By Radio Vaticana
E' un Natale di sofferenza ma anche di speranza quello delle comunità cristiane presenti in Iraq, terra sconvolta dalla furia dei jihadisti del cosiddetto Stato islamico. Per le famiglie che sono rimaste nella loro terra è difficile credere ancora nel futuro ma “il Natale rinnova in ciascuno la certezza che Dio non ci abbandona mai”. Lo testimonia - al microfono di Gabriella Ceraso - mons. Giorgio Lingua, nunzio apostolico in Iraq e Giordania:
La prima cosa che mi viene in mente, pensando al Natale in Iraq, quest’anno, è la frase del Vangelo che dice: “Non c’era posto per loro nell’albergo”. Purtroppo, tante famiglie si trovano di fronte a questa realtà: non c’è posto per loro in una casa, in una struttura, in un villaggio, addirittura in un Paese che era il loro. Quindi, fanno l’esperienza della famiglia di Nazaret che si vede chiudere le porte in faccia. Dall’altra parte, mi sembra che facciano anche l’esperienza dei pastori che vanno a trovarli, che portano dei doni … e anche dei Re Magi … tutta questa solidarietà internazionale infatti la vedo un po’ come i Magi che vanno incontro a questo Gesù Bambino che sta soffrendo, che è piccolo, che è debole, però non è dimenticato da tutti.
Il Natale, il farsi uomo di Gesù che nasce per l’umanità intera e per salvarla: quindi, c’è speranza, c’è gioia. Qual è il suo augurio e anche, quali sono le parole per i cristiani iracheni in questo senso?
Abbiamo scelto quest’anno, come immagine natalizia degli auguri che facciamo come nunziatura, un bambino rifugiato iracheno che sta dormendo per la strada con la testa sulle pietre, e l’abbiamo messa in una mano, che rappresenta Dio che non lo lascia solo, e una Madonna, come se lui la stesse sognando: lui è forse ignaro, ma la Madonna sta proteggendo questo bambino in cui vede suo figlio, oggi. Ecco. Mi sembra che il Natale sia la festa che ci ricorda che Dio non ci abbandona.
E quindi, a maggior ragione, dirlo, ripeterlo e farlo arrivare ai cuori dei cristiani iracheni …
Sì, queste persone sono radicate nella loro fede; sanno che Dio è con loro, nonostante tutto.
E' un Natale di sofferenza ma anche di speranza quello delle comunità cristiane presenti in Iraq, terra sconvolta dalla furia dei jihadisti del cosiddetto Stato islamico. Per le famiglie che sono rimaste nella loro terra è difficile credere ancora nel futuro ma “il Natale rinnova in ciascuno la certezza che Dio non ci abbandona mai”. Lo testimonia - al microfono di Gabriella Ceraso - mons. Giorgio Lingua, nunzio apostolico in Iraq e Giordania:
La prima cosa che mi viene in mente, pensando al Natale in Iraq, quest’anno, è la frase del Vangelo che dice: “Non c’era posto per loro nell’albergo”. Purtroppo, tante famiglie si trovano di fronte a questa realtà: non c’è posto per loro in una casa, in una struttura, in un villaggio, addirittura in un Paese che era il loro. Quindi, fanno l’esperienza della famiglia di Nazaret che si vede chiudere le porte in faccia. Dall’altra parte, mi sembra che facciano anche l’esperienza dei pastori che vanno a trovarli, che portano dei doni … e anche dei Re Magi … tutta questa solidarietà internazionale infatti la vedo un po’ come i Magi che vanno incontro a questo Gesù Bambino che sta soffrendo, che è piccolo, che è debole, però non è dimenticato da tutti.
Il Natale, il farsi uomo di Gesù che nasce per l’umanità intera e per salvarla: quindi, c’è speranza, c’è gioia. Qual è il suo augurio e anche, quali sono le parole per i cristiani iracheni in questo senso?
Abbiamo scelto quest’anno, come immagine natalizia degli auguri che facciamo come nunziatura, un bambino rifugiato iracheno che sta dormendo per la strada con la testa sulle pietre, e l’abbiamo messa in una mano, che rappresenta Dio che non lo lascia solo, e una Madonna, come se lui la stesse sognando: lui è forse ignaro, ma la Madonna sta proteggendo questo bambino in cui vede suo figlio, oggi. Ecco. Mi sembra che il Natale sia la festa che ci ricorda che Dio non ci abbandona.
E quindi, a maggior ragione, dirlo, ripeterlo e farlo arrivare ai cuori dei cristiani iracheni …
Sì, queste persone sono radicate nella loro fede; sanno che Dio è con loro, nonostante tutto.