"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

6 marzo 2009

KASSARJI: «Così in Libano aiutiamo i cristiani in fuga»

Fonte: Tracce.it

di Ida Soldini

Quale futuro per i cristiani in Iraq? Partendo da questo interrogativo, si è svolto da poco a Beirut il convegno internazionale “L’agonia dei cristiani iracheni: è la fine o sarà la resurrezione?”. Tra gli organizzatori, monsignor Michel Kassarji, vescovo caldeo in Libano dal 2001 e da diverso tempo testimone dell’esodo dei cristiani dall’Iraq.
Tracce.it lo ha incontrato, per capire cosa significhi vivere la fede in questa terra.
Da dove è nata l’idea del convegno?
"In questi quattro anni siamo stati sommersi dai profughi provenienti dall’Iraq. Ho sentito quindi la necessità di affermare pubblicamente che questo fenomeno costituisce un pericolo. Non solo per i cristiani, che in Iraq sono oggetto di un preciso attacco, ma per la convivenza di tutti i popoli mediorientali e per la stessa comunità musulmana. Con questo gesto pubblico volevamo raggiungere proprio l’opinione pubblica musulmana. E, a mio avviso, ci siamo riusciti: hanno seguito il convegno molte televisioni, fra le quali anche Al Jazeera e la tv del partito democratico del Kurdistan iracheno."
Qual è oggi la situazione dei profughi?
"La guerra ha causato in Iraq un esodo di quattro milioni di persone, e tanti di quelli rimasti stanno per partire. Hanno deciso che per loro qui non c’è futuro, hanno perso la speranza. È impossibile avere cifre esatte, ma si stima che un emigrato su cinque sia cristiano. Rispetto alla popolazione cristiana presente prima della guerra, circa un milione di persone, sono ben più del 60%. In Libano sappiamo dove sono, chi sono, di cosa hanno bisogno: oggi a Beirut ci sono circa 700 famiglie, in tutto 5mila persone; tanti altri sono già partiti oltremare. Ma in Siria, in Giordania e nell’Iraq stesso, nessuno sa quanti siano e cosa debbano patire. È gente che fugge da un pericolo senza nome, fatto di uno stillicidio di atrocità e di ingiustizie, vivendo nella paura. Quando finalmente arrivano in Libano sono l’ombra di sé stessi. Moltissimi sono anche gravemente malati: abbiamo molti più casi di cancro rispetto alla media della popolazione."
E in Libano cosa li attende?
"Il limbo: non sanno quando potranno partire, né per dove. L’Onu, per esempio, considera “adulti” i diciottenni, e li tratta con progetti separati dai genitori. Così non si pone alcun problema se i primi vengono mandati in Australia e i secondi, per esempio, in California. Come vede il futuro? Credo che ciò che oggi è una questione irachena, possa facilmente diventare un problema per l’intero Medio Oriente. Se nessuno si muove per difendere l’esistenza di persone che non sono considerate cittadini come gli altri per via della loro confessione, si può aprire qualunque tipo di scenario."
Quale via si può seguire, quindi, per porre rimedio a questa tragedia?
"Concludendo il convegno, abbiamo rivolto delle raccomandazioni a tutti gli attori implicati: alle chiese abbiamo chiesto di dimostrare unità d’intenti e di preghiera; al governo iracheno, di fondare i diritti delle persone sulla cittadinanza e di difendere le minoranze al suo interno; alle autorità libanesi, di sovvenire ai bisogni dei profughi; all’Onu, di creare uffici per far fronte alle necessità di questa gente; alla comunità islamica, di emettere fatwe e leggi che tutelino i cristiani nei paesi a maggioranza musulmana. Solo uno sforzo congiunto può far finire la fuga dei cristiani."
In Medio Oriente tutti sanno che la loro presenza è una ricchezza. Perché allora non la tutelano? Perché non vogliono vedere quel che sta accadendo?In che modo potremmo aiutarla?
"Io in Libano sono solo: gli altri vescovi caldei sono in Iraq o in altre parti del mondo, e non ho altri preti caldei con me. Mi aiutano alcuni maroniti. I fedeli sono triplicati nel giro di tre anni, perciò ho davvero bisogno di aiuto. Tanti cominciano a diventare aggressivi con la Chiesa: gli unici cui possono rivolgersi in certi casi siamo noi, ma non riusciamo ad aiutarli. Siamo riusciti ad acquistare un centro in cui installare due ambulatori medici e un servizio d’assistenza sociale, ma è ancora da ristrutturare e da mettere in funzione."
Quale messaggio vorrebbe trasmettere ai lettori di Tracce.it?
"Devo ringraziare molto la gente del movimento, per quello che fa per me. L’ho detto anche a Benedetto XVI, incontrandolo lo scorso 29 gennaio in una visita ad limina. Gli ho raccontato cosa viviamo a Beirut e in Iraq. Quando m’ha chiesto: «Ma chi ti aiuta?», ho risposto: «Comunione e Liberazione!»."