqosh, la città cristiana
più grande della piana di Ninive. Tra i suoi abitanti, chi non è
emigrato in Turchia e Libano, con la speranza di raggiungere
l’Occidente, vive ormai da due anni a Erbil, insieme ad altre migliaia
di sfollati, cacciati dalle loro case nell’estate del 2014 dallo Stato
islamico. La battaglia di Qaraqosh è solo un antipasto, una tappa verso
la guerra di Mosul, difesa da 5 mila jihadisti (come minimo).
Giornali e televisioni hanno diffuso le immagini di centinaia di profughi
di Erbil che hanno festeggiato alla notizia della conquista di
Qaraqosh. Ma se è vero, come si legge, che sono pronti a rientrare nelle
loro case, lo faranno solo a certe condizioni.
«Speriamo che i cristiani possano abbandonare i campi profughi e tornare ai loro villaggi e alle loro città l’anno prossimo», dichiara alla Nuova BQ padre Waheed Tooma, superiore generale cattolico caldeo del monastero di Ormisda ad Alqosh, appena mezz’ora di auto da Mosul. «Speriamo e preghiamo che Dio aiuti l’esercito iracheno e i peshmerga a liberare i nostri villaggi, ma anche che questa drammatica situazione non si ripeta mai più in Iraq».
«Speriamo che i cristiani possano abbandonare i campi profughi e tornare ai loro villaggi e alle loro città l’anno prossimo», dichiara alla Nuova BQ padre Waheed Tooma, superiore generale cattolico caldeo del monastero di Ormisda ad Alqosh, appena mezz’ora di auto da Mosul. «Speriamo e preghiamo che Dio aiuti l’esercito iracheno e i peshmerga a liberare i nostri villaggi, ma anche che questa drammatica situazione non si ripeta mai più in Iraq».
Per sconfiggere l’Isis a Mosul potrebbero volerci mesi
ma anche dopo la cacciata dei jihadisti ritornare a Qaraqosh e negli
altri villaggi della piana di Ninive non sarà facile. Innanzitutto,
bisognerà bonificare le aree: «Nessuno può rientrare fino a quando non
si mettono le case in sicurezza», continua padre Tooma. L’Isis infatti è
solito minare le abitazioni prima di battere in ritirata per impedire
che possano essere riutilizzate. «L’anno scorso sono morte due persone
così, stavano entrando in una casa di un villaggio che i peshmerga hanno
liberato dall’Isis. E sono saltati in aria. Se i villaggi non vengono
ripuliti, nessuno può farvi ritorno».
Il secondo problema riguarda il futuro: chi è
disposto ad abitare in un villaggio fantasma con la consapevolezza che i
terroristi islamici possono attaccare di nuovo in ogni momento? «Senza
una forza occidentale e internazionale che garantisca la sicurezza dei
villaggi, nessuno tornerà», spiega il superiore generale. «Devono
assicurarci che quanto accaduto nel 2014 non si ripeterà. Qualcuno deve
difendere i cristiani perché non possiamo vivere nella paura di essere
di nuovo attaccati da musulmani fanatici. Bisogna rendersi conto che
nessuno ne può più, non potremmo sopportare un altro esodo».
Il terzo fattore di preoccupazione per i cristiani profughi a Erbil,
e non solo, è la divisione fra sunniti e sciiti che continua a
destabilizzare il paese. «È dal 2003 che i cristiani pagano il prezzo di
questa frattura. Se le due anime dell’islam non si riappacificano,
questo paese non conoscerà mai la pace. Anche la battaglia di Mosul
potrebbe essere rovinata. Guardiamo cos’è successo a Falluja: c’è stato
un massacro. La città ora è abitata solo da sunniti e l’esercito è
sciita, che cosa succederà? Questa inimicizia continua a mietere
vittime».
Padre Tooma però ha anche un’ultima paura che oscura
la gioia per l’avanzata dell’esercito. E si chiama Turchia. L’esercito
del presidente Erdogan da un anno ha stanziato nella Piana di Ninive un
contingente dell’esercito con il consenso dei curdi, ma senza quello del
governo sciita. E c’è da credere che sono entrati nel paese con lo
scopo di restarci. Il presidente turco ha anche dichiarato che a Mosul
dovranno vivere solo sunniti e turcomanni. «A Mosul devono per forza
tornare anche cristiani, curdi, yazidi, sciiti», protesta il sacerdote
iracheno. «Erdogan pensi a risolvere i problemi del suo popolo e quelli
con il Pkk, poi può venire a risolvere anche i nostri. Da troppo tempo
paghiamo il prezzo della mancanza di un governo forte, che impedisca ai
paesi stranieri di mettere il naso nei nostri affari. Tutte le nazioni
intorno all’Iraq vogliono intromettersi. La Turchia è matta o finge di
essere matta. La verità è che vuole prendersi un pezzo della torta
irachena, un pezzo del nostro paese, del popolo iracheno o di Mosul a
loro non importa nulla. Stanno facendo quello che ha fatto l’America nel
2003: quando hanno abbattuto Saddam Hussein, non sono mica venuti per
liberare il popolo! Sono venuti per il petrolio. In questa politica
sporca ognuno agisce per i propri interessi, nessuno pensa al popolo
iracheno. Questo non è giusto».