By Avvenire
Amel Nona
Il Natale dei cristiani iracheni quest’anno è tutto particolare. Si celebra la nascita del Signore in una situazione difficile e drammatica perché i fedeli del Nazareno della regione di Mosul per la prima volta nella storia sono fuori dalla loro terra. Non ci sono parole adeguate per dire la sofferenza che abita nei nostri cuori davanti a questa dolorosa situazione. Dover lasciare le chiese, le case, i monasteri e tutta la nostra storia non era neppure immaginabile, perché noi siamo con la nostra terra una sola identità.
Come è possibile togliere le radici a un popolo? Che colpa ha una comunità fedele alla sua fede e alla sua terra? Domande a cui si può dare una sola risposta: siamo seguaci del Nazareno. Lui per noi non è solo il Signore, è la nostra storia e la nostra identità mischiata con il sangue dei nostri padri e santi, e assorbita nella terra nostra. Lui per noi è il nome con cui ci chiamano gli altri. È la nostra immagine fra altri popoli. Lui é nato senza una casa e una proprietà, ma aveva altri attorno a Lui. C’erano re (i Magi) e poveri (i pastori), ma c’erano anche gli angeli.
I cristiani iracheni di Mosul e della Piana di Ninive non hanno più né case né chiese, ma aspettano la nascita di Gesù Bambino con la certezza che rimarranno sempre fedeli a Lui. Hanno perso tutto ma sono rimasti fedeli a Gesù, è così non hanno perso il bene più grande. Hanno scelto il Signore di tutto e di tutti.
La nascita di Gesù non è una festa normale per noi, ma la nascita di una fase nuova in cui promettiamo al Nazareno di essere sempre e ovunque fedeli al suo modo di vivere, perché siamo convinti che é l’unica strada che realizza la perfezione della vita umana.
Siamo stati cacciati dalla nostra terra perdendo le case e le chiese, ma non abbiamo lasciato la via del Nazareno, che ci dà più energia per resistere e rafforza la nostra convinzione che la vita merita di essere vissuta solo per amore suo.
I cristiani iracheni aspettano anche quest’anno la venuta del Signore, e chiedono a Gesù Bambino il dono di poter tornare nella loro terra e viverci in pace con tutti.
*Arcivescovo rifugiato di Mosul dei Caldei.
Amel Nona
Il Natale dei cristiani iracheni quest’anno è tutto particolare. Si celebra la nascita del Signore in una situazione difficile e drammatica perché i fedeli del Nazareno della regione di Mosul per la prima volta nella storia sono fuori dalla loro terra. Non ci sono parole adeguate per dire la sofferenza che abita nei nostri cuori davanti a questa dolorosa situazione. Dover lasciare le chiese, le case, i monasteri e tutta la nostra storia non era neppure immaginabile, perché noi siamo con la nostra terra una sola identità.
Come è possibile togliere le radici a un popolo? Che colpa ha una comunità fedele alla sua fede e alla sua terra? Domande a cui si può dare una sola risposta: siamo seguaci del Nazareno. Lui per noi non è solo il Signore, è la nostra storia e la nostra identità mischiata con il sangue dei nostri padri e santi, e assorbita nella terra nostra. Lui per noi è il nome con cui ci chiamano gli altri. È la nostra immagine fra altri popoli. Lui é nato senza una casa e una proprietà, ma aveva altri attorno a Lui. C’erano re (i Magi) e poveri (i pastori), ma c’erano anche gli angeli.
I cristiani iracheni di Mosul e della Piana di Ninive non hanno più né case né chiese, ma aspettano la nascita di Gesù Bambino con la certezza che rimarranno sempre fedeli a Lui. Hanno perso tutto ma sono rimasti fedeli a Gesù, è così non hanno perso il bene più grande. Hanno scelto il Signore di tutto e di tutti.
La nascita di Gesù non è una festa normale per noi, ma la nascita di una fase nuova in cui promettiamo al Nazareno di essere sempre e ovunque fedeli al suo modo di vivere, perché siamo convinti che é l’unica strada che realizza la perfezione della vita umana.
Siamo stati cacciati dalla nostra terra perdendo le case e le chiese, ma non abbiamo lasciato la via del Nazareno, che ci dà più energia per resistere e rafforza la nostra convinzione che la vita merita di essere vissuta solo per amore suo.
I cristiani iracheni aspettano anche quest’anno la venuta del Signore, e chiedono a Gesù Bambino il dono di poter tornare nella loro terra e viverci in pace con tutti.
*Arcivescovo rifugiato di Mosul dei Caldei.