By Tempi
Leone Grotti
Leone Grotti
Sono 120 mila i cristiani rifugiati che vivono «in condizioni sempre
peggiori» in Kurdistan, «ma queste sono solo le statistiche ufficiali
perché ogni giorno c’è qualche famiglia che lascia l’Iraq». Quando
descrive a tempi.it la situazione dei “rifugiati”, costretti a dormire
in tende o in palazzi abbandonati
senza porte né finestre, monsignor Amel Nona parla anche di se stesso.
L’arcivescovo cattolico di Mosul, infatti, è stato cacciato dalla sua
diocesi ad agosto e non ha più una casa al pari degli altri cristiani,
costretti dallo Stato islamico ad abbandonare le proprie terre a meno di essere uccisi, pagare la tassa di sottomissione o convertirsi all’islam.
Arcivescovo, perché la condizione dei cristiani sta peggiorando?
Banalmente perché sta arrivando l’inverno e il freddo e i cristiani non hanno ancora una casa. Ma anche perché continuano a passare i mesi e non arriva nessun segnale positivo per quanto riguarda la riconquista dei nostri villaggi. Così la nostra gente sta diventando sempre più disperata: ecco qual è il problema più grande.
Banalmente perché sta arrivando l’inverno e il freddo e i cristiani non hanno ancora una casa. Ma anche perché continuano a passare i mesi e non arriva nessun segnale positivo per quanto riguarda la riconquista dei nostri villaggi. Così la nostra gente sta diventando sempre più disperata: ecco qual è il problema più grande.
Di cosa c’è più bisogno?
Di tutto. C’è bisogno di aiuti materiali, perché qui manca tutto, ma ci serve anche il conforto. Come possiamo ricevere conforto se nessuno parla di liberare i nostri villaggi e la nostra terra?
Di tutto. C’è bisogno di aiuti materiali, perché qui manca tutto, ma ci serve anche il conforto. Come possiamo ricevere conforto se nessuno parla di liberare i nostri villaggi e la nostra terra?
Questo è l’obiettivo finale della Coalizione guidata dagli Stati Uniti.
Non riponiamo alcuna speranza nell’Occidente. È vero che i bombardamenti hanno fermato l’avanzata dello Stato islamico ma questo non basta. Per liberare i villaggi servono truppe di terra, perché l’esercito iracheno non ha la capacità di strappare tutto il terreno conquistato dai terroristi. Ma nessuno parla di truppe di terra.
Non riponiamo alcuna speranza nell’Occidente. È vero che i bombardamenti hanno fermato l’avanzata dello Stato islamico ma questo non basta. Per liberare i villaggi servono truppe di terra, perché l’esercito iracheno non ha la capacità di strappare tutto il terreno conquistato dai terroristi. Ma nessuno parla di truppe di terra.
Come è cambiata la sua vita da vescovo di Mosul?
Non è facile descrivere la situazione: geograficamente non esiste più alcuna diocesi. Vescovo, sacerdoti, fedeli: tutti sono stati cacciati. Il lavoro che mi è chiesto di fare per i miei fedeli è cambiato: ora io devo servire i rifugiati ma è molto difficile da descrivere. Siamo in costante attesa che cambi qualcosa, ma quando cambierà non lo sappiamo.
Non è facile descrivere la situazione: geograficamente non esiste più alcuna diocesi. Vescovo, sacerdoti, fedeli: tutti sono stati cacciati. Il lavoro che mi è chiesto di fare per i miei fedeli è cambiato: ora io devo servire i rifugiati ma è molto difficile da descrivere. Siamo in costante attesa che cambi qualcosa, ma quando cambierà non lo sappiamo.
Il patriarca Louis Mar Raphael I Sako ha
detto più volte che i cristiani in Iraq hanno bisogno di sentire la
vicinanza della Chiesa. Quanto è stata importante per voi la recente visita di una delegazione francese a Erbil?
È stata molto importante perché la gente ha bisogno di essere confortata e di sentire che i cristiani sono con loro e pensano a loro. Sono arrivate circa 80 persone e la gente ha sentito la vicinanza dei cristiani all’estero. Inoltre, abbiamo pregato insieme, detto Messa, camminato in processione con la Madonna: tutto questo ci ha aiutato molto.
È stata molto importante perché la gente ha bisogno di essere confortata e di sentire che i cristiani sono con loro e pensano a loro. Sono arrivate circa 80 persone e la gente ha sentito la vicinanza dei cristiani all’estero. Inoltre, abbiamo pregato insieme, detto Messa, camminato in processione con la Madonna: tutto questo ci ha aiutato molto.
Tra due settimane si festeggia il Natale. Che cosa significa per voi oggi celebrare la nascita di Gesù?
Noi aspettiamo che Gesù nasca tra i rifugiati. È la prima volta che viviamo l’Avvento fuori dalla nostra terra, lontano dalle nostre case e dalle nostre chiese. Noi aspettiamo che Gesù bambino ci dia la forza di continuare a vivere la fede e tutto ciò che la fede chiede.
Noi aspettiamo che Gesù nasca tra i rifugiati. È la prima volta che viviamo l’Avvento fuori dalla nostra terra, lontano dalle nostre case e dalle nostre chiese. Noi aspettiamo che Gesù bambino ci dia la forza di continuare a vivere la fede e tutto ciò che la fede chiede.
Nel 2011, parlando a tempi.it,
affermava di quanto fosse triste per voi non poter celebrare la Messa
notturna del 24 dicembre a causa di problemi di sicurezza. Tre anni
dopo, non avete neanche più le chiese dove dire Messa. Avete ancora
speranza?
La situazione è difficile ma la nostra gente ha molta fede. La speranza in Dio c’è sempre e c’è perché abbiamo fede e abbiamo fiducia che Dio ci darà la forza di vivere e di andare avanti nonostante tutte le difficoltà. È la fede che ci dà la forza di continuare a vivere.
La situazione è difficile ma la nostra gente ha molta fede. La speranza in Dio c’è sempre e c’è perché abbiamo fede e abbiamo fiducia che Dio ci darà la forza di vivere e di andare avanti nonostante tutte le difficoltà. È la fede che ci dà la forza di continuare a vivere.
Che cosa chiedete all’Occidente?
Ai cristiani occidentali chiediamo due cose. La prima è di vivere la fede con forza, di non essere deboli davanti ai credenti delle altre religioni, di non vergognarsi della loro fede e di viverla in tutti i dettagli della vita quotidiana. Se vediamo che i cristiani occidentali vivono la fede con forza e coraggio, e sono felici, allora ci sentiamo confortati.
Ai cristiani occidentali chiediamo due cose. La prima è di vivere la fede con forza, di non essere deboli davanti ai credenti delle altre religioni, di non vergognarsi della loro fede e di viverla in tutti i dettagli della vita quotidiana. Se vediamo che i cristiani occidentali vivono la fede con forza e coraggio, e sono felici, allora ci sentiamo confortati.
La seconda cosa?
Chiediamo ai cristiani di non essere sordi alle necessità dei loro fratelli iracheni, che hanno bisogno di conforto e aiuto.
Chiediamo ai cristiani di non essere sordi alle necessità dei loro fratelli iracheni, che hanno bisogno di conforto e aiuto.