by Tina Wolfe
Tradotto ed adattato da Baghdadhope
Steven gioca con un telefono giocattolo su un materasso senza lenzuola in una minuscola stanza dalle pareti nude e sbrecciate. La madre del bimbo di 4 anni, Nada, lo guarda tenendo in braccio la sua irrequieta sorellina. Molte famiglie di profughi iracheni finiscono nel distretto di Al Fanar a Beirut dove vivono in condizioni di povertà e con l'aiuto di gruppi come la Caritas, un ente di carità cattolico. Sono arrivate a Beirut all'inizio di questo mese dalla città settentrionale irachena di Mosul dopo aver ricevuto una minaccia di morte per telefono. La Caritas, ente cattolico di carità, registra una media di cinque nuove famiglie ogni settimana in Libano. Più di 200 famiglie irachene sono arrivate dopo l'inizio di una violenta campagna anti-cristiana a Mosul lo scorso ottobre.
La maggior parte delle famiglie fuggite hanno ricevuto messaggi o telefonate che ordinavano loro di lasciare le loro case pena la morte. Sei anni dopo l'invasione a guida USA una continua situazione di crisi riguardante i rifugiati smentisce le notizie sulla diminuzione della violenza e di una maggiore sicurezza in alcuni quartieri iracheni. L'agenzia dell'ONU per i rifugiati (UNHCR) stima che più di 4,5 milioni di iracheni siano stati sradicati a causa del conflitto creando la più grande crisi di rifugiati in Medio Oriente dalla fondazione di Israele nel 1948. Matta aspetta che la sorella si registri presso il centro Caritas al suo arrivo a Beirut da Mosul, Iraq, da dove è fuggita temendo per la sua vita, come Naima e Najet, fuggiti da Mosul con le loro famiglie dopo il rapimento del figlio maggiore. Steven gioca nel piccolo monolocale in cui vive con la madre e la sorella. Circa 2.5 milioni di persone sono sfollate all'interno dell'Iraq mentre più di 2 milioni si sono rifugiate nei paesi vicini, specialmente Siria e Giordania. Di questi l'UNHCR stima che in Libano ne siano arrivati 30.000, di cui circa un terzo cristiani.
Una vita dura
Nada, che come gli altri rifugiati intervistati per questo articolo ha chiesto che il suo cognome non sia riportato per paura che i parenti in Iraq possano essere uccisi, paga 125 $ al mese per la piccola stanza. Anche per gli standards libanesi l'affitto è altissimo. Quattro materassi coprono il pavimento lasciando spazio a due enormi valigie traboccante di abiti. Non ci sono armadi, sedie, tavoli o foto di famiglia. Il bagno è condiviso con un'altra famiglia di rifugiati, così come una piccola cucina con due pentole sul fuoco. I fornelli a gas sono l'unico apparecchio che Nada è riuscita ad acquistare con una buono di 50 $ donato dalla Caritas.
"Compro riso e patate, che è quello che abbiamo mangiato da quando siamo arrivati", dice con la disperazione dipinta sul viso.
Sined El Bouchrieh, un quartiere prevalentemente cristiano di Beirut, è diventato un santuario per i cristiani caldei in fuga dall'Iraq.
Nelle vicinanze ci sono scuole, negozi di alimentari ed un Internet cafè che con un cartello annuncia che una chiamata in Iraq costa 75 centesimi.
Nonostante le dure condizioni di vita la stragrande maggioranza dei rifugiati afferma di non voler tornare in Iraq. Hanno venduto tutto ciò che possedevano e sperano di essere reinsediati in paesi terzi, in particolare negli Stati Uniti. Nel 2008, 1143 rifugiati iracheni in Libano sono stati reinsediati negli Stati Uniti, un numero che si prevede raddoppierà fino a 2500 quest'anno, afferma Laure Chedrawi dell'UNHCR. Già alle 10 del mattino la sala principale dell'ufficio della Caritas, uno dei sei sparsi in Libano a servizio dei profughi iracheni, è pieno di donne e bambini in attesa di incontrare un operatore.
