By Asia News
Liberare Mosul dalla presenza dello Stato islamico sarà “difficile,
ma necessario", perché i jihadisti “sfruttano la popolazione” per
garantirsi una copertura, le strade sono molto strette e le case vicine
una all’altra. È quanto afferma ad AsiaNews il patriarca caldeo
mar Louis Raphael Sako, commentando l’offensiva in corso per strappare
alle milizie di Daesh anche il settore occidentale della seconda città
per importanza dell’Iraq. “L’offensiva militare in atto nella zona ovest
- aggiunge il prelato - ha causato almeno 4mila vittime e la
distruzione di 10mila abitazioni. Una vera e propria tragedia”.
Nella Città Vecchia di Mosul, nel settore occidentale, sorgono le più
antiche chiese di tutto l’Iraq e alcuni dei più importanti monasteri.
Edifici che risalgono al quinto, sesto, settimo secolo e che
costituiscono un vero e proprio patrimonio non solo religioso, ma anche
storico e culturale per il Paese. “Anche per questo - avverte il primate
caldeo - la liberazione di Mosul è un atto necessario. Al contempo, è
necessario salvaguardare la popolazione e le vite umane”.
Nel fine settimana il patriarcato caldeo ha diffuso una nota
ufficiale, in cui esprime “solidarietà” alle “vittime innocenti” di
Mosul, colpita da un “terrorismo oscurantista”. Centinaia di civili
deceduti a causa del conflitto, a cui la Chiesa caldea manifesta
“vicinanza” e assicura “assistenza” alimentare e di base, con una
particolare attenzione alle famiglie di sfollati. “In questa occasione -
prosegue la dichiarazione del patriarca - invitiamo tutte le parti in
causa a rispettare le leggi di guerra, le tradizioni morali e religiose
per preservare la vita di persone innocenti”. Infine, i vertici
ecclesiastici si rivolgono alla comunità internazionale perché affronti
“in modo serio” la crisi degli sfollati, “la più grande tragedia mai
vissuta in Iraq”.
Nell’ultimo mese centinaia di migliaia di civili della zona ovest di
Mosul che hanno abbandonato case e beni, per sfuggire alla battaglia fra
esercito governativo e milizie curde contro i jihadisti dello Stato
islamico (SI), che controllano ancora l’area. La maggior parte degli
sfollati hanno trovato riparo nei campi profughi e nei centri di
accoglienza allestiti in queste settimane. Altri ancora hanno raggiunto
le case di parenti o familiari.
A febbraio i governativi erano riusciti a cacciare i miliziani di
Daesh [acronimo arabo per lo SI] dalla zona est di Mosul, alla destra
del Tigri, dopo mesi di combattimenti intensi. L’offensiva è iniziata il 17 ottobre e sono serviti quasi cinque mesi per vincere la resistenza jihadista nell’area.
Ora l’obiettivo è di assumere il completo controllo della seconda
città per importanza del Paese, anche se resta prioritario il problema
della sicurezza dei civili coinvolti nell’offensiva. Lo scorso 17 marzo
un raid aereo della coalizione internazionale a guida statunitense
avrebbe provocato la morte di oltre un centinaio di abitanti, uccisi nel
crollo di un palazzo colpito dalle bombe dei caccia Usa.
Sulla vicenda emergono racconti e testimonianze contrastanti, sia sul
numero delle vittime che in merito alle responsabilità. I vertici
dell’esercito irakeno sono convinti che a causare la strage siano stati
ordigni piazzati dai jihadisti.
I soccorritori avrebbero estratto i cadaveri di oltre cento persone
dalle macerie dei palazzi crollati; altre fonti parlano di oltre 240
persone decedute. Il comando statunitense ha aperto un’inchiesta ma
finora non vi sono prese di posizione ufficiali. Alcuni esponenti
politici locali chiedono maggiore attenzione e ricordano che non è
possibile usare mezza tonnellata di bombe sganciate dagli aerei per
uccidere un cecchino in cima a un palazzo pieno di civili.
“Siamo di fronte a una strage - racconta ad AsiaNews mar
Sako - e bisogna fare qualcosa. Lo Stato islamico usa la popolazione
come scudi umani, vanno fermati”. Oltre ai civili uccisi, vi è anche il
dramma degli sfollati che continuano a fuggire dalla zona ovest di
Mosul. “La prossima settimana - prosegue il prelato - andrò di persona a
consegnare aiuti a oltre 4mila famiglie musulmane che sono fuggite da
poco. Sono i nuovi profughi, le ultime vittime dell’offensiva, che si
vanno ad aggiungere agli sfollati della prima ora”. In tutto il Paese,
aggiunge, “abbiamo circa 3,5 milioni di sfollati, e il numero è
destinato a salire considerano che vi sono ancora 400mila persone a
Mosul ovest”.
“Vogliamo mostrare loro l’attenzione della Chiesa, che non fa
differenze di etnia o religione nella distribuzione degli aiuti. Noi,
come cristiani, non cerchiamo vendetta - conclude mar Sako - e
rilanciamo una volta di più il nostro ruolo di ponte e di agenti di
pace”.