Matta, 38 anni, entra con la sorella appena arrivata. È fuggita da Mosul e rifiuta di farsi fotografare per paura di essere riconosciuta e di mettere in pericolo i suoi cari rimasti a casa. E' venuta a registrarsi presso il centro Caritas ed a prendere delle coperte, una stufa a gas e delle forniture sanitarie. Matta è arrivato sei mesi fa con la moglie, che ora è incinta di tre mesi.
E' riuscito a trovare lavoro come cameraman in una stazione TV e guadagna 400 $ al mese che dice non sono sufficienti per i bisogni fondamentali. Il suo visto libanese è scaduto tre mesi fa e vive nella paura di essere deportato o arrestato. Sua moglie, che lavorava presso una università in Iraq, esce raramente di casa. Nonostante i rapporti parlino di iracheni che tornano a casa non c'è una chiara procedura per stabilirne il numero.
I funzionari delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni che si occupano dei rifugiati affermano inoltre che un ritorno massiccio è improbabile, almeno in tempi brevi, perché la maggior parte di loro temono ancora di essere perseguitati, hanno esaurito le loro risorse e non hanno mezzi per ricominciare da dove hanno lasciato.
Limbo giuridico
In quanto paese non firmatario della Convenzione sui rifugiati del 1951 il Libano non ha alcuna legge a proposito e non riconosce lo status degli iracheni, neanche quelli registrati con l'UNHCR. Una volta che i loro visti scadono gli iracheni sono trattati come immigrati clandestini e se catturati dalle autorità rischiano l'arresto. La maggior parte dei rifugiati iracheni non sono legalmente autorizzati a lavorare in Libano e coloro che di solito lavorano nell'economia sommersa - nel settore delle costruzioni, nei mercati alimentari o nelle fabbriche, guadagnano meno di 200 $ al mese. Una cifra non sufficiente per pagare l'affitto, il cibo, i servizi e la scuola per i loro figli.
L'illegalità li rende vulnerabili allo sfruttamento ed all'abuso da parte dei datori di lavoro e dei proprietari. "Vai al mercato e vedi qualcosa che ti piace e che costa 7 $ e pensi che sia caro. Ma se provi a tirare sul prezzo il venditore dice che ti denuncerà alla di polizia" spiega Matta.
All'inizio di questo mese il governo libanese ha concesso un'amnestia di tre mesi a tutti gli stranieri, compresi gli iracheni, per legalizzare il loro status nel paese con un permesso di residenza e di lavoro. Ma a caro prezzo. Gli iracheni devono pagare un minimo di 1000 $ per legalizzare il loro status ed i loro datori di lavoro devono sponsorizzarli con un deposito di 1000 $ in banca - investimenti che la maggior parte degli iracheni non possono permettersi e pochi datori di lavoro libanesi sono disposti a fare.
Isabel Saade Feghali, vice direttrice della Caritas, ha dichiarato che molti iracheni hanno un disperato bisogno di assistenza medica. "Abbiamo molti casi di malattie croniche, come il cancro, il diabete, malattie cardiache ed asma".
A Najmä, 51 anni, è stato recentemente diagnosticato un cancro alla gola e sta facendo la chemioterapia. Finora il suo trattamento è costato alla Caritas più di 10.000 $. Lei e suo marito, Najet, sono fuggiti dall'Iraq con sette dei loro otto figli. E 'stato il sequestro del figlio di 24 anni che alla fine ha spinto la famiglia a lasciare la casa di Mosul lo scorso maggio per l'incerta vita dei rifugiati. Hanno venduto un redditizio salone di bellezza per pagare le spese tra cui i biglietti aerei ed un deposito di 2000 $ a persona necessario per entrare legalmente Libano.
E questo in aggiunta al riscatto di 9000 $ pagato per la liberazione del figlio. Lasciando il loro appartamento Najmä, che non può parlare a causa delle sue condizioni, chiede se posso aiutarli ad accelerare la pratica del loro reinsediamento. Sperano di andare in California dove il marito, Najet, ha quattro fratelli